Dal mar rosso al golfo: la penisola arabica in movimento
Ormai da 5 giorni si radunano ogni mattina all’università e poi escono in corteo per raggiungere il centro e gli edifici che ospitano le istituzioni. E’ il movimento che sta ponendo dei seri problemi al regime yemenita e che sembra crescere di radicalità e partecipazione.
All’indomani della fuga di Ben Ali, la piazza di Sana, capitale dello Yemen, aveva già ospitato le prime manifestazioni legate a rivendicazioni di natura politica e per i diritti civili. Poi, con l’emergere del movimento egiziano, anche in Yemen si sono unite componenti operaie e di lavoratori che hanno rinforzato i numeri e allargato la piattaforma politica alla lotta contro la crisi.
Scontri e resistenza contro la polizia e i militanti filo governativi si sono ripetuti anche oggi facendo aumentare il numero di feriti, ma anche palesando la tenacia di un movimento in costruzione che da facebook e twitter è riuscito a rilanciare la mobilitazione e a saldare studenti, operai e opposizione politica. Contro il regime e per una distribuzione giusta delle ricchezze è questo anche in Yemen il primo punto dell’agenda del movimento che come altrove ripete “Chaab yurid isqat nidham!”, il popolo vuole la caduta del regime mentre si moltiplicano i cartelli con il ritratto del Che in mano ai manifestanti.
Si alza il livello del conflitto anche in Bahrain: cariche e lacrimogeni ieri mattina contro la popolazione dei sobborghi sciiti di Karzakkan, Nuweidrat e Diraz, mentre nel corso della stessa giornata un manifestante è stato ucciso dai colpi sparati ad alzo zero dalla polizia del regime, composta in gran parte da mercenari provenienti dall’estero e ricompensati dalla monarchia con quei salari, alloggi e diritti negati alla maggioranza degli abitanti del paese, presidiato dalla 5a Flotta statunitense. Repressione che non ha fatto che esasperare gli animi, con l’uccisione di un secondo manifestante all’uscita dell’ospedale dove giaceva la salma del primo, e con le cariche contro il corteo funebre nella mattinata di oggi.
Dopo la processione, riprendendo la lezione degli insorti egiziani e tunisini, i manifestanti si sono diretti in massa attraverso i sobborghi verso la “Pearl Roundabout” (sia per le condizioni climatiche che per direzioni di politica urbanistica dall’alto, le metropoli del Golfo sono prive di grandi piazze, e le principali arterie stradali sono riservate al traffico veloce), all’imbocco dei quartieri commerciali, finanziari e governativi di Manama, iniziando a piantarvi tende per allestire un presidio permanente, organizzando comitati di autodifesa ed intonando slogan contro il regime ed inneggianti all’unità rivoluzionaria di sunniti e sciiti.
Al presidio si sono uniti esponenti dell’opposizione della sinistra progressista e sciiti, mentre nelle stesse ore il re Hamad è costretto ad indirizzare per la prima volta le proteste, sottaciute nel discorso della festa nazionale di ieri; e si rincorrono le voci di un soccorso saudita alla repressione, evento che qualora si materializzasse non mancherebbe di destabilizzare l’area petrolifera saudita a maggioranza sciita che dà sul Golfo.
Sul fronte della rete, la tattica del regime di restringere (attraverso il provider nazionale Batelco) la banda internet per rallentare l’immissione di foto e video attraverso youtube e bambuser (oltreché il blocco selettivo degli account di riconosciuti attivisti dell’opposizione sociale su queste piattaforme) non sembra aver sortito l’effetto sperato; e la discussione politica, dai forum fatti chiudere dalle autorità, si è riversata sui gruppi facebook – le cui adesioni nel giro di pochi giorni hanno surclassato quelle delle pagine pro-monarchia.
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