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Egitto: la rivoluzione non è finita

Riportiamo in questo articolo alcune delle principali mobilitazioni che si sono tenute durante questo finesettimana, mobilitazioni che ancora una volta rendono chiara la tenacia del movimento rivoluzionario.

Che i giovani egiziani non si fossero accontentati del risultato della rivoluzione era già stato dimostrato durante tutto il 2011, nelle molte mobilitazioni e negli scontri di piazza che si sono lasciati dietro centinaia di vittime.
Chi, dell’establishment politico e militare, aveva creduto e sperato che il “processo democratico” in corso, arrivato in queste settimane nel momento più delicato della lunga transizione egiziana, avesse potuto far tacere le rivendicazioni rivoluzionarie, ha dovuto in questi giorni, ancora una volta ricredersi.
Così come l’inizio delle consultazioni elettorali è stato segnato da una forte ribellione che aveva portato alla “seconda insurrezione di piazza Tahrir”, oggi, il processo che dovrebbe portare alle nuove elezioni presidenziali è stato segnato da forti e determinate proteste.

Molte sono state le mobilitazioni che il finesettimana hanno visto riempirsi nuovamente le strade della capitale egiziana.
Centinaia gli studenti che da tutto il paese si sono ritrovati di fronte al parlamento egiziano chiedendo nuove elezioni dell’Unione degli Studenti.
La lotta nelle università non si è fermata con la caduta di Hosni Mubarak. Dai moti rivoluzionari, fino ad oggi, gli studenti hanno continuato a mobilitarsi per chiedere la cacciata delle personalità, delle dirigenze universitarie, legate al precedente regime. Così, come nelle fabbriche, anche nelle scuole e nelle università si continua a chiedere quel cambiamento di regime, a lungo invocato da Piazza Tahrir, cambiamento tanto promesso dalla giunta militare, ma che ad oggi sembra più lontano che mai.
Venerdì si è poi tenuta una manifestazione in sostegno agli studenti dell’Università tedesca del Cairo. In molti hanno mostrato la propria solidarietà alla lotta che da settimane viene portata avanti dagli studenti, a seguito dell’espulsione di alcuni studenti che manifestavano dopo l’uccisione di un loro compagno, Karim Khouzam, studente del primo anno, ucciso nella strage di Port-Said.

Nei luoghi di lavoro la situazione non è diversa, i lavoratori hanno a lungo lottato per un vero cambiamento, per maggiori diritti sindacali. Così 5 lavoratori che hanno scioperato contro il precariato e contro le esternalizzazioni alla Somid Company Port, nella città di Ain Sukhna, vicino al Golfo di Suez sono stati arrestati la scorsa settimana, successivamente torturati e sottoposti ad un tribunale militare, con la sola colpa di aver manifestato per i loro diritti.

Altro nodo irrisolto, emerso proprio in queste giornate, è la questione dei test di verginità. I test di verginità sono stati parte dell’arsenale repressivo utilizzato dalla giunta militare al potere. Accanto ad altri strumenti quali l’utilizzo della legislazione di emergenza, delle corti militari e le stesse torture, i test in questione sono stati a lungo utilizzati dalla nuova leadership militare per reprimere e screditare il movimento rivoluzionario.
Lo scopo dei test di verginità, a cui sono state forzatamente sottoposte molte manifestanti, era quello di dimostrare che non erano vergini, dunque per il governo equiparabili a delle prostitute; conseguenza diretta di questo era che la piazza diveniva piazza di prostitute.
Quindi una flagrante violazione dei diritti umani, con il solo scopo di screditare un movimento che non ha mai smesso di lottare, un movimento in cui le donne hanno fin dall’inizio assunto un ruolo di primo piano.
A seguito delle numerose mobilitazioni per i diritti delle donne, le autorità egiziane avevano accettato di far partire un processo in cui sono stati imputati coloro che, tra i militari, si erano resi responsabili dell’utilizzo di tali pratiche.
Ma uno dei dottori militari implicati nel processo per aver praticato i test, direttamente accusato dalle stesse vittime, è stato assolto. Si è allora formato un partecipato presidio di fronte all’Alta Corte di Giustizia egiziana, dove in molti hanno inneggiato slogan quali “No ai militari, no ai Fratelli Musulmani, la rivoluzione è ancora in corso!”.

Sempre sul tema della “giustizia” egiziana, il giorno precedente alla mobilitazione contro i test di verginità, davanti all’Alta Corte di Giustizia egiziana, in migliaia – molti gli ultras della squadra cairota Al-Ahly – hanno dato vita ad un sit-in in ricordo della strage di Port Said, massacro che è costato la vita a 74 persone.
Questa protesta è nata dopo la decisione degli organi giudiziari di far partire un processo contro 75 persone, con l’accusa di aver provocato la strage. A seguito di questa decisione, molte sono state le voci di chi – ultras, parenti delle vittime e movimento rivoluzionario – ha subito dubitato di una vera volontà di rendere giustizia alle vittime. Questo perché, mentre il popolo accusa alte sfere del comando militare, ad essere stati messi sotto inchiesta sono perlopiù personalità di poco conto, semplici agenti e cittadini.

Il popolo sa, come largamente dimostrato nel processo che vede imputato l’ex raìs, oramai divenuto poco più di una farsa, che solo con le mobilitazioni è possibile raggiungere quella giustizia, a lungo richiesta da Piazza Tahrir, che il sistema non è di per sé intenzionato a garantire.

Il finesettimana appena trascorso dimostra l’esistenza di molti punti ancora aperti: il movimento rivoluzionario non accetta una “rivoluzione a metà”, la rivoluzione non è finita ed ogni giorno l’Egitto lo dimostra.

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