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Germania: tra pandemia ed elezioni, quali scenari?

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A partire dalle elezioni nei lander di Baden-Württemberg e Renania-Palatinato dello scorso weekend abbiamo posto alcune domande a Nicola, compagno italiano che vive in Germania da diverso tempo, sugli scenari che accompagnano questo anno elettorale, tra pandemia, ascesa dei Verdi e movimenti sociali. Buona lettura!

 

Quali tendenze ci mostrano i risultati delle elezioni nei lander di Baden-Württemberg e Renania-Palatinato?

Innanzitutto c’è stata la conferma dei governatori uscenti e l’affermazione dei loro rispettivi partiti. Parliamo di leadership non solo radicate territorialmente ma anche riconosciute all’interno del dibattito nazionale. I Verdi del Baden Wuttenberg sono guidati da Winfried Krietschman, probabilmente il loro esponente più conservatore. Dopo la fine dell’era movimentista guidata da Fischer che pagò la fase di governo con Schroeder, è stato proprio lui, cattolico e localista, a rifondare i Verdi. “Ambientalista e conservatore” ruppe il tabù del governo con la CDU, e lo fece proprio nel Baden Wuttenberg. Da allora la sua linea ha portato i Verdi a essere al governo in 11 dei 14 Laender dove sono presenti; governano in più Laender di SPD e CDU. Non proprio una forza anti sistema quindi. L’SPD domenica ha frenato il suo crollo elettorale pluridecennale e ha confermato Malu Deyer alla presidenza in Renania, dove governa ininterrottamente dalla riunificazione del 1990 e dove governerà, ancora, con i Verdi (con eventuale supporto dei piccoli liberali dell’FDP). E questi due test elettorali hanno anche segnato il crollo elettorale del partito di Angela Merkel, punito per la gestione della pandemia e travolto da scandali per corruzione sulle forniture mediche. E, cosa che personalmente mi rincuora, il ridimensionamento dell’estrema destra di Alternative fuer Deutschland che ha perso un terzo dei propri voti e ormai sembra sempre più avvitata nell’isolamento del suo estremismo identitario.

Insomma, le tendenze comuni tra le due elezioni si mettono sulla scia delle europee del 2019 e delle regionali di Amburgo e guardano al dopo Merkel, accennando ad un governo Rosso Verde con gli ambientalisti che potrebbero puntare al cancellierato.

Come è avvenuta questa progressiva ascesa dei verdi? Qual è attualmente la loro base sociale? Si può parlare ulteriormente di un voto di protesta o il fenomeno è più articolato?

Il 15 giugno 2019, a qualche giorno dalle elezioni europee un sondaggio registrò un dato storico: i Verdi avevano superato la Cdu-Csu nelle preferenze di voto, diventando virtualmente il primo partito. La formazione ambientalista però aveva già preannunciato la propria crescita elettorale, sebbene non in queste proporzioni, quando l’anno prima, alle elezioni in Baviera, la Csu del sempiterno e reazionario ministro dell’Interno Horst Seehofer, aveva perso la posizione di primo partito nelle città del ricco Land meridionale, Monaco di Baviera e Norimberga su tutte. A marzo 2019 una rilevazione di Eurobarometer poneva il tema del global warming come priorità nell’opinione pubblica. Per la prima volta dal 2015 i cittadini non si ponevano questioni legate all’immigrazione o alla sicurezza. Questi segnali però, non bastano a spiegare l’inarrestabile crescita di consenso di un partito che per vent’anni era rimasto ancorato intorno al 10 per cento e che in pochi mesi ha triplicato il consensi. Nel decennio precedente i Verdi si sono rifondati, abbandonando la radicalità movimentista la cui autorevolezza era crollata sotto le contraddizioni del governo Schroeder. Da una parte eliminarono tutti gli elementi propri di una forza antisistema (vincolo di mandato, revocabilità costante dei mandati elettivi e dirigenziali, tetto allo stipendio degli eletti), dall’altra decretarono la fine della leadership unica , dando il via all’esperienza del doppio portavoce (che rappresentava non solo la differenza di genere ma anche la natura “bifronte” del partito, est-ovest, movimentismo-conservatorismo). Fu creato il Coordinamento G, composto dai rappresentanti eletti nei diversi Länder e alcuni dirigenti nazionali con l’obiettivo di armonizzare esperienze di governo molto diverse tra loro. Un organismo fondamentale nella costruzione dell’identità politica dei nuovi Verdi. Al tramonto della generazione sessantottina di Fischer quindi, la scalabilità delle strutture di partito permise un cambio generazionale tra i quadri. Tutto ciò ha garantito un dignitoso 10% dei voti per diversi anni, malgrado la debolezza della proposta politica. Ma i Verdi non avevano previsto che i loro punti di riferimento programmatici, tutto sommato compatibili con il governo di una qualunque democrazia liberale, sarebbero diventati nel giro di pochi anni linee ideologiche radicali, a causa della crisi economica permanente e dello spostamento a destra del quadro politico. Riempiendo il vuoto a sinistra, dal 2013 i Verdi hanno iniziato a promuovere, a livello locale, misure di redistribuzione della ricchezza e potenziamento del welfare. Diventando via via un contenitore di tutte le tensioni progressiste dell’opinione pubblica tedesca, e mantenendo, unico partito in Germania, un omogeneo profilo europeista. Tutto ciò quasi loro malgrado; lo smottamento a destra generale e le esperienze di governo locali li hanno resi una forza persino rassicurante rispetto all’instabilità degli altri partiti, impelagati in dialettiche violente tra linee spesso incompatibili. Sono riusciti a capitalizzare, molto di più e meglio della stessa Cdu, le posizioni della cancelliera Merkel sull’integrazione europea, sulla lotta al populismo di destra e al cambiamento climatico. Sono rassicuranti anche per i loro sostenitori economici tra i quali troviamo lo speculatore finanziario (ma green) Jochem Wermuth, le associazioni di industriali del Baden-Württemberg, del Nord Reno Westfalia, dell’Assia e della Baviera, l’Allianz assicurazioni e persino i colossi automobilistici Daimler e Bmw. I Verdi non hanno cambiato di una virgola la loro linea d’azione politica su scala locale ma radicale rispetto alle pulsioni razziste, elitarie, autoritarie. Nel frattempo i movimenti ambientalisti hanno continuato a mobilitarsi e a mettere la governance spalle al muro con sempre più largo consenso sociale. I Verdi attualmente sono la somma di tutte le contraddizioni della politica tedesca. Ma paradossalmente è proprio questo il motivo per cui capitalizzano al massimo un consenso diversificato, proprio al tramonto dell’«estremismo di centro» rappresentato dall’era Merkel.

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Merkel probabilmente si ritira, la CDU dopo quasi due decenni sembra irrimediabilmente lanciata verso una perdita di centralità. Ha esaurito il suo compito storico? Questo apre a nuove possibili polarizzazioni?

La CDU ha avuto 5 degli 8 Cancellieri tedeschi dal dopoguerra a oggi per un totale di 55 anni su 75 al governo. È un’istituzione della Repubblica Federale più che un Partito Politico. Per questo mi riesce difficile dire che possa aver esaurito il proprio ruolo storico. Ovviamente a meno che non si pensi che sia la stessa Repubblica Federale Tedesca ad averlo fatto, magari in direzione di uno spazio sovrannazionale e ulteriore come l’UE. Ma anche questa ipotesi mi pare prematura. Il ruolo storico della CDU è sempre stato quello di tutelare la borghesia e il grande capitale tedesco ed espanderne il raggio di azione. Lo ha fatto durante la ricostruzione post bellica con Adenauer come ci racconta Boll nei suoi romanzi, durante gli anni 80 e l’unificazione con Kohl e nel processo di integrazione politica dell’Unione Europea con Angela Merkel. È probabile che si apra per la CDU e per la sua classe di riferimento un processo di ripensamento nelle trasformazioni che il nuovo mondo post pandemia imporrà al Capitale tedesco ed alle sue linee strategiche per ripensarsi su scala globale. Sempre senza nominare la costante tendenza reazionaria, questa si che preme verso polarizzazioni politiche,  presente in quel blocco sociale, in segmenti della Bundesbank, nelle forze dell’ordine e nell’esercito, nei Laender orientali e anche nei settori finanziari. Un’anima nera che salda neoliberismo economico ed estremismo di destra politico e che, per ora, sembra essere stata sconfitta nel congresso del partito e nelle urne con il crollo di Alternative Fuer Deutschland.

Cosa possiamo aspettarci dal voto del 26 settembre per il Bundestag?

Stando ai sondaggi è abbastanza probabile il quadro politico federale riproduca una sorta di instabilità equilibrata con un blocco rosso-verde che si candida al governo ma senza essere autosufficiente elettoralmente e politicamente, una CDU, e una CSU bavarese, sulla difensiva e diverse formazioni più o meno piccole (comunque superiori allo sbarramento del 5%) a fare da ago della bilancia. Parliamo dei liberali dell’FDP come della sinistra radicale della Linke ma anche di formazioni emergenti che ciclicamente raccolgono consenso degli insoddisfatti dalla proposta elettorale tedesca (accadde per il Piraten Partei e magari succederà per i situazionisti del Die Partei come per i liberisti del Frei Wahlen Partei). E, infine, presenza cupa, oscura e minacciosa all’estrema destra dello  spettro politico, isolata ma rumorosa Alternative fuer Deutschland, destra xenofoba e nostalgica, sempre più eversiva e simile ai neonazisti della quasi disciolta NPD.

Come potrebbero inserirsi queste elezioni nello scenario internazionale e nella crisi pandemica?

Questo è abbastanza facile da prevedere perché non dipende direttamente dalla combinazione “cromatica” del futuro governo. CDU, SPD, Verdi e FDP  oggi hanno linee, espresse dai rispettivi congressi, quando non insite nel loro stesso DNA, che vanno verso un Green New Deal, un rafforzamento delle istituzioni europee in senso federativo e un sostegno economico alla produzione industriale e al commercio internazionale. I nodi spinosi che riguardano la Corte Internazionale di Giustizia, le politiche migratorie, le relazioni internazionali (escluse ovviamente quelle commerciali) e le politiche monetarie vengono in qualche modo delegate alla Commissione Europea della cristiano-democratica Ursula Von Der Leyen e alla NATO. In qualche modo il sistema politico tedesco si prepara ad una transizione garantendosi un posto nello spazio internazionale con un profilo compiutamente e coerente con la Presidenza di Biden negli Stati Uniti: atlantismo, multilateralismo, diritti civili e Green New Deal con riconversione economica a volano delle relazioni internazionali. Senza dimentica che in una nazione a grandissima componente migrante ogni singola tensione internazionale ha una ricaduta socio-politica praticamente istantanea. Pensiamo proprio alle elezioni di domenica dove secondo diversi analisti politici ha contribuito alla sconfitta della CDU uno scandalo di un deputato della Turingia che ha promosso e difeso, dopo lauti compensi arrivati da Baku e Ankara, l’aggressione nazionalista dell’Azerbaijan contro il territorio armeno. Per non parlare dei paradossi che la difesa di Israele senza se e senza ma, rispetto anche ai consessi internazionali, sta producendo nelle diverse formazioni politiche al Bundestag.

Cosa si muove ad oggi nella società tedesca?

Sotto le ceneri di un dibattito istituzionale e delle misure sulla pandemia bruciano i tizzoni che un anno fa, alla vigilia del Covid, portarono migliaia di persone in piazza per la strage razzista di Hanau. A cadenza ormai settimanale c’è uno scandalo che riguarda le connivenze tra un dipartimento di polizia o una caserma della Bundeswehr e l’estrema destra. E ci sono inchieste sull’opacità dei servizi segreti, oggi commissariati, e relazioni con gli esponenti più reazionari di Alternative Fuer Deutschland. Ci  sono campagne sui media razziste che vanno dagli attacchi agli Shisha bar arabi delle metropoli a discorsi sulle mafie straniere in particolare mediorientali e slavofone (il che a oltre 14 anni, per esempio, dalla strage di ndrangheta a Duisburg è abbastanza grottesco). Il tutto in un moltiplicarsi di attacchi contro militanti Antifa, attività di cittadini stranieri e centri per i rifugiati e con le procure che iniziano a fare pressioni sulle ONG che salvano migranti nel Mediterraneo. Ma tutto questo non è oggi al centro del dibattito politico malgrado la portata gigantesca dei fatti. Come non lo sono gli scioperi dei lavoratori della sanità che denunciano un sistema di sfruttamento o le campagne dei movimenti contro la gentrification e gli abusi dei Job Center. Tutte questioni che, per esempio qui a Berlino, tenevano il punto del dibattito politico locale e oggi pur continuando con mille difficoltà dovute al lockdown sembrano andare a sbattere contro il muro di gomma della pandemia. Questo nell’ultimo anno ha prodotto nella capitale già diversi sgomberi di spazi storici inducendo il forte sospetto che nel cono d’ombra mediatico una parte del mondo politico voglia chiudere i conti con alcune esperienze di movimento una volta per tutte. C’è tuttavia da segnalare che di fronte a questa dinamica odiosa si sono prodotte e moltiplicate esperienze di solidarietà che poi sono emerse come soggettività politiche vere e proprie, dall’alleanza femminista che ha coinvolto e coinvolge esperienze di donne migranti, a MigrAntifa che si mobilita contro la violenza razzista della polizia o gruppi di lavoratori e lavoratrici non sindacalizzati che organizzano scioperi selvaggi e vertenze di massa.

In che dialettica con queste tendenze elettorali? 

Ho l’impressione, ma è solo un’impressione ovviamente, che lo iato tra le strade, i luoghi di lavoro, i territori e la rappresentanza aumenti. E che la “crisi della democrazia”, in un contesto di violenza sociale e ingiustizia sistemica, faccia capolino pure in una democrazia federale che tiene in grande considerazione i corpi intermedi e le organizzazioni politiche e sindacali. Lo dico pensando, non solo, ai movimenti ma anche alle esplosioni di rabbia in alcune zone di Lipsia o Stoccarda dello scorso autunno con riot, saccheggi e violenze poliziesche. E anche perché, malgrado la pandemia da Covid19 abbia congelato il grosso delle campagne politiche, degli incontri e delle mobilitazioni di piazza queste non si siano mai fermate nell’ultimo anno. E ora si trovano di fronte l’inadeguatezza del Ministro alla Salute Spahn e l’ambiguità di un criptoautoritario come il ministro degli Interni.

Ad Angela Merkel, a torto o ragione, vengono rimproverate continuamente due aspetti peculiari della sua politica di governo. Il primo è di aver “nascosto sotto il tappeto” alcuni problemi strutturali che prese in carico ormai 15 anni fa dal suo predecessore Schroeder: la povertà strutturale dell’est del paese, un sistema di casse di risparmio e gruppi bancari locali molto pervasivo e traballante, il sistema Hartz IV altamente punitivo e insufficiente sulla disoccupazione e una dipendenza energetica pressoché totale dalla Russia. Questi problemi oggi si ripresentano ingigantiti. I Laender dell’est sono quelli dove povertà e la mancanze di risposte pluridecennali hanno premiato Alternative fuer Deutschland ed in particolare la sua ala più apertamente neo nazista ed eversiva. Diverse città ed enti pubblici stanno dichiarando default a causa di spericolate operazioni finanziarie delle casse di risparmio locali e questo sta impegnando parte dei fondi di bilancio federali per affrontare la pandemia. Il sistema Hartz IV già dichiarato parzialmente anticostituzionale prima del Covid19 adesso mostra la sua totale insufficienza di fronte alle conseguenze economiche delle chiusure temporanee o permanenti. E infine la dipendenza dalle forniture di gas russo, rinforzata grazie a un oleodotto nel mar Baltico, mette sotto stress costante la politica estera tedesca e con lei quella europea di fronte all’incapacità dell’Alto Commissariato per gli Affari Esteri dell’UE. Ma visto che sono questioni “antiche” non sono poste all’ordine del giorno di quasi nessuna formazione che si candida al governo della Repubblica Federale. Pur esplodendo nelle strade dove si sono registrati scontri con la polizia, dove aumenta il racket e l’usura e dove iniziano a mancare i servizi di welfare storicamente garantiti (con le gravi insufficienze nel sistema assicurativo sanitario e in quello pensionistico).

La seconda critica alla Cancelliera riguarda il non aver formato una classe dirigente all’altezza. Nella CDU ha dovuto effettivamente difendersi dagli attacchi dei vari notabili (da Schauble a Seehofer) ma dalla sua posizione di potere e prestigio non è riuscita a tutelare figure autorevoli emergenti. E questo ha fondamentalmente dato forza proprio a quell’establishment reazionario che detiene media, capitali e connivenze con le forme di governo locale e sottogoverno. Questo è alla base dei fallimenti nella gestione della pandemia che stanno a cascata dividendo la popolazione su linee di privilegio, debito e condizione sociale.

 

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