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I minatori sudafricani in sciopero selvaggio

Uno sciopero non autorizzato ma programmato quello di ieri nella regione nordoccidentale di Rustenburg, a ridosso di Johannesburg. Migliaia di minatori hanno incrociato le braccia rifiutandosi di scendere nelle miniere della britannica Lonmin, terzo produttore mondiale di platino. Dalle prime ore della mattina, al grido di «Abbasso il Num» e armati di bastoni hanno marciato verso la collina nei pressi di Marikana prima di riunirsi nello stadio vicino in attesa dei rappresentanti sindacali.

Verso sera, su invito di uno degli organizzatori avrebbero lasciato il posto ripromettendosi di tornare oggi, in un clima di alta tensione e di minacce rivolte contro quelli che si presenteranno invece al lavoro apostrofati in Zulu «ratti». Intimidazioni e rabbia che agitano lo spettro di altre violenze e la paura di sanguinosi disordini, sempre latenti e mai del tutto sopiti nella regione mineraria sudafricana delle multinazionali del platino, teatro lo scorso anno di scioperi selvaggi sfociati nel più brutale scontro con la polizia dalla fine dell’apartheid.

Almeno 34 furono i morti in quello noto come “massacro di Marikana” e su cui è in corso l’indagine di una commissione d’inchiesta governativa. Benché non siano del tutto chiare le ragioni di questo ennesimo sciopero selvaggio, molto presumibilmente a scatenare la rabbia dei lavoratori pare sia stata l’uccisione tre giorni fa di un sindacalista dell’Association of Mineworkers and Construction Union (Amcu) che avrebbe dovuto essere ascoltato il giorno dopo come testimone dalla commissione governativa d’inchiesta sulle violenze di Marikana.

A rendere più incandescente la situazione, infatti, la lotta intestina esplosa già nel 2012 tra il National Union of Mine Workers (Num), il sindacato storico del settore e alleato politico dell’African National Congress (Anc) – partito di governo dal 1994 – e il più radicale Amcu riconosciuto al momento come il sindacato maggioritario all’interno della Lonmin, dopo che in migliaia nel 2012 hanno lasciato il Num per passare tra le sue file. E proprio contro i sostenitori del Num si erano scagliate nei giorni scorsi le accuse dei vertici dell’AMcu per l’omicidio del rappresentante sindacale.

Lo sciopero di ieri e il taglio dei 6.000 posti di lavoro annunciato venerdì scorso dall’Anglo American Platinum mettono sotto scacco l’Anc, già al centro di pesanti critiche per la gestione della crisi dello scorso anno e per l’incapacità, diciannove anni dopo la fine dell’apartheid, di affrontare importanti emergenze sociali. Intanto, il portavoce della Lonmin, Sue Vey, ha invitato i minatori a riprendere le attività aggiungendo che la continuazione delle proteste metterà inevitabilmente a rischio ulteriori posti di lavoro oltre ad avere gravi ripercussioni sull’azienda.

Lo sciopero è scoppiato mentre a Londra si svolge l’evento annuale del Platinum Week tra dirigenti e analisti del settore, e una settimana dopo le dichiarazioni dell’amministratore delegato della Lonmin, Simon Scott che ha invitato i sindacati a frenare le aspettative per le ormai prossime trattative salariali. «Anche se i risultati stanno registrando miglioramenti significativi rispetto allo scorso anno, questo non è ancora un settore che sta facendo un sacco di soldi», avrebbe detto Scott alla Reuters. La realtà spesso ignorata è che le rivolte e le inquietudini in questo come in altri settori sono fortemente radicate nelle evidenti disparità di reddito e nei salari bassi di una forza lavoro che è in gran parte semianalfabeta e vittima oltreché delle logiche di mercato anche delle forti rivalità sindacali.

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