Intervista ad Alberto Curamil, attivista mapuche in Cile, tra lotta alle dighe e diritti civili
Dopo più di sedici mesi di carcere preventivo, lo scorso 13 dicembre il Tribunale di Temuco (Cile) ha assolto il lonko (autorità ancestrale mapuche) Alberto Curamil da tutti i capi di accusa.
Curamil è membro dell’organizzazione politica Alleanza Territoriale Mapuche (ATM) ed è un rappresentante della sua comunità, la Lof Radalko, che durante l’ultimo decennio ha portato avanti una lotta vittoriosa contro la costruzione delle centrali idroelettriche Alto Cautin e Doña Alicia sul fiume Cautin, che avrebbero deviato il corso naturale dell’acqua danneggiando l’intera zona di Curacautin, nella regione dell’Auracania (zona centrale del Cile).
Già a partire dal 2010 il ruolo del lonko Curamil è stato un tassello fondamentale nello sviluppo di un movimento ampio che ha coinvolto le comunità mapuche della zona, ma anche organizzazioni ambientaliste cilene, con l’obiettivo comune di difendere l’acqua e il territorio. La lotta contro i progetti idroelettrici ha adottato diverse strategie, dalla denuncia pubblica alla mobilitazione sociale fino all’azione diretta nei territori interessati, senza trascurare i ricorsi in tribunale.
Il Cile è l’unico paese al mondo dove l’acqua è privata, come stabilisce il Codigo de Aguas, promulgato nel 1981 durante la dittatura civico-militare di Pinochet.
Nonostante le imprese avessero il diritto di proprietà sull’acqua, i progetti idroelettrici non sono stati autorizzati: si è potuto dimostrare che la deviazione del corso d’acqua avrebbe danneggiamento radicalmente la vita delle comunità mapuche che abitano i territori attorno al fiume Cautin, non solo in termini di produzione agricola ma anche spirituali.
Nel 2014 la Corte d’Appello di Temuco ha sospeso il progetto Alto Cautin, mentre la costruzione della centrale idroelettrica Doña Alicia è stata annullata nel 2018, dopo che il Tribunale Ambientale di Valdivia ha riscontrato delle irregolarità nel processo di valutazione dell’impatto ambientale del progetto.
Questo è il contesto in cui è avvenuto l’arresto del lonko Curamil, nell’agosto del 2018, durante la perquisizione del suo domicilio, giustificata da una denuncia anonima fatta al Ministero degli Interni attraverso il piano Denuncia Sicuro implementato dal governo.
Le accuse a suo carico erano vincolate a una rapina alla banca Caja Compensación avvenuta il 24 aprile del 2018 a Galvarino, un fatto avvenuto mesi prima e per il quale esistevano già due imputati.
I capi d’imputazione includevano rapina, tentato omicidio ai carabinieri, possesso illegale di armi e munizioni, ma nessuno di questi reati è stato confermato con prove. Inoltre, l’inizio del processo è stato posticipato in diverse occasioni per ritardi del Pubblico Ministero, una strategia che si ripete in diversi casi di detenzione preventiva di persone mapuche.
La difesa del territorio è un fronte di lotta storico in Cile, dove l’espandersi delle imprese estrattive nelle terre delle comunità si accompagna alla criminalizzazione e la repressione dei e delle leader che difendono la natura.
Alberto Curamil è stato incarcerato ingiustamente per più di un anno, e alla sua assoluzione si somma il riconoscimento internazionale ricevuto nel 2019 per il suo impegno nella protezione dell’ambiente.
Il Goldman Environmental Prize premia ogni anno sei attivisti nel mondo che si distinguono per la loro lotta in difesa del pianeta; la figlia di Alberto è andata all’evento di premiazione rappresentando suo padre e tutta la comunità mapuche del Cuaracautin.
Nell’intervista che segue, Alberto Curamil racconta la sua esperienza e riflette sulla situazione nel paese che lo accoglie all’uscita dal carcere, dopo due mesi di mobilitazione ininterrotta del popolo cileno.
Perché pensi che, nonostante la tua innocenza, ti abbiano privato della libertà per diversi mesi?
Per il semplice fatto di fare parte di un’organizzazione politica che ha come orizzonte quello della ricostruzione della nazione mapuche: l’Alleanza Territoriale Mapuche. L’ATM è composta da diverse comunità e territori del Wallmapu [il territorio mapuche, che si estende nel Cono Sud a cavallo tra Argentina e Cile ndr], ci sono approssimativamente 300 comunità che lavorano insieme a noi. L’obiettivo è poter riunire e articolare le comunità mapuche per recuperare il territorio. Abbiamo quindi messo in campo diverse pratiche per rivendicare i nostri diritti: non solo quelli territoriali ma anche i diritti culturali e spirituali. Attraverso la costruzione delle centrali idroelettriche viene messo in pericolo tutto quello per noi significa la vita e la nostra esistenza. Per questo abbiamo manifestato contro le industrie idroelettriche e le politiche del governo, non solo quelle dell’attuale, ma anche dei precedenti governi dello Stato cileno. Tutto questo ha generato la persecuzione da parte delle autorità cilene, in particolare da parte dei corpi speciali dei carabinieri e della polizia, e ha portato al mio arresto. Hanno cercato di coinvolgermi in un fatto grave, e questo per me ha significato la prigione per più di un anno qui nel carcere di Temuco.
Come è stato percepito lo ‘svegliarsi’ del popolo cileno nel carcere di Temuco?
Quando ci siamo resi conto, attraverso i mezzi di comunicazione, di come si stava generando questa ondata di mobilitazioni, ci ha trasmesso molta energia, molta forza, molta speranza, nel senso che i giovani sono stati quelli che hanno dato inizio alle proteste qui in Cile. Il nostro sguardo e la nostra attenzione è sempre stata rivolta ai giovani, perché loro sono il futuro della vita; quando loro si sono resi conto che venivano violati i diritti umani, i diritti della vita stessa, per noi è stato motivo di orgoglio, è stata un’allegria sapere che il popolo era insorto, che aveva iniziato ad agire, che si era spinto a combattere questo sistema economico che impoverisce le comunità e tutta la cittadinanza cilena.
La situazione politica in Cile sta cambiando costantemente, in modo rapido e radicale: come analizza questi mesi di proteste il popolo mapuche? Ci saranno cambiamenti negli obiettivi, strategie e pratiche di lotta?
Oltre alla rivolta e alle rivendicazioni dei cittadini cileni, ci sono proposte che vengono anche da parte del popolo mapuche. Noi stiamo valutando come e in che cosa partecipare: una premessa fondamentale per noi per poter partecipare è aprire la discussione sulla questione territoriale. Esiste un trattato firmato dallo stato cileno e la nazione mapuche nel 1825, e che lo Stato cileno ha violato e continua a violare tutt’ora. Quindi, se partiamo da questo fatto, oggi non possiamo percorrere la via istituzionale se non ci viene garantito il diritto al territorio.
Tua figlia Belén è dovuta andare a ricevere il Premio Nobel Verde al posto tuo, come avete deciso che sarebbe andata lei e cosa ha rappresentato per te questa decisione?
Credo che la decisone sia stata presa collettivamente, come ATM, ma è stata anche una decisione della famiglia; mia figlia è sempre stata una giovane attiva nel movimento, in tutte le attività culturali che abbiamo sviluppato qui nella comunità. Non posso negare che per me sia stato forte il fatto che lei mi abbia rappresentato pubblicamente, soprattutto fuori dal Cile. È stata una grande emozione perché l’avevo sempre vista piccola, però da un giorno all’altro l’ho ritrovata grandissima, si è trasformata in un gigante. È stato qualcosa di sorprendente. Orgoglio ed emozione, questo ho provato durante quei minuti, ma senz’altro ho provato anche molta impotenza nell’essere privato della libertà, e dover coinvolgere mia figlia in questo compito che anche per lei è stato piuttosto difficile.
Mentre ti trovavi in carcere si è parlato molto del Premio Nobel Verde per gli attivisti ambientali che hai ricevuto, sottolineando la contraddizione tra la tua persecuzione giudiziaria e questo importante riconoscimento internazionale. Ti definisci un attivista ambientale ed ecologista?
Ho iniziato dicendo che noi siamo per la difesa del nostro territorio. Io sono un mapuche e mi è toccato assumere un ruolo importante, serio, dentro della nostra cultura, come mapuche. Quindi quando arriva la repressione dello Stato, è legata alle azioni che realizziamo nel nostro territorio. Un territorio che viene minacciato da imprese forestali, imprese idroelettriche e minerarie, così come da diverse industrie che già si sono installate e inquinano l’aria. Sono molte le zone del nostro Wallmapu che oggi vengono minacciate e danneggiate direttamente da imprese estrattive. Noi rivendichiamo il legittimo diritto a resistere e difendere il nostro territorio. Io non mi definisco ambientalista, sento di avere delle differenze rispetto a quelli che dicono che faccio anche attivismo ambientale, per la difesa dell’ambiente, io mi definisco mapuche e la mia preoccupazione principale è la nazione mapuche, la difesa che stiamo portando avanti nel Wallmapu.
Lo Stato cileno, il sistema occidentale, è arrivato per separare, per esempio, l’acqua dalla terra, quindi ora il diritto all’acqua appartiene alle imprese straniere. Noi, come mapuche, non abbiamo diritto all’acqua e questo è un attacco alla nostra cultura, ai nostri principi, perché l’acqua e la terra per noi sono la vita, sono un tutt’uno, sono parte della natura. Il sistema occidentale viene qui a dividere, a separare, a creare istituzioni come un tribunale ambientale e altre regole che vengono imposte dallo Stato. Nonostante ciò, noi continuiamo a essere una nazione mapuche che difende la sua vita come parte della natura, noi facciamo parte di queste terre, noi siamo la natura.
Nel mondo occidentale è nato un movimento molto giovane contro il cambiamento climatico, la cui espressione più conosciuta è il Fridays For Future e la figura di Greta Thunberg, cosa ne pensi di questo movimento? La lotta del popolo mapuche come si relaziona con questo movimento?
È molto importante la lotta che sta promuovendo quest’organizzazione a livello mondiale, e la portavoce che sta lottando contro il cambiamento climatico sta giocando un ruolo fondamentale. Credo che nelle città questa battaglia si veda in modo distinto da come la vediamo noi, però questo non la rende meno importante. Quando dico che si vede in modo distinto è perché noi viviamo, conviviamo e siamo parte della natura. Siamo parte dell’ambiente, non è che dal niente ci sia venuta in mente l’idea di creare un’organizzazione per la difesa dell’ambiente, in questa battaglia mettiamo tutti noi stessi perché non abbiamo alternativa. Allo stesso tempo apprezziamo molto e valorizziamo lo sforzo, il lavoro, la difesa dell’ambiente e la lotta contro il cambiamento climatico che si sta mobilitando nelle piazze. D’altra parte, insisto, non si stanno toccando le imprese, per esempio, il modello economico che oggi sta distruggendo il sistema naturale della vita. Da questo punto di vista ci preoccupano i politici che intervengono solo a livello discorsivo, o attraverso le scuole e i canali televisivi, per dire di non gettare per strada i rifiuti, coltivare una pianta. Però le imprese continuano a invadere i nostri territori. È stata approvata una centrale idroelettrica giusto mentre ero chiuso in carcere, quindi è piuttosto contraddittoria la preoccupazione che esiste rispetto al cambiamento climatico.
13 gennaio 2020
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