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Istantanea da Madrid: metropoli di lotta e d’austerità

Le strade del centro, pure quelle notoriamente “addobbate” 24ore per trecentosessantacinque giorni l’anno per ingolosire turisti portatori di liquidità, sono tutt’altra cosa rispetto a quell’atmosfera di gioiosa e di ingannevole “speranza” democratica dell’era Zapatero. Oggi ogni angolo, ogni tavolino, ogni bancone vuoto dei punti di ritrovo classici della “movida” diurna come notturna, ogni muro silenzioso, grigio e “depurato” da scritte, pare covare in sé una rabbia sommessa ma crescente verso l’avvallo incondizionato della politica alle ricette d’austerity europee.

I dati socioeconomici reali, sommati all’altissimo tasso disoccupazionale, parlano da soli. Nell’arco di due/tre anni si sono registrati sensibili aumenti nel costo della mobilità, nel costo delle bollette, nel costo di acqua, pane, latte, dei cibi da asporto come e, non ultimo, il rincaro di qualsiasi tipo di medicinale.

Di contro, all’impossibilità sempre più diffusa di accedere al consumo, si fa più evidente la gentrificazione ossessiva delle piazze che storicamente dalla fine degli anni Settanta sono stati i luoghi della socialità giovanile e non solo, e ora presidiate giorno e notte dalle vetture della polizia municipale. Nei muri intanto non si scorgono più i grandi manifesti di sensibilizzazione dell’era Zapatero sulla tutela delle comunità LGBTQ e contro la violenza domestica e di genere, e prendono terreno i contenuti clericali.

Il peso dell’austerity sta “sventrando” le strade e le case, riempiendole di desolazione austera, ed è forte la sensazione quando ci si rende conto che il buon umore e la leggerezza del vivere di tanti e tante abbia ceduto il passo a volti preoccupati e in cerca di riscatto sociale.

Le università ex-pubbliche sono frattanto in completo sfacelo; la Complutense di Madrid per esempio si ritrova con 150 milioni di euro di debito, e gli studenti, molti dei quali si sono visti raddoppiare le tasse nel giro di un anno, son costretti a finire gli studi perché o non possono indebitarsi o perché non vogliono indebitare oltre modo le famiglie.

I media, come si deduce immediatamente dalle prime pagine di questi giorni, vengono schiacciati dal peso politico di Rajoy che instilla la paura costante di discostarsi dalle logiche che il suo governo e la BCE stanno perseguendo, a partire dal gravissimo strappo (Italia docet) di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Un’arma questa che le élites dall’alto potranno comodamente spendere in lungo e in largo nell’inasprire politiche fiscali e di asservimento alle grandi aziende della crisi, quelle volte ad usufruire quanto più possibile di manodopera gratuita.

In questo quadro decisamente “destro” e cupo, il movimento 15-M, nonostante non riecheggi più di tanto con scritte e manifesti nella metropoli, è riuscito a far passare nell’infosfera notevoli parole d’ordine che rimbalzano dalla rete alla strada e che, con le pratiche di massa di “Rodea el Congreso”, si è dato un nuovo passaggio: spostare l’opinione e il sentimento dei lavoratori iscritti al mondo dei sindacati su posizioni movimentiste.

La crisi della rappresentanza in città ha di fatto scardinato tutto l’apparato di coesione sociale e di sussunzione delle istanze di lotta del PSOE, che oltretutto nel contesto nazionale si è visto ulteriormente umiliato in Galizia come nel Paìs Vasco. A giovarne la destra neoliberale e quella ultranazionalista; Rajoy e i suoi si ritrovano ora con ampi margini per poter ulteriormente stravolgere e piegare il diritto costituzionale da qui a pochi anni, sempre che il movimento non gli dia una gigantesca spallata in continuità con gli ultimi due/tre mesi di mobilitazione. La centralità di rimettere in discussione, attaccare, acuire per certi versi la crisi della democrazia rappresentativa è il trait-d’-union tra le azioni del 15-M e l’opinione pubblica visibilmente ingessata, in un clima d’incertezza del presente che nasconde una latente tensione sociale.

A Madrid il coinvolgimento emozionale del 15-M è stato talmente forte e trasversale che tuttora, dalle assemblee universitarie al quartiere, la metodologia e la natura delle condivisioni delle proposte scevre dal volersi ergere a ceto di chicchessia, sono parte integrante del fare movimento. E’ anche nel metodo e nel continuo ritorno su di esso che si è data la potenza ricompositiva delle acampadas oltre le adunate di piazza iniziali.

Dove rivediamo quella potenza all’interno del tessuto urbano madrileno? Un esempio è sicuramente l’opposizione via via sempre più sistematica agli sfratti; momenti, questi, in cui il protagonismo di tanti e tante riesce a generare una risposta immediata e di massa di figure non militanti, ma che riconoscono nell’opposizione anche fisica allo sfratto manu militari un momento centrale di solidarietà e un terreno di rifiuto immediato delle logiche politiche dell’ austerity.

Da quando gli “indignados” hanno preso corpo e organizzazione, portando avanti mobilitazioni ad altissima frequenza, la paura verso le dimostrazioni muscolari del potere sta venendo sempre meno, e il focus del discorso portato avanti da tante e tanti ribelli si concentra sulla creazione di altri centri di decisionalità dal basso, da un lato, e sulla continuità della pratica dell’ “assedio” al Congreso dall’altro, senza dimenticare che le Università e le scuole in agitazione potranno portare ulteriore conflittualità a tutto campo nel segno della riappropriazione di spazi e saperi contro la capitale dell’austerità.

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