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L’Argentina lotta per raccontare la storia di Marita Verón

La vicenda di “Marita” comincia 10 anni fa, il 3 aprile 2002, quando viene sequestrata nella sua città, San Miguel de Tucumán (nell’Argentina settentrionale), mentre si recava ad un esame medico. Aveva 23 anni e una figlia di 3. Da allora sua madre, Susana Trimarco, e sua figlia non hanno mai smesso di cercarla.

Vari sono stati gli avvistamenti e le testimonianze che l’hanno registrata in diversi luoghi, come nella provincia nord-occidentale di La Rioja, dove sarebbe stata condotta a forza per lavorare in qualcuno dei cosiddetti ‘postriboli’ o ‘whiskerie’. Marita sarebbe riuscita almeno una volta a scappare dalle maglie della schiavitù, venendo però riconsegnata ai suoi sfruttatori dalla stessa polizia. Secondo una testimone sarebbe poi forse stata portata in Spagna. In tutti questi spostamenti e nel corso degli anni la sua famiglia e soprattutto la madre l’ha seguita, trovando a volte tracce del suo passaggio, ma soprattutto scoprendo una rete di tratta internazionale fatta di connivenze fra le mafie del narcotraffico ed il potere politico, il potere giuridico e quello di polizia dello stato argentino.

Susana Trimarco non si è fermata di fronte alle minacce di morte, all’incendio della sua casa, ai messaggi intimidatori; prima di diventare un personaggio pubblico è arrivata persino ad infiltrarsi nelle reti di tratta entrando nei postriboli, per fingersi interessata all’acquisto di ragazze. Nel corso delle sue ricerche ha visitato molti locali, collaborando alle indagini per ritrovare e sottrarre oltre un centinaio di donne alle maglie dello sfruttamento. Nel 2007 ha creato a questo scopo la fondazione María de los Angeles, dove vengono fornite assistenza psicologica, sociale e legale alle donne vittime di tratta. 

Le cifre stimano intorno al mezzo milione in Argentina oggi le persone vittime di tratta, che riguarda in senso più ampio anche lo sfruttamento del lavoro nero – di donne, uomini e bambini/e. Rispetto alla prostituzione sono varie migliaia le donne (e non solo) che finiscono ogni anno nel buco nero dello sfruttamento sessuale; ottomila i locali atti a questo scopo in tutto il paese, di cui mille solo a Buenos Aires (qui alcuni dati forniti da organizzazioni istituzionali e ONG che lavorano contro la tratta). Un affare di enorme portata che unisce narcotraffico e traffico di esseri umani, con l’avvallo dei poteri istituzionali che oltre a trarne profitto garantiscono l’impunità a chi vi è implicato.

La lotta di Susana Trimarco in Argentina è stata funzionale alla promulgazione, nel 2008, della Legge contro la tratta di persone. La legge presenta tuttora diverse lacune e punti deboli, e lo scontro con i poteri “forti” è comunque continuo: nel novembre di quest’anno è stata bocciata la proposta di riforma della legge, finalizzata all’inasprimento delle pene per i trafficanti.

Del resto se pensiamo all’imponenza del processo del caso Verón e alla sentenza di due giorni fa risulta lampante il livello di impunità e protezione da parte dei poteri istituzionali. Un processo cominciato l’8 febbraio di quest’anno che in 10 mesi ha visto deporre in aula circa 150 testimoni, fra cui anche 24 donne ex vittime di tratta, contro i tredici imputati. Sei donne e sette uomini, fra cui un ex poliziotto e i membri di una importante famiglia di La Rioja, i Medina-Gómez, proprietaria di molti postriboli in città, riconosciuti come tali dalla corte tucumana. Ma secondo i giudici che hanno emesso la sentenza (Alberto Piedrabuena, Emilio Herrera Molina e Eduardo Romero Lascano del Tribunale Penale di Tucumán) le dichiarazioni deposte da molti testimoni non sono sufficienti a provare il sequestro di Marita, né che questo fosse eventualmente stato ai fini dello sfruttamento sessuale.

La reazione di fronte alla sentenza ha prodotto indignazione e rabbia in tutto il paese, dove dalle prime ore organizzazioni, associazioni e collettivi che lavorano contro la tratta hanno lanciato mobilitazioni per i giorni successivi. La madre di Marita, da sempre determinata a continuare la lotta fino al ritrovamento di sua figlia, ha reso pubblica la volontà di ricorrere contro la sentenza arrivando se necessario fino alla Corte Internazionale dei Diritti Umani; ha aggiunto inoltre che si batterà affinché i tre giudici corrotti vengano dimessi dall’incarico.

Alta l’attenzione anche sulle reti sociali dove è da subito partito il tamtam, con gli hashtag #MaritaVerón e #JusticiaporMaritaVerón arrivati in vetta a trending topic nazionali. Un gruppo che si è identificato come Anonymous Argentina ha lanciato il Tango down per il sito della Giustizia di Tucumán, provvedendo anche a vari escrache in cui hanno reso pubblici dati personali relativi ai tre giudici del processo.

Il giorno successivo al processo, il 12 dicembre, manifestazioni di protesta hanno avuto luogo in molte città del paese. Nella capitale porteña la rabbia scaturita dalla sentenza ha prodotto scontri di fronte alla Casa di Tucumán, dove i manifestanti hanno abbattuto i jersey che proteggevano la struttura nel tentativo di entrare, riuscendo a sfondarne le vetrate; in seguito la polizia federale ha disperso la folla con cariche e lacrimogeni (video).

La Presidenta Cristina Fernandez de Kirchner non ha perso occasione per pronunciare dure parole contro la sentenza e contro la corruzione dei giudici, dichiarando il suo impegno nella battaglia per la “democratizzazione della Giustizia”. Per la seconda volta in una settimana il capo di stato torna ad attaccare il potere giuridico, con un discorso che agli occhi dei più maliziosi (e non solo) strumentalizzerebbe in caso ai fini di propaganda nella sua crociata contro il gruppo mediale Clarín. Lo stesso potere giuridico corrotto infatti sarebbe colpevole di aver faziosamente respinto pochi giorni fa il ricorso del governo per l’applicazione della Ley de medios (legge che dovrebbe regolare la concentrazione dei media nelle mani dei grandi monopoli informativi nazionali).

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