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Tunisia: La dégage mania VS il partito della reazione

Dalla regione del Regueb la Carovana della Liberazione aveva raggiunto la Casbah di Tunisi. Era partita da Menzel Bouziane sull’iniziativa spontanea di alcune centinaia di studenti e giovani disoccupati e poi in poche ore aveva raccolto la solidarietà e la partecipazione di tutto il movimento rivoluzionario tunisino. Ad arrivare alla Kasbah infatti furono in migliaia tra avvocati, sindacalisti, operai, medici, studenti universitari e delle superiori accolti tra gli applausi del movimento della capitale.

Per più di una settimana la Carovana della Liberazione ha funzionato da presidio sociale di massa contro il così detto governo di transizione guidato da Ghannouchi, eminenza grigia del regime di Ben Ali. Mettendo il fiato sul collo alle istituzioni e dando manifestazione pubblica alle rivendicazioni politiche e sociali della Tunisia in lotta, la Carovana è riuscita a costruire un evento importante di contro potere, garantendo anche la continuità di lotta e organizzazione del movimento. La potenza politica del presidio è riuscita a far tremare il governo che il 27.01.2011 veniva sciolto e riformato da Ghannouchi. Il nuovo governo non aveva più figure impresentabilissime del vecchio regime e dell’RCD che invece erano alla direzione dei ministeri chiave nel primo post-Ben Ali.

Dopo una settimana di scioperi generali, che avevano accompagnato e sostenuto in tutto il paese la carovana della liberazione, il sindacato tunisino (UGTT), o meglio i suoi alti vertici della capitale, appoggiavano la presentazione dei nuovi ministeri riconoscendo il neo-governo di transizione. Ghannouchi ha ceduto alla pressione del movimento che dopo la fuga di Ben Ali ha orientato le lotte immediate contro la persistenza del tessuto clientelare, l’RCD, e gli uomini dell’apparato repressivo del dittatore.

Gli assalti di massa alle sedi dell’RCD, i presidi davanti agli edifici delle istituzioni regionali reclamanti le dimissioni dei funzionari del regime, e la richiesta ripetuta ad oltranza di avere giustizia di quanti hanno fatto funzionare il sistema economico, politico e istituzionale di Ben Ali ci spiegano come il movimento, dopo aver focalizzato l’attenzione sul tiranno nelle giornate poco precedenti alla sua fuga, ha poi riallargato la prospettiva e per mezzo dei social network e dei comitati di solidarietà ha organizzato quello che si presenta come un orientamento estensivo delle lotte.

Da “Ben Ali vai via” si è tornati, con l’accumulazione di maggiore forza politica, all’ “andatevene via tutti” delle prime giornate di mobilitazioni insurrezionali di dicembre. In Tunisia i giovani proletari e il movimento la chiamano la ”dégage mania”, o “la dégage attitude”, che potremmo tradurre con la “fuori dai piedi mania”, ed è l’espressione dello slang della rivolta che traduciamo con il lessico del rifiuto e dell’antagonismo. L’autonomia di classe che prorompe dalla composizione sociale delle lotte in Tunisia rifiuta dal suo interno, destrutturandolo, lo schema biopolitico del discorso islamista, ne neutralizza l’efficacia, e articola, all’esterno, un piano antagonista di lotta estensiva che è immediatamente destabilizzazione del vecchio regime che perdura e persiste, li sbatte fuori entrambi.

 

 

Il partito della reazione si organizza.


Non è un caso che nelle ultime settimane le milizie squadriste abbiamo iniziato a colpire nuovi obiettivi, non più solo alcuni quartieri operai e le sedi sindacali, ma anche e soprattutto le scuole superiori, quelle più attive nelle lotte, provando ad attaccare dei nodi importanti d’organizzazione e sviluppo del movimento.

Le milizie con la prassi squadrista vogliono rapinare la formazione in lotta delle più grandi conquiste del momento: l’auto organizzazione, lo sciopero, il dibattito e l’azione politica. Allo stesso tempo le milizie dei fedelissimi di Ben Ali, dei suoi clan mafiosi, e strumenti più o meno consapevoli del governo di transizione, hanno tentato di provocare il movimento attuando danneggiamenti, mal riusciti e ben smascherati, contro edifici religiosi non musulmani (come nel caso di un finto assalto ad una sinagoga del sud della Tunisia), con l’obiettivo di invertire e sabotare la tendenza post-islamista del movimento.

Le milizie (organizzate su un complesso intreccio di livelli di potere, ministero degli interni, polizia politica e clan mafiosi) sono anche intervenute direttamente al fianco della polizia il 28.01.2011 quando il nuovo governo, forte dell’appoggio dei vertici del sindacato, dei media ufficiali e dell’esercito ha ordinato lo sgombero della Casbah occupata da giorni dalla Carovana della Liberazione.

Si tratta della prima azione militare e radicale del “partito della reazione” locale (sostenuto da tutte le cancellerie occidentali), che all’indomani della nomina dei nuovi ministri, ha voluto alzare dei confini armati oltre i quali non è consentito andare. Diversi dossier, foto e video raccolti da avvocati e da esponenti della società civile descrivono l’assalto alla carovana della liberazione come un gravissimo episodio pianificato di repressione e violenza. Le milizie che da giorni provocavano il presidio sono state filmate e viste da diversi testimoni mentre seminavano immondizia e droga insieme alla polizia sulla piazza da poco sgomberata, mentre il resto della celere inseguiva fino al centro città migliaia di manifestanti, che a causa dell’attacco improvviso, non hanno potuto fare altro che fuggire o ripararsi dove possibile. I media ufficiali si sono prestati in larga parte a diffondere notizie manipolate che descrivevano i promotori della carovana come pezzenti drogati e sudici contadini venuti dal centro della Tunisia per molestare la tranquillità riscoperta nella capitale.

Con lo sgombero violento e brutale della Casbah (già al centro di inchieste di associazioni internazionali per i diritti umani) “il partito della reazione” in Tunisia sperimentava per la prima volta, dopo la fuga di Ben Ali, l’attacco in grande stile all’autonomia di classe: parziale apertura politica (tramite il rimpasto di governo), ripiego ultra repressivo (tramite la polizia e la milizia, e l’utile neutralità dell’esercito che ha silenziosamente approvato la mattanza) e manipolazione mediatica.

Unitamente al recupero di alcuni elementi dei ceti riformisti dell’opposizione politica e i quadri alti del sindacato, il partito della reazione si compatta ed articola le iniziative per neutralizzare almeno i livelli più avanzati delle lotte, alludendo anche alla disponibilità di aprire alle fazioni islamiste una volta fuori legge. Come nel caso di Annahda, organizzazione islamista tunisina, che recentemente è stata raggiunta dai suoi vertici in esilio ed ancora per legge formalmente ricercati, che hanno dichiarato la volontà di inserirsi all’interno del sistema dei partiti del regime democratico che dovrebbe configurarsi dopo le prossime elezioni.

Lo stop and go di repressione ed aperture politiche, l’utilizzo dei media ufficiali (privi di controllo sociale), il recupero di parte dei ceti riformisti e la legittimazione delle fazioni islamiste riscopertesi radicalmente liberali, sembra la tendenza politica attuale sperimentata dalla reazione, che pare già far scuola altrove, visto che anche in Egitto il Fratelli Musulmani hanno accettato di sedersi al tavolo delle trattative proposte da Souleimane, vice presidente egiziano e uomo forte della CIA nel medioriente, ricevendo dalla piazza un secco e risoluto no, messo poi nero su bianco dal comitato 6 aprile, organizzatore e protagonista fin dalle origini delle mobilitazioni che rifiuta ogni compromesso con l’apparato statale di Moubarak.

 

 

Ancora una volta vis-a-vis, ed è solo l’inizio…


Dopo lo sgombero della Casbah, la Carovana della Liberazione riporta i suoi militanti, l’avanguardia spontanea di lotta, a casa dove le narrazioni di quanto accaduto occupano le assemblee e il dibattito di tutte le città. Dai social network si diffondo video e foto di quanto accaduto e si rilanciano nuovi appuntamenti di lotta contro il governo e l’RCD.Vengono organizzati scioperi generali in molte località, dove l’organizzazione sindacale, in contrasto con i vertici della capitale, appoggia e promuove la mobilitazione contro il Governo e alcuni istituti superiori dopo le assemblee decidono di alzare il livello di agitazione. Intere città tornano a fermarsi mentre il governo, il 2.02.2011 annuncia la nomina dei nuovi governatori nella maggioranza uomini dell’establishment dell’RCD.

Il governo delegittimato e contrastato dalla contrapposizione sociale sfida il movimento e dopo lo sgombero della Casbah risponde agli scioperi con la conferma dell’RCD nel quadro istituzionale regionale. L’indignazione e la rabbia torna a far sollevare le piazze che lanciano i presidi stabili fuori dai governatorati per impedire materialmente l’ingresso degli uomini del regime nei palazzi del potere locale. Il 4.02.2011 si riunisce per la prima volta l’ordina nazionale degli avvocati al cui termine viene pubblicato il documento che traduciamo perché utile a comprendere con precisione gli eventi:

 

ORDINE DEGLI AVVOCATI TUNISINI: Congresso del 04.02.2011

  • La rivoluzione non è finita ma è appena iniziata
  • Mohammed Ghannouchi e Fouad Mebazaa non hanno nessuna legittimità vista la loro complicità con il regime di Ben Ali
  • La nomina dei governatori è una truffa e il popolo deve rifiutare i nuovi governatori
  • Le commissioni non hanno altro obiettivo se non di impedire le riforme e la giustizia
  • Le elezioni presidenziali non si devono tenere fin quando il popolo non ha scelto il tipo di governo che preferisce (parlamentare, presidenziale, o altri)

 

Il congresso richiede:

  • La dissoluzione immediata del Governo illegittimo
  • La nomina dalla società civile di commissioni indipendenti e il ricorso alla giustizia
  • La dissoluzione immediata dell’RCD e l’espropriazione dei suoi bene
  • Il proseguo della mobilitazione per raggiungere una vera democrazia

Gli avvocati, l’ordine intero, mantiene salda la connessione con il movimento rivoluzionario, anzi con questo comunicato rilancia le istanze della lotta che torna ad estendersi in tutto il paese per contrastare i provvedimenti del regime. E’ in questo contesto, fatto di scioperi, mobilitazione permanente, e presidi stabili, è contro questo farsi largo dell’autonomia di classe che il regime, forse sorpreso dalla tenuta e rilancio di lotta e organizzazione, ripiega ancora una volta sul piano militare.

Venerdì 4, quasi a rispondere al documento dell’ordine degli avvocati, vengono arrestai due ragazzi attivi nelle lotte a Sidi Bouzid, (la città di Mohamed Bouazizi il laureato che si suicidò pubblicamente dando il via alla mobilitazione) e vengono condotti nel pomeriggio dentro un commissariato, la sera ne usciranno cadaveri e i medici dichiareranno dopo l’autopsia che sono stati arsi vivi. Vengono incendiati i posti di polizia e le macchine delle forze dell’ordine, il movimento torna in strada a Sidi Bouzid e, nella rabbia e nell’indignazione, fa appello alla mobilitazione.

Sabato 5 febbraio le grandi e piccole città della Tunisia tornano a sollevarsi e in molti casi riescono a cacciare i governatori dell’RCD nominati dal governo Ghannouchi, ma è nel sud del paese, come a Kebili e Kef che la polizia torna a sparare e ad uccidere diversi manifestanti (per ora il numero è di 7 morti e decine di feriti per arma da fuoco).

Domenica e lunedì 7 le mobilitazioni e le iniziative di solidarietà fanno tornare, nelle strade di tutta la Tunisia, il movimento vis-a-vis con il regime, in cui l’autonomia di classe continua a farsi strada rifiutando le tragicomiche iniziative riformiste di un establishment delegittimato fin dalla sua origine e continuando a perseguire i propri fini di liberazione dalla dittatura e dalla crisi capitalista.

La reazione, che torna a sollevare i fucili, sembra non riuscire a soffocare e neutralizzare il movimento, neanche in questa fase in cui i vertici del sindacato tentano di immobilizzare l’attivismo dei propri quadri medi e bassi per favorire il governo di transizione. La “dégage mania”, il “que se vayan todos” delle lotte di classe in Tunisia ancora una volta non cede alle pallottole, ma anzi rilancia, insieme a chi ancora presidia in queste ore piazza ElTahrir in Egitto, il divenire rivoluzionario della costa sud del Mediterraneo che nel fine settimana potrebbe avere ad Algeri il nuovo porto da cui salpare.

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