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Villa Amalias: ‘Nessuno può toglierci ciò che ci appartiene’

Tanto mi congela il silenzio del mattatoio blindato, quanto li terrorizza la rabbia della bestia intrappolata.
Noi siamo questi. Noi e le migliaia di manifestanti, occupanti, scioperanti, combattenti nelle piazze. Siamo i senza casa e i vagabondi, i punk e i balordi, i vegetariani e le femministe, i nottambuli e gli operai, gli indigenti e quelli che subiscono il torto, le vittime del razzismo e i vendicatori del torto…

Dal mattino del 20 dicembre 2012 in cui la casa occupata Villa Amalias si è trovata nel mirino degli apparati repressivi dello Stato e della disinformazione mediatica, il tempo trascorso è stato breve ma denso. Un tempo durante il quale gli “apparati di esercizio della violenza legale” sono riusciti a tenere in ostaggio* 8 nostri compagni e compagne, oltre a toglierci il nostro spazio, la Grande Casa del Movimento, tenendoci lontano dai 2 edifici nei quali viviamo in modo paritario, ci esprimiamo e creiamo contro il mercato, costruiamo le infrastrutture del movimento e plasmiamo in modo auto-organizzato la Resistenza e la Lotta contro il Potere e la sua “civiltà”. Durante questi pochi giorni si sono materializzate davanti ai nostri occhi la Solidarietà e la Fratellanza, espresse in modo vasto, spontaneo e collettivo in ogni angolo di questo paese, ma anche fuori di esso. Questa realtà tangibile ci dà la forza di prendere in considerazione la necessità della sua riconquista, possibilità materiale della nostra caparbietà collettiva.

Il primo ministro Samaras, tronfio di ideologie nazionaliste e imperiali, ha dato l’ordine di reprimere e il suo sceriffo Dendias ci ha chiamati “centro di senza legge” mandando i suoi agenti a “ristabilire la legalità”; nel frattempo i loro partner del “centrosinistra nel governo” insieme al “democratico” sindaco Kaminis recitavano Ponzio Pilato. I neonazisti e tutta la canaglia fascista neoeletta in parlamento si rallegrano in silenzio, vedendo i loro elettori in divisa aprire la strada e raggiungere momentaneamente l’obiettivo che gli apparati di Stato o gli apparati manovrati dallo Stato non hanno raggiunto nei precedenti attacchi contro di noi. I pappagalli dei grandi Media ci hanno battezzati “violenza Amalias”, giornali sensazionalisti e fascistoidi (come l’Espresso) ci chiamano “villa delle molotov” e i “Vyshinsky” dei telegiornali sognano “la nostra fine”. La verità sta nuda e cruda davanti agli occhi di tutti quelli che vogliono vedere: parlano di “senza legge” quelli che deridono le loro stesse leggi, quelli che nei tempi dittatoriali della “migliore democrazia mai avuta” governano a colpi di decreti legislativi, quelli che per imporre il dissanguamento della classe operaia e la macelleria sociale, la svalutazione del lavoro e la massificazione della disoccupazione, la svendita a costo zero della rimante proprietà pubblica al capitale privato, rendono carta straccia la loro stessa costituzione e le delibere della loro “giustizia”. Parlano di incappucciati i discendenti degli incappucciati dell’occupazione nazista, dei quinsling e dei borsaneristi. Parlano di quartier generale della violenza quelli che durante ogni sciopero o manifestazione versano il sangue dei manifestanti e li bombardano di lacrimogeni, quelli che reprimono e bersagliano ogni manifestazione operaia e ogni spazio autogestito, quelli che criminalizzano e perseguitano ogni focolaio di resistenza e ogni voce disobbediente, quelli che incarcerano “poveri diavoli” e gente in lotta, quelli che ammassano in campi di concentramento immigrati e profughi, quelli che proteggono e coccolano i vili accoltellatori fascisti, quelli che impongono tramite la violenza e la menzogna, la paura e il terrore la fascistizzazione della società, l’impoverimento e la devastazione della nostra vita. Parlano di democrazia quelli che stanno instaurando uno stato di emergenza permanente, il totalitarismo moderno.

Lo sappiamo noi come lo sanno pure loro. Possono chiamare come vogliono le vuote bottiglie di birra, il petrolio per la stufa e gli essenziali mezzi di autodifesa e di autoprotezione di uno spazio sociale-politico-culturale aperto, che da anni è diventato bersaglio di attentati incendiari e di accoltellamenti da parte di fascisti che hanno avuto come risultato ferimenti e danni materiali. D’altronde, come accade anche nei tre precedenti raid polizieschi durante tutti questi anni, cosi gli oggetti ritrovati il 20 dicembre non hanno soddisfatto minimamente le aspettative del quartier generale della polizia che parlava di “arsenale”, di “laboratorio di fabbricazione di molotov”, di “centro di tossicodipendenti”. Nonostante la loro propaganda, nonostante la distorsione della realtà, non possono trasformare il pesce in carne.

L’occupazione Villa Amalias si è trovata nel mirino operativo della repressione per quello che è e per quello che sta facendo negli ultimi 23 anni: vogliono cancellarci dalla mappa del centro della metropoli di Atene perché invece di fare la fila per prendere un prestito dalla banca e diventare proprietari siamo occupanti; invece di ritirarci nella nostra sfera privata e nell’isolamento abbiamo scelto la strada della resistenza collettiva e della lotta senza mediazioni; invece di accettare la delega, le gerarchie e l’eterodirezione agiamo in modo autonomo ed egualitario cercando di soddisfare i nostri bisogni e desideri in modo auto-organizzato; invece di inseguire lo splendente nulla del (ormai sputtanato) lifestyle e del profitto realizziamo e proponiamo il nostro mondo randaggio dell’espressione e della cultura anti-commerciale; invece di credere  alla favola della “gentrificazione” e dello “sviluppo” del centro di Atene – cioè l’avanzamento del capitale palazzinaro sul corpo di questa metropoli – abbiamo scelto di riparare con le nostre mani e tenere in vita uno spazio che amiamo molto di più di tutti i ministri, tutti i procuratori della repubblica, di tutti i sindaci. Vogliono cancellarci da questo quartiere multietnico e povero perché invece di piagnucolare per questo schifo di vita che ci offrono, rivendichiamo nel nostro quotidiano la Vita che ci stanno rubando, invece di sputare veleno razzista siamo solidali con i diseredati e i perseguitati di questo mondo, invece di cannibalizzare quelli che stanno sotto di noi entrando nelle schiere fasciste, costruiamo nei nostri quartieri ponti di contatto e convivenza tra autoctoni e immigrati, scaviamo trincee contro i pogrom fascisti, erigiamo dighe contro l’espandersi dell’apartheid razzista.

È vero che stiamo vivendo la fine di un’epoca, ma non quella della nostra epoca. Il mondo della resistenza e della lotta, il mondo delle strutture autogestite di mutuo aiuto e di solidarietà, le migliaia di persone per cui Villa Amalias è una parte della vita, carne della loro carne, tutto ciò è un’immagine del futuro, viene da molto lontano e andrà molto più lontano di quello che i lor signori vogliono credere. Stanno perseguitando chimere, troveranno incubi.

Nessuno può toglierci ciò che ci appartiene
Occupazione per sempre Villa Amalias

Casa Occupata Villa Amalias.
24.12.2012

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