Il terremoto infinito… 40 anni dopo
Quarant’anni sono passati dal “minuto che ha rotto l’Italia”. Il terremoto dell’Irpinia con il suo portato catastrofico ha segnato profondamente la memoria collettiva del paese.
Sul terremoto saranno costruite narrazioni, miti ed eroi che a quarantanni di distanza risuonano nei telegiornali e sui mezzi di informazione. Mettere in relazione il terremoto e la pandemia di Coronavirus è facile, molti lo fanno, tra i primi il Presidente della Repubblica Mattarella. Ma ciò che viene sottolineato in queste narrazioni è più che altro lo spirito di sacrificio, la solidarietà, l’agire comune che, nelle catastrofi, ha mosso la popolazione, e poi la rinascita, magari si con qualche contraddizione, ma pur sempre un “ritorno alla normalità”.
Eppure c’è un’altra faccia di questa relazione tra catastrofi che sulle pagine dei giornali trova pochissimo spazio. Cioè il rapporto tra queste catastrofi e il sistema di sviluppo in cui viviamo. Un rapporto che si articola in tre fasi: prima, dentro e dopo il disastro. Ebbene questo rapporto effettivamente risuona con più chiarezza a chi legge le vicende dell’Irpinia con lo sguardo dell’oggi, con il panorama incerto della pandemia.
Se al tempo si parlava di assenza di prevenzione, di impreparazione, di sottovalutazione del rischio, di speculazione, di determinanti socio-economiche della tragedia, di abbandono dei territori, del Sud, dei Sud e si sarebbe potuto parlare di rapporto tra uomo e natura, tra capitale e natura… beh la relazione tra catastrofi risuona ancora più forte. E poi c’è la ricostruzione, la rinascita, il ritorno alla vita, o meglio alla vita secondo l’ordine capitalista, che attiva un meccanismo dove la tragedia diventa opportunità per pochi, arricchisce i soliti, impoverisce gli altri. Privatizzazioni, speculazione edilizia, corruzione e poi ancora abbandono: il terremoto infinito, proprio come la valorizzazione capitalista e lo sfruttamento in questa società. Cosa c’è da aspettarsi dal “ritorno alla normalità”? Un assaggio l’abbiamo avuto tra la prima e la seconda ondata. Molto dipenderà da quanto si prenderà coscienza dell’economia della catastrofe e si elaborerà una capacità collettiva di spezzarla, di spezzare il ciclo del disastro. Di seguito riprendiamo da ecn.org un documento di CSOA Officina 99 e Lab.occupato SKA che rielabora a diversi anni di distanza quanto successo dopo il terremoto e lo speciale di Radio Onda d’Urto che racconta l’esperienza del Centro di Solidarietà Proletaria.
Note su una catastrofe e su quello che ne è seguito.
23 Novembre 1980 : la terra trema ! In 90 terribili secondi si consuma una drammatica scossa sismica che causa oltre 3.000 morti e parecchie decine di migliaia di sfollati. Nella provincia di Avellino e in quella di Salerno interi paesi scompaiono sotto le rovine ( nella sola Laviano rimangono uccisi quasi il 50% degli abitanti); a Napoli crolla la torre di via Stadera : farà da sola circa 100 morti…
Mai catastrofe naturale é veramente solo una catastrofe naturale e il terremoto in Campania ha prodotto effetti tanto terribili anche per l’inesistenza di qualunque politica di prevenzione in una zona sismica come la nostra, sventrata piuttosto dalla speculazione edilizia. Ma il terremoto del 1980 mette anche drammaticamente in luce un altro dramma : il dramma sociale della società meridionale !
Una catastrofe con tanti nomi : sottosviluppo, disoccupazione endemica, senzatetto, clientelismo, speculazione, sfruttamento e depauperamento del territorio. L’incrocio fra la potenza devastante del sisma e i nodi sociali della cosiddetta “questione meridionale” fanno del 23 novembre ’80 un crocevia decisivo nelle vicende politiche e sociali della regione e dell’intero paese. Nei mesi seguenti un duro scontro si aprirà tra la tensione di migliaia di proletari ad autorganizzarsi per conquistarsi diritti fondamentali e la prepotenza con cui le strutture di potere rinsalderanno il controllo politico per garantirsi i profitti.
Ma andiamo con ordine : nelle 48 ore seguenti al sisma gli apparati di potere della democrazia cristiana nelle province interne risultano anch’essi “fisicamente terremotati”… Molti sindaci, spaventati, letteralmente scappano via mentre la stessa prefettura di Salerno si dimostrerà incapace di fronteggiare la situazione e il prefetto sarà rimosso dopo poco.
La cultura di un ceto politico da sempre intento a curare solo i propri interessi pare inadeguata a fronteggiare la drammaticità della situazione. In quelle stesse ore, spinto anche dalla tragedia, pian piano il protagonismo popolare riempie il vuoto istituzionale con la propria iniziativa. La rabbia verso uno stato “nemico” anche nel ritardo dei soccorsi si mescola con la solidarietà fra chi ha perso tutto. Le famiglie sono in molti casi materialmente distrutte e tanti paesi sperimentano fin dalle primissime ore un nuovo modo di essere comunità
Ci si organizza per scavare i morti, per recuperare i feriti, per occupare i comuni e sostituire amministrazioni dissolte nel rilascio di certificati e documenti, finanche per garantire il cibo a tutti. Quando il giorno seguente il presidente Pertini arriva a Laviano semidistrutta, è identificato dalla rabbia popolare come simbolo di quello stato lontano e colpevole ed un militante comunista lo colpisce con una sassata. Tornato a Roma Pertini avrà una durissima sortita televisiva contro il malgoverno democristiano e i drammatici ritardi nell’organizzare i soccorsi.
Il giorno seguente il Pci annuncerà la definitiva chiusura della fase del “compromesso storico” con la Dc ritenendo indispensabile una “alternativa di sinistra”. Nei fatti il processo di corrompimento politico del partito andrà avanti e la gestione consociativa con la democrazia cristiana continuerà anche nelle successive vicende “dell’affare terremoto”. La Dc reagisce al possibile disfacimento del suo controllo con la nomina di Zamberletti quale “commissario straordinario per il terremoto”.
Si apre così la pratica dei commissariamenti (formalmente provvisori ma dureranno un decennio) : come negli anni ’70 si era risposto alle istanze di libertà e di emancipazione con le leggi dell’emergenza, ora la cultura emergenziale si trasferiva anche al campo amministrativo. Zamberletti costituirà così un potere superiore ad ogni organo democratico e agli stessi prefetti, disponendo senza alcuna trasparenza degli uomini, dei mezzi e delle ingentissime risorse finanziarie che saranno stanziate. Con l’alibi dell’efficienza si colmava il vuoto di potere in chiave autoritaria “commissariando” la già precaria vita democratica della Campania per garantire gli interessi forti dalle possibili insidie dell’iniziativa popolare.
In molti paesi colpiti dell’Irpinia e del Salernitano cominciano intanto ad organizzarsi i “comitati popolari” che avranno un punto di riferimento in Rocco Falivena, militante di Lotta Continua passato poi al Pci. Inizialmente partiti come esperienza di supporto ai soccorsi, i comitati cominciarono ad assumere l’iniziativa politica rappresentando gli interessi calpestati delle popolazioni locali. C’era una premessa importante a questo moto di organizzazione popolare ed erano le lotte dei braccianti : nella piana del Sele già da qualche anno decine di migliaia di braccianti si erano mobilitati per l’avviamento pubblico al lavoro, per il funzionamento degli uffici di collocamento contro il caporalato, che invece era diffusissimo e consentiva ai padroncini del ciclo del pomodoro, delle fragole ecc. di risparmiare fino al 70% dei salari minimi previsti per la categoria ! Le lotte erano continuate anche con episodi come l’occupazione di terre ( ad es. nel ’79 a Persano le terre furono sottratte alla gestione dei militari dopo un duro scontro).
L’afflusso dei volontari (30.000 da tutta Italia) completò l’opera : erano i giovani politicizzati degli anni ’70, in molti casi aderenti a organizzazioni della sinistra extraparlamentare, che entrarono subito in contatto con la popolazione locale contaminandosi reciprocamente. Ben presto Zamberletti mostrerà insofferenza a questa presenza tentando a più riprese di “ripulirla” almeno dei soggetti più radicali.
A metà dicembre del 1980 si riuniva per la prima volta dopo il terremoto (era passato un mese !) il consiglio regionale e l’irruzione al suo interno dei comitati popolari rappresentò il primo momento di grande visibilità del movimento. I comitati vogliono prendere parola su tutto, dalla gestione dei finanziamenti al riallocamento dei paesi ricostruiti, rappresentando la rabbia di migliaia di persone costrette poi per anni a vivere nei containers.
Una partita decisiva si gioca anche nel Pci sul ruolo dei comitati popolari : la sinistra interna vuole farne un movimento autonomo, garante degli interessi delle popolazioni colpite nei confronti della controparte istituzionale, per impedire che la ricostruzione diventi solo occasione di contrattazione tra burocrazie partitiche e comitati di interesse.
Il punto cruciale dello scontro sarà la legge 219 sulla ricostruzione. Viene concepita senza interloquire con i movimenti, come strumento per l’assalto ai fondi pubblici, attorno al quale si riorganizzerà il rapporto tra ceto politico, lobbies dei costruttori e capitale extralegale (mafia…).Insieme ai provvedimenti successivi (legge 80 per le grandi opere ecc.) la 219 distribuirà una pioggia di miliardi (oggi sarebbero 60.000 considerando l’inflazione !), ma non produrrà sviluppo, divenendo solo occasione di spartizione e di enormi profitti. La 219 ha anch’essa una concezione “emergenziale”, giustificata formalmente dalla velocizzazione dei tempi, ma nei fatti questo servirà solo a togliere ogni trasparenza nella gestione delle risorse. Esemplare l’istituto della “concessione” che attribuiva all’azienda deputata alla realizzazione di un’opera funzioni solitamente pubbliche (compreso l’esproprio delle terre) e le consegnava a scatola chiusa il 25% del finanziamento per l’opera. Niente di più semplice che la società “concessionaria” subappaltasse ad una ditta disposta a fare il lavoro col 75% dei soldi grazie all’uso di materiali di scarto , intascandosi il 25%…
La concessione veniva data a consorzi “accreditati”, la qual cosa normalmente è avvenuta attraverso un generale meccanismo di corrompimento del corpo politico-istituzionale. Singolare che molti considerino poi la 219 un enorme investimento per l’economia meridionale. In realtà la gran parte delle ditte appaltatrici erano settentrionali ( per i containers ad es. al Sud veniva fatto solo l’assemblaggio).
Soltanto a Napoli le grandi aziende edili del nord dovettero contrattare coi costruttori locali (do you remember Ferlaino?!) ed i “consorzi concessionari” rappresentarono proprio il meccanismo per la composizione percentuale di questi interessi. L’ultimo tentativo del movimento dei comitati popolari di farsi ascoltare ci sarà il 24 aprile 1981 con l’occupazione di un giorno della stazione di Salerno e dell’importante svincolo autostradale di Eboli, ma il 29 aprile la 219 passava alla commissione della camera con l’astensione del Pci che fino alla sera prima aveva promesso fiera opposizione ! Quando pochi giorni dopo, al congresso promosso dalla CGIL sulla ricostruzione, il segretario Lama rifiutò di far parlare Rocco Falivena, il movimento capì quanta poca simpatia evocasse nella sinistra istituzionale…
In realtà il partito comunista doveva tutelare gli interessi dell’amministrazione Valenzi : quadro politico di formazione stalinista Valenzi era diventato sindaco di Napoli ma aveva solo 40 voti su 80 in consiglio e su tutte le scelte importanti era vincolato al voto democristiano, coi quali era portato quindi a “consociarsi”… Mentre la Democrazia Cristiana spadroneggiava in tutta la Campania, facendo estendere la definizione di aree di crisi (interessate perciò ai finanziamenti) persino ad alcune province del foggiano, Valenzi strinse un accordo coi costruttori napoletani ed al pci toccò la gestione del “commissariato” deputato alla ricostruzione per l’aria di Napoli ( Ponticelli e Pianura fra le aree più investite da questo processo). Il piano di ricostruzione divenne anche il primo passo verso una deportazione di massa dei proletari napoletani verso le periferie, cosa che sta continuando con l’ultimo piano regolatore e i 2.000 sfratti previsti oggi ai danni delle fasce deboli. Del resto in quel commissariato per l’area di Napoli giocarono un ruolo chiave Vezio De Lucia e Giannini, figure centrali nelle scelte urbanistiche della stessa amministrazione Bassolino…
Tra le scelte politiche di quei giorni è da segnalare quella di affidare ai privati la gestione dell’ingente patrimonio pubblico (conseguenza della ricostruzione). Cresce così la “Romeo costruzioni”, oggi E.R., agenzia immobiliare e blocco di potere affaristico che gestisce attualmente il patrimonio immobiliare pubblico napoletano e di molte altre città.
Intanto nel 1980 pure a Napoli, dove accanto ai terremotati si pone la questione numericamente soverchiante dei senzatetto, si sviluppa un fortissimo movimento proletario intorno alle vicende del lavoro e della casa L’epicentro di queste lotte erano le organizzazioni dei disoccupati, nate nel ’75 intorno all’esperienza di Vico Cinquesanti e cresciute vertiginosamente grazie alle capacità organizzaive del gruppo dei “Banchi Nuovi” (sede storica del movimento). Già in quegli anni i Disoccupati Organizzati dimostrano grande capacità di radicamento e di alleanze, come quando il 6 ottobre 1978 prendono parola durante un’assemblea con Pietro Ingrao all’ Alfa Sud di Pomigliano : insieme agli studenti, per denunciare le condizioni di lavoro all’Alfa e l’abuso degli straordinari, bloccano le merci in entrata e in uscita piantando le tende davanti a cinque delle portinerie della fabbrica. Respingeranno un primo tentativo di sgombero della polizia grazie all’aiuto degli operai…
Quando il 19 febbraio del ’79 i D.O. occuperanno per una settimana la sede della CGIL, malgrado l’avversione dei burocrati sindacali saranno protetti dalla solidarietà dei consigli di fabbrica ! Dopo il 23 novembre 1980 perciò il proletariato precario risponderà con la lotta e con un’imponente ripresa dell’organizzazione. Da questa data a Napoli è un susseguirsi di occupazioni di case (circa 2500 !), alberghi, quartieri Icap, conventi, in un ininterrotto accavallarsi di blocchi stradali, cortei, rivolte, per lottare contro disoccupazione, impoverimento e mancanza degli alloggi alternativi a quelli fatti sgomberare con la forza nel dopo-terremoto.
Pure in questa circostanza l’amministrazione di sinistra, in coerenza con le scelte fatte negli anni ’70, avversa i proletari organizzati per i propri diritti e Valenzi definisce i D.O. “untori” della sovversione. Si prepara così il terreno alla repressione che colpirà puntualmente : il 19 febbraio 1981 c’è un corteo unitario promosso da Banchi Nuovi contro Zamberletti, il 24 febbraio in una grande assemblea al cinema Meropolitan i D.O. lanciano la parola d’ordine dell’occupazione delle case private… La sera stessa scattano 5 mandati per “associazione sovversiva” verso i compagni di riferimento del movimento. I D.O. risponderanno il 28 febbraio con un corteo di 10.000 persone (disoccupati e studenti) aperto da uno striscione su cui era scritto : ” Organizzati e uniti occupiamo le case, lottiamo per il salario e il lavoro. SIAMO TUTTI SOVVERSIVI ! “. Il 27 aprile viene rapito dalle BR Ciro Cirillo, assessore regionale DC, doroteo, cassiere napoletano di Gava e Piccoli. Le BR chiedono immediatamente la chiusura della rulottopoli sita nella Mostra d’Oltremare e la requisizione delle case sfitte per i senzatetto. Il 20 maggio in 4.000, fra D.O. e senzatetto, attraversano la città in corteo fin sotto palazzo San Giacomo. Polizia e Carabinieri, di fronte alla mobilitazione di massa, non possono che lasciar loro la strada, nonostante il divieto imposto il 5 marzo (accordo Foschi) e rinsaldato dopo il sequestro Cirillo. Si confermava insomma l’esistenza di una società duale in cui gli interessi proletari tendono a darsi un’organizzazione propria per non essere più calpestati mentre le istituzioni tendono a soffocare questi propositi per riportar tutto nella letale mediazione mafioso-democristiana. “Anche di fronte al sisma la città si é divisa in classi” scriveva con rabbia il foglio di Banchi Nuovi sintetizzando la consapevolezza di un movimento, che dai disoccupati organizzati di Napoli ai comitati popolari dell’Irpinia e del Salernitano, seppe rappresentare speranza di riscatto. Quel movimento seppe interpretare pienamente la centralità di quell’evento tragico dentro la storia sociale e politica italiana, prefigurare i processi attraverso cui si ridefiniva la forma stato e i rapporti tra i poteri nella nostra regione a partire dalla gestione delle enormi risorse della 219. Come ospiti indesiderati il protagonismo, le lotte e l’autonomia dei proletari giocarono le loro carte sul tavolo dei destini sociali di quest’area.
Le ragioni di quelle lotte sono più vive che mai : le conseguenze delle scelte politico-istituzionali del 1980 si sono sviluppate nel ventennio seguente ed oggi il ritardo nello sviluppo dalle regioni settentrionali è pressochè raddoppiato con la disoccupazione giovanile al 52% (…!).
La scuola-azienda sembra costruita appositamente per cancellare qualunque memoria critica e costruire “forza lavoro” su misura per un futuro di precarietà e flessibilità; il ricatto della clandestinità è usato per costringere gli immigrati al lavoro nero, mentre il potere locale é impegnato oggi come ieri a stendere lucrosi patti con i costruttori, con i capitali legali e con quelli “extralegali”…
Continua la deportazione dei proletari in periferie abbandonate e le migliaia di sfratti esecutivi ai danni delle fasce deboli sono altri dati della catastrofe sociale in corso. Per questo il 23 novembre saremo in piazza, perché sia occasione della ripresa di un dialogo delle forze della sinistra antagonista, perché attorno ad una piattaforma che parla di salario per i disoccupati, di diritto alla casa e allo studio, di riqualificazione sociale e ambientale dei territori ci si organizzi per una ripresa delle lotte, per costruire una nuova possibilità di riscatto.
40 ANNI FA IL TERREMOTO IN IRPINIA. DOMENICA 29 NOVEMBRE SU RADIO ONDA ROSSA IL RACCONTO DELL’ESPERIENZA DEL CENTRO DI SOLIDARIETA’ PROLETARIA
l 23 novembre del 1980 alle ore 19.34 una scossa di terremoto pari a magnitudo 6.9 (decimo grado della scala Mercalli) colpì la Campania e la Basilicata provocando morti, feriti e migliaia di sfollati. Gli aiuti alle popolazioni colpite furono lenti e caotici. Si attivo’ quindi da tutta Italia una straordinaria gara di solidarieta’ dal basso per sopperire all’inadeguatezza degli aiuti da parte dello Stato. In questa situazione emerge l’esperienza del Centro di Solidarieta’ Proletaria di Radio Onda Rossa e l’importanza che la Radio stessa ha avuto nel far partire la macchina di solidarieta’. Esperienza che sara’ raccontata in una trasmissione che andra’ in onda domenica 29 novembre dalle 11 alle 13 su Radio Onda Rossa di Roma con brani audio registrati al tempo e testimonianze dirette. Ne parliamo con Giorgio Ferrari redattore di Radio Onda Rossa e al tempo militante dei Comitati Autonomi Operai di Roma Ascolta o scarica
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La testimonianza di Vincenzo Miliucci storico compagno romano dei Comitati Autonomi Operai
Il 23 novembre 1980,40 anni fa, un violento terremoto ( 6,9° Richter) devastò il Sud, ci furono 2735 morti, 9000 feriti, 400.000 sfollati.
In tutta Italia si attivò una straordinaria gara di solidarietà popolare, vista l’inadeguatezza e i ritardi degli aiuti di Stato .
Tra i moltissimi che vi presero parte , Radio Onda Rossa e I Comitati Autonomi Operai di Roma costituirono il Centro di Solidarietà Proletaria fin dalle prime ore della tragedia. Quella domenica 23 novembre, gli affezionati ascoltatori di Radio Onda Rossa telefonarono avvertendo del sisma e dell’urgenza di prestare soccorso. La catena di solidarietà prese avvio seduta stante: la radio mise a disposizione il suo conto bancario per le sottoscrizioni( subito 2 milioni), i Comitati Autonomi Operai svuotarono 4 sedi in via dei Volsci per ricevere gli aiuti e al numero 32 il lunedì fu attivata una linea telefonica a nome del Centro di Solidarietà Proletaria per ogni incombenza e per comunicare con l’epicentro del terremoto.
Ininterrottamente, per 3 giorni in via dei Volsci una miriade di persone portò di tutto: dai generi alimentari a quelli sanitari, vestiario pesante,coperte,sacchi a pelo,scarponi,stivali, tende,brandine,lampade,gruppi elettrogeni,taniche,potabilizzatori,saponi….ben presto le 4 sedi furono colme e si dispose per il 27/11 la partenza per portare soccorso ai terremotati di S.Andrea Di Conza (Avellino).
Intanto Radio Onda Rossa aveva fatto appello alla disponibilità di compagne/i “ almeno per una settimana, in condizioni di autosufficienza e vaccinazione antitifo”, a cui risposero in molti tra architetti, geometri,elettricisti,infermieri,medici,precari 285,fotografi,cucinieri,tuttofare,….
Il 27 novembre giunsero a S.Andrea di Conza 60 compagne/i con al seguito 8 camion e 2 pulmini (in un mese furono inviati aiuti per oltre 200 milioni). Erano i primi soccorsi che arrivavano, fu attrezzata subito la cucina che diede da mangiare a 1200 persone compresi i pochi militari inviati sul posto senza mezzi; un convento abbandonato per il sisma divenne il deposito degli aiuti che in continuità giungevano da Roma.
In breve, il 9 dicembre fu inaugurato il ” baraccone in legno 15mt x 6″ , che ospitava la mensa e il Centro Sociale ; nel convento fu attrezzato un pronto soccorso presidiato da medici e infermieri ; 2 architetti romani contribuirono alla rilevazione degli edifici lesionati; la rete elettrica fu ripristinata dagli operai elettricisti Enel giunti volontari da Roma e Catanzaro. Ben presto i volontari denunciarono ammanchi e ruberie da parte dell’ammistrazione locale, del governo Regionale e Nazionale: ” Terremoto, un affare da 40.00 miliardi”, nel mentre la popolazione soffriva le durezze della distruzione e dell’inverno : per questo furono fatti oggetto dal sindaco DC ,dai CC e dagli inquirenti, di discriminazioni e ostacoli, fino all’atto finale dei ” 57 fogli di via” da parte del Questore di Avellino in data 24 e 25 dicembre !
Un atto politico quanto infame : i volontari, nel caso autonomi divenuti beniamini della popolazione, dovevano essere cacciati perchè in grado smascherare le magagne ; nelle zone terremotate non ci dovevano essere occhi indiscreti che denunciavano ed erano in grado di mobilitare la sofferenza. Sotto Natale la popolazione di S. Andrea di Conza in assemblea dimostrò e sottoscrisse mozioni di solidarietà, ma non ci fu verso, i CC manu militari operarono la fuoriuscita dal territorio di tutti i volontari , che solo successivamente nel giugno 1981 al TAR di Napoli ebbero partita vinta “con la revoca dei fogli di via , in quanto illegali”. La strage dei terremotati del Sud fu il grande business per la DC e la camorra, che con le decine di migliaia di miliardi della ricostruzione aumentarono a dismisura i loro poteri e traffici. Le inchieste , i processi e le condanne postume non scalfirono questo malaffare; che continua a ripetersi con altri attori nei terremoti e nei disastri presenti. La solidarietà dal basso di migliaia di volontari non è mancata nei terremoti del L’aquila,di Amatrice e altrove, ne cesserà di attivarsi ovunque ci sia sofferenza : la nostra umanità è fuori e oltre qualsiasi calcolo, ma dobbiamo pur porci di mettere fine agli sciacalli che mangiano sulle disgrazie, ai partiti e ai governi che glielo permettono.
Vincenzo
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