All’Italpizza una triplice potenza: operaie, donne e migranti
Le operaie dell’Italpizza hanno vinto e il colosso dell’alimentare modenese si è piegato alle prime istanze operaie. Nonostante il duro livello di repressione (denunce, cariche continue della celere con cazzotti, gas lacrimogeni, manganellate, fermi di polizia, querele ad alcuni giornalisti) e tentativi di isolamento (tramite interventi dei confederali, kermesse crumire, e prese di posizione dei partiti) la lotta ha portato a casa il risultato del rientro alle proprie postazioni di lavoro delle lavoratrici del Sicobas da cui erano state espulse. Ora il resto della vertenza continuerà dentro lo stabilimento e non più nel reparto confino dove erano state relegate in punizione dai padroni.
Come noto a guidare la lotta sono state un gruppo di operaie vessate e sfruttate al di fuori dei pur minimi standard normativi e legali dalle coop in appalto alla grande azienda della pizza surgelata italiana. Operaie, donne e migranti oggetto quindi della triplice condizione di sfruttamento e subalternità con cui il sistema spreme profitto mettendo a valore genere e razializzazione della forza lavoro, approfittando della catena della riproduzione garantita dal lavoro gratuito femminile come ricatto e dello status migrante che vede oggi in Italia un radicale peggioramento, dal piano legislativo a quello culturale, di una situazione precedente non certo rosea.
Ha pagato l’intransigenza, la rigidità e la rivolta delle operaie che nel segno del rifiuto hanno spinto contro le umiliazioni in busta paga e sul posto di lavoro, hanno tenuto testa alla repressione più violenta e hanno scioperato a modo loro dall’impiego quotidiano nei servizi domestici e di cura per presidiare 24h su 24 il proprio contesto di lotta. Da una condizione di triplice sfruttamento e subalternità alla conquista di una triplice posizione di potenza collettiva che nella “grande metropoli logistica padana” ha fatto brillare una possibilità di riscatto di classe e per la classe, per le donne e le migranti.
L’evento è infatti potenzialmente esemplare e bisognerebbe chiedersi per aggiungere valore all’importante scatto in avanti della lotta quali sono le forme politiche di comunicazione più efficaci per raggiungere gli altri hub della catena di sfruttamento ma anche per uscirne fuori e disseminare il contenuto conflittuale e antagonista della lotta nel territorio. L’8 marzo è alle porte e seguendo l’indicazione della rete Non Una Di Meno sarà una giornata di sciopero, indicazione tra l’altro raccolta sia dal SI Cobas che da ADL Cobas, sarà una giornata di sciopero dal lavoro della produzione e della riproduzione in cui l’immaginazione femminista si misurerà con le pratiche e le possibilità, e crediamo che questa piccola ma importante lotta possa funzionare da manifestazione concreta di un passo in avanti: per cui sì, scioperare dal lavoro produttivo e riproduttivo è possibile, e riappropriarsi del potere di decidere del proprio corpo, della propria dignità dando battaglia contro i padroni e rompendo le catene del lavoro domestico è giusto e vincente.
La lotta si è sviluppata intorno alla pratica del blocco stradale che è la vera e propria ossessione dell’intelligenza reazionaria oggi al governo. Non è un caso: nei movimenti sociali e operaie degli ultimi anni in Italia, ma non solo, il blocco stradale è stato uno dei principale strumenti offensivi della manifestazioni, degli scioperi, e anche delle più o meno estemporanee scintille di rivolta. E’ stato anche il luogo di costruzione di rete e reciprocità tra i soggetti coinvolti nella battaglia, uno dei centri nevralgici del conflitto dove conoscersi e organizzarsi.
Gli operai e le operaie della logistica, ma anche i movimento per il diritto all’abitare e in generale le istanze sociali e politiche che hanno voluto scavalcare l’attestazione simbolica in questi anni sono stati sulla strada e hanno bloccato: trafffico automobilistico, tir, merci, treni, piazze. All’Italpizza i dirigenti della polizia e dei carabinieri hanno subito tentato di intimorire la lotta minacciando l’impiego del nuovo quadro legislativo in materia di ordine pubblico che per firma di Salvini ha aumentato le pene legate al reato di blocco stradale.
L’indifferenza operaia alla minaccia non è poca cosa e politicamente dovrebbe far ben riflettere a quanti si sono messi in movimento per contrastare le nuove leggi reazionarie firmate dal ministro della Lega e allo stesso tempo va colta come possibilità al di là della retorica per chi si dichiara già disposto a smantellare e resistere concretamente all’offensiva del governo in materia di repressione del dissenso, controllo e coercizione del movimento della forza lavoro migrante.
Se il reato di blocco stradale è uno dei “terminali” efficienti del progetto reazionario di Salvini, l’altro è nella nuova messa a regime dei centri di detenzione per migranti: i nuovi cpr. L’indifferenza operaia alla minaccia di sgombero e applicazione del reato di blocco stradale è immediatamente ostilità ai nuovi lager della lega? E’ una domanda che lasciamo aperta alle soggettività coinvolte nelle lotte, ma la cui risposta futura riteniamo sia dirimente nella costruzione di un antirazzismo di classe capace di dotarsi di obiettivi concreti oltre gli attestati etici.
D’altronde i bracci femminili dei lager etnici sono riallestiti e riorganizzati per internare forza lavoro femminile e migrante che giù nel fondo della piramide sociale è segnata dalla violenza e della sfruttamento patriarcale e capitalista, e nel sogno osceno dei governanti e dei padroni è un luogo di controllo e di maggiore coercizione di tutte le potenziali operaie d’ItalPizza che vivono e lavorano nella nostra società.
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