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TAV: il re è nudo, ma fermarlo tocca a noi!

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Il documento della Corte dei Conti Europea è arrivato impietoso a tormentare i sogni dei SI TAV.

Chi da anni si oppone alla grande opera inutile in quel testo non ha trovato niente che non sapesse già, infatti mentre le madamine in diretta TV cercavano di far passare i valsusini come dei montanari ignoranti, all’università di Torino andava in scena un grande convegno in vista dell’8 dicembre 2018, in cui si snocciolavano tutte le motivazioni ecologiche, economiche e sociali per cui questa opera era e resta inutile.

La botta è talmente forte che persino le testate giornalistiche classicamente schierate a favore della grande opera devono ammettere la “bocciatura”. Ma siccome i SI TAV non hanno il senso del ridicolo ci provano ancora: la bocciatura sarebbe un invito a “procedere più in fretta con i lavori”.

Il documento (per chi lo volesse scorrere è stato allegato in calce a questo articolo di notav.info) invece è piuttosto lapidario: “il trasferimento modale è stato molto limitato in Europa negli ultimi 20 anni, vi è un forte rischio che gli effetti positivi multimodali di molti progetti-faro siano sovrastimati”. Basterebbe questa frase a sconfessare qualsiasi fesseria che in questi anni i sostenitori del progetto hanno provato a rifilarci. L’intero modello TAV è messo sotto accusa come modello antieconomico, distruttivo dell’ambiente e con forti conseguenze sociali.

Alcuni sostenitori dell’opera si prodigano a evidenziare che i ritardi sono a causa del movimento No Tav, ma bisognerebbe ringraziare chi da trent’anni continua a resistere perché ha impedito fino ad ora un progetto che si sarebbe presto rivelato obsoleto e inutile.

Ma perché proprio ora questo “momento di onestà” della Corte dei Conti?

Difficile dirlo, si possono solo fare supposizioni. La crisi economica che si sta per abbattere sull’Unione a causa della pandemia impone un ripensamento degli investimenti strutturali e dell’utilizzo delle risorse. Alcune opere che potevano essere considerate prioritarie prima di questa pandemia, anche solo per riempire le tasche degli imprenditori locali, oggi diventano oneri di bilancio preoccupanti, in particolar modo se, come nel caso della Torino – Lione, sono prive di benefici a medio, lungo termine. I cordoni della borsa si stringono e non si può più pensare di costruire per finanziare chi costruisce senza altri benefici.

E’ l’austerity che si sta preparando? Forse, certamente però quando questa colpisce in alto, invece che in basso non è più tanto gradita a quelli che per anni ci hanno cantato la solfa del “bisogna fare sacrifici”.

In questa chiave si potrebbe leggere l’inquietudine degli ultimi mesi di TELT e delle compagini politiche di riferimento del TAV. La grancassa mediatica sulla “sburocratizzazione” dell’iter per l’opera, il continuo tentativo di forzare sull’inizio di alcuni lavori preliminari: questi sono elementi che probabilmente derivano non tanto dalla paura che i ritardi avrebbero potuto inficiare l’afflusso di fondi per la costruzione dell’opera (tutto sommato i fondi sono stati rinnovati scadenza dopo scadenza), quanto piuttosto la consapevolezza che la pandemia avrebbe potuto rimescolare completamente le carte e cambiare le priorità.

Basterà il documento della Corte dei Conti europea a bloccare l’opera?

Difficile da credere, gran parte della compagine politica, imprenditoriale e mediatica di questo paese è impegnata nel difendere il TAV. Ma questo documento è un altro tassello per smascherare le menzogne del sistema del cemento e del tondino che ormai si trova nudo di fronte all’opinione pubblica. Una adeguata ed ampia mobilitazione popolare contro l’opera in questo momento in cui tutto viene messo in discussione è lo strumento che può sancire la parola fine in questa vicenda paradossale. Come sempre, fermarlo tocca a noi. E il movimento No Tav, dopo lo stop derivato dal lockdown, si sta rimettendo in marcia con la solita determinazione. Una lunga estate di lotta ci attende in cui ritornare a camminare sui nostri sentieri e far sentire la voce di un popolo che ha dalla sua la forza del cuore, dei corpi e della ragione.

In fondo, ce lo chiede anche l’Europa.

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