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30enni e lavoro: le vostre promesse valgono zero

Non è così interessante perdere tempo su quali cavilli tecnici portino, formalmente, l’età pensionabile  oltre i 75 anni per chi è nato negli anni ’80. Poi neanche solo per loro, ma anche per quelli nati un po’ prima e tutti quelli nati dopo. In realtà nessuno crede veramente che andrà mai in pensione. Se contiamo che il lavoro in nero, la disoccupazione e la discontinuità lavorativa ci riguardano quasi tutti, una pensione dignitosa è realmente una prospettiva irrealistica, nonostante le “ottimistiche” stime dell’INPS. La questione (68 o 76 anni? 1200 o 600 euro?) ci tocca solo da molto lontano.

Una buona fetta di giovani immagina ancora un percorso di vita simile a quello della generazione dei nostri genitori – lavoro, famiglia, pensione. Perché è questo tipo di futuro che il loro mondo ci ha tramandato come “normale e/o desiderabile”. Allora diventa necessario sbattersi e mangiare merda per decine di anni, perché i livelli di sfruttamento, di stress e competizione a cui siamo messi di fronte oggi sono molto superiori a quelli di 30 anni fa, mentre le possibilità sono drammaticamente crollate. E nonostante tutto non esiste nessuna garanzia.  
Tanti altri invece mollano gli ormeggi e, facendo i conti con la realtà, non scommettono troppo su di una strada che viene sbarrata sin dai primi passi. Qualcuno si arrende alla disoccupazione o all’apatia, molti altri saltano di occupazione in occupazione, di progetto in progetto, cercando di coniugare possibilità di realizzazione personale (ancorché parziale) e tempo libero, forme di reddito e qualità della vita. In questo modo, però, nonostante lo scorrere del tempo le prospettive sul futuro rimangono congelate a quelle dei vent’anni, solo con qualche disillusione in più.

Quando arrivi intorno ai trent’anni (proprio quelli di cui parlano Boeri e Camusso) sono sempre meno le scuse – come, per esempio, l’iscrizione all’università –  per rimandare il momento in cui fare i conti con quello che hai fatto e con quello che vuoi fare nel resto della tua vita. Ci si trova nello stretto passaggio in cui realizzazione personale e necessità di reddito entrano, troppo spesso, in conflitto. Quello che la generazione precedente ci ha tramandato come “normale corso della vita” tanto normale non lo è più e neanche poi tanto desiderabile. Il mercato del lavoro ci impone lo stress quotidiano di mantenere posizioni precarie e frustranti, di fare straordinari e orari improponibili, di  leccare culi per non perdere il posto che ci consente di sopravvivere, di sentirci come trottole sbalzate da una parte all’altra di città e continenti senza riuscire a trovare un filo di senso nelle nostre vite, per non parlare di un reddito dignitoso. Nel frattempo dei contributi all’INPS li paghiamo, ma non a sufficienza dicono loro: alla fine ci troviamo pure con del reddito in  meno. Insomma l’idea di passare tutta la vita a subire frustrazioni e lavori massacranti per ottenere (forse!) una pensione da miseria quando saremo vecchi non è una prospettiva così interessante come viene venduta dalle carcasse dei sindacati – che non a caso hanno la loro base forte tra i pensionati (odierni)! Perché il problema è anche questo: quali sacrifici ci chiedono adesso in cambio della promessa di una pensione non si sa quando e non si sa quanto?  Ma il discorso è anche più generale: a prezzo di quali frustrazioni, rinunce, ansie e sfinimenti ci vengono promesse (solo promesse!) delle possibilità per il nostro futuro?

Siamo messi in feroce competizione gli uni contro gli altri per poterci ammazzare di lavoro in quelle poche occasioni che ci vengono offerte e che, oltretutto, spesso fanno anche schifo. Eppure con il livello di sviluppo tecnologico attuale potremmo lavorare tutti di meno, in maniera più appagante e vivere dignitosamente; ma non è nell’interesse di chi per noi prevede solo precarietà e sfruttamento, sputare sangue in cambio della sopravvivenza.
Se la domanda è cosa “vogliamo fare delle nostre vite?”, non troveremo la risposta nella miseria che ci troviamo davanti ora, ma nella possibilità di costruire un futuro per tutti. In questo momento la nostra realizzazione personale passa anche dal nostro rifiuto di essere sfruttati e presi in giro. Dobbiamo tirare fuori unghie e denti, perché è l’unico linguaggio che capiscono: riprendiamoci la ricchezza di cui siamo depredati, pretendiamo di poter decidere sulle nostre vite, rifiutiamo un futuro che va bene solo a loro!

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