6 tesi sul NO
1. Questo NO è crisi.
Si è votato non per fiducia nella democrazia, ma per frenare una traiettoria di ristrutturazione del governo neoliberale della crisi. Cercheranno di codificare istituzionalmente nuove forme di stabilità sistemica, oltre il merito e la razionalità di questa riforma costituzionale. Questo No ha espresso una variabile di contrapposizione possibile contro la stabilità istituzionale delle forme di governo della crisi. Se non è un No contro le istituzioni è un No che sfiducia le istituzioni. È il tornante italiano del nostro tempo inattuale, quello del vecchio mondo che muore e del nuovo che non emerge. È una tappa in una sequenza capitalistica che segna la fine della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta. Ne fanno parte come sintomi l’OXI greco, la Brexit inglese, la vittoria di Trump.
Questo NO segna l’esaurirsi alle nostre latitudini della promessa di sviluppo neoliberale basata sulla retorica dell’innovazione, della competitività e della meritocrazia. Ne disvela la menzogna. E’ anche la storia delle sinistre socialiste e della fine loro promessa, già al capolino in Grecia e Spagna e che in Italia ancora prova ad aggrapparsi al nocciolo della governabilità europea, sempre più circoscritta al cuore germanico dell’Impero.
La contrapposizione referendaria non ha ricalcato una divisione tra destra e sinistra semplicemente perché questa divisione è completamente aliena allo scontro in atto che si gioca prioritariamente sulla continuità della stabilità sistemica o sulla sua rottura affrontando la tempesta della crisi in mare aperto.
2. Questo NO è degli ignoranti.
L’arroganza classista del Sole 24 Ore che dipinge il popolo del No come quello del rancore e quella di Illy che ne denuncia l’ignoranza stanno in questo voto a differenti altezze. Come? L’ossessione di rincorrere il segmento trainante nella tendenza dello sviluppo dei rapporti tra classi appartiene ai sociologi, rintracciare in questa la possibilità della rottura contro la direzione di questo sviluppo ai rivoluzionari. L’analisi del voto restituisce un consenso al No articolato tra le periferie, i giovani, i redditi bassi e gli alti tassi di scolarizzazione. Un profilo all’apparenza contradditorio e ambiguo, dove non c’è da scegliere un pezzo per un altro per investirlo dei destini di un nuovo popolo o, peggio, di uno storytelling aggiornato a una nuova stagione di agitazione sociale mimata o praticata. Sul lungo periodo c’è, al contrario, da riscontrare un’invarianza, a oggi forse solo nell’inconscio dell’elettorato del 4 dicembre e nella grafite delle matite – cancellabili o meno, poco importa – incisa sulla casella del NO: gli ignoranti del No sono gli analfabeti del linguaggio della tecnica di governo, i disabituati alle forme della politica nota, gli alienati dalle dimensioni del comando e del dominio che impongono loro un costo umano insostenibile. In questa ignoranza si preserva una distanza in cui cova l’endogenità di nuovi linguaggi, di una nuova cultura che sorge sulla stratificata e frammentata profondità del vissuto dei subalterni, come potenza umana nell’esser parte-contro, esclusa e combattuta, e come ricchezza umana di risorse, saperi e capacità bruciate dentro attività impoverenti.
3. Questo NO è il paradosso della democrazia.
Questo NO è un voto contro questa democrazia, contro queste istituzioni, praticato dentro gli spazi e gli strumenti di questa democrazia e di queste istituzioni. Nel risultato del voto si è espresso un paradosso che, come cortocircuito sociale, risulta incompatibile con i fini oggettivi della stabilità democratica. Gli esiti di questo paradosso sono aperti, ma sorgono sul terreno concreto dell’imbracciare uno strumento, il più immediato, e usarlo per praticare un obiettivo: far emergere la faglia dell’ostilità. Qui probabilmente il tempo di questo No si arresta. Per il momento, almeno.
Il No è degli stessi ignoranti ai quali della Costituzione non interessava nulla o che l’hanno usata al limite come ulteriore simbolo-contro. E’ il No di chi ha inflazionato la personalizzazione referendaria sull’attentatore Renzi, rovesciando il meccanismo di consenso plebiscitario alla base del voto. C’è poco da entrare nel merito quando l’obiettivo perseguito stava nella soddisfazione di vedere in piena notte la faccia contratta del leader sconfitto.
Ma la variabile dello sviluppo della contrapposizione espressa nel No deve fare i conti con il tempo circoscritto di quest’uso del voto, con le proporzioni dell’evento e la sua intensità. Chi si è ricomposto sulla faglia del No, in quell’apertura, è la stessa gente che ha trovato un campo di attivazione nella socialità digitale – alternativa e parzialmente antagonista al mainstream – e per la quale ulteriori livelli di partecipazione e mobilitazione restano a oggi sconosciuti o non interessanti.
4. Questo No è tradimento.
Con questo No una normalità è stata interrotta disvelando una condizione comune: dai sacrifici imposti non c’è alcun profitto per noi, alcuna realizzazione, nessun riscatto. Al Sì dell’innovazione si voleva contrapporre il No della conservazione; al Sì dei vestiti nuovi dell’imperatore si è contrapposto il No che indica un Re nudo.
I traditi dalla promessa di integrazione capitalistica hanno a loro volta tradito e trasgredito. In questo movimento istintivo risiede la disaffezione per l’intero spettro delle forme della politica. Un varco ambiguo e momentaneo dove l’ipotesi di movimento non si è potuta accontentare di rappresentare un’ostilità antagonista al governo (No Sociale), ma ha cercato di sintonizzarsi su un umore vendicativo, interpretando quei codici in cui oggi già l’ostilità si esprime. Non si tratta di misurare il risultato politico del No guardando alla sua capitalizzazione tattica, ma di navigare nei processi di un antagonismo possibile in formazione.
Ma le ipotesi hanno dei termini di verifica ed esaurito l’obiettivo occorre predisporne una nuova formulazione. Accettare questo tempo, che è anche quello delle fratture imposte da una vittoria, significa scommettere sui caratteri di un’identità ricompostasi momentaneamente sul passaggio del 4 dicembre ma che già è andata incontro a una sua frantumazione.
5. In questo NO non c’è nulla da rappresentare.
I settori di classe eccedenti, anche nel voto, non consegnano a nessuno alcuna delega in bianco. Non c’è nulla da rappresentare. Questo è il gioco del marketing politico sul quale il campo istituzionale è obbligato ad affannarsi in queste ore. Loro sono obbligati a farlo. Non è affar nostro, né di chi ha detto No. In una direzione che guarda all’intensificazione del conflitto apertosi sono strade impraticabili quelle che ambiscono a ricondurre il voto in nuovi soggetti della sinistra compatibili con il quadro politico stabilito (e comunque da questo non tollerate) o che valutano di intraprendere nuovi percorsi referendari assumendosi l’organizzazione positiva della proposta su temi di battaglia politica (dall’abrogazione del Jobs Act a quella della Buona Scuola). D’altra parte è bastato un No e non più di questo si è manifestato ad alte intensità.
Al calendario istituzionale, tra elezioni e governi tecnici, va contrapposto l’approfondimento di una frattura sociale anche a partire dall’orizzonte di nichilismo entro il quale soggettivamente viene vissuto e subito il tempo della crisi. Il lavoro di merda, la violenza degli sfratti o la stretta sui debiti continuano ad alimentare il ricatto del sacrificio di questa nuova iper-proletarietà e della sua quotidianità contro il tempo di un’aspettativa diversa e opposta. Eppure un’aspettativa di alterità si fa ingombrantemente presente. Rispetto ad essa monta una ricca impazienza.
Questo No è una nuova mappa perché descrive una gamma ampia di bisogni materialmente fondata in opposizione a una tendenza di sviluppo e governo della crisi: quella che salva le banche, quella che promette e non mantiene, quelle che se ne frega di noi. E’ per questo che constatiamo l’apertura di un nuovo spazio di movimentazione sociale.
6. Questo NO non cambierà niente. Eppure…
Il 4 dicembre c’è chi ha affondato il coltello per dare un segnale di indisponibilità: se solleviamo lo sguardo cogliamo una complessità di storie che lo sviluppano ma che non coincidono con il tempo della politica, anzi ne sono estranee. Le forme dell’attivazione post-referendaria, in qualsiasi prodotto compiuto, fosse anche in odore di Movimento, sono vissute con diffidenza per la radicale alterità della propria condizione. Parlando della vita iper-proletaria in questo tempo, vivere è subire. Per la nostra classe-parte il pensare e l’organizzarsi collettivamente – anche contro – indicano già un tempo liberato della vita, che passa per l’indispensabile rivolta e la negazione del presente. Non si tratta dunque di attrezzare nuovi artifici per colmare una distanza politica, ma di assumere questa come fattore costitutivo per alimentare e approfondire una contrapposizione. Non c’è contraddizione tra chi ha votato No per cacciare Renzi e la disillusione rispetto alla possibilità di cambiare per davvero le proprie condizioni di vita con quel voto. E’ proprio il passaggio meccanico dalle urne alla piazza che non può essere dato per scontato.
C’è una vittoria conquistata sulla negazione: si è prodotta una prima presa di posizione anti-austerity che ribalta la geografia umana disegnata dalla globalizzazione sui nostri territori. L’irruzione prepotente di figure e territori messi a lavoro ma squalificati: i giovani, le periferie, i quartieri dormitorio, le borgate delle grandi città, il sud e le isole.
L’ipotesi di sviluppo del No referendario nella parabola di un movimento dell’opposizione sociale deve mettere in conto di orientarsi in questo ignoto… un po’ più noto oggi anche grazie allo sforzo di organizzazione che ha avvicinato le lotte esistenti alla diversità politica e sociale che poi si è espressa nel No; un po’ più noto anche solo nel rovesciarci addosso i limiti e le insufficienze delle forme dell’organizzazione conflittuale; un po’ più noto, infine, anche grazie alla rinnovata conferma che i legami ed i rapporti si costituiscono nel riconoscimento dentro un comune conflitto, senza la paura di confrontarsi con chi non ti frequenta ma guarda in faccia il tuo stesso nemico…
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