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À rebours – Per un movimento autonomo contro la guerra della crisi permanente

La crisi è innanzitutto crisi di realizzazione di capitale, della difficoltà sistemica e politica ad organizzare la messa a lavoro della classe, ad estrarre profitto dalle merci a riprodurre questo mondo secondo i valori della promessa capitalistica. Su questa crisi le gerarchie di classe e il comando sui subalterni si approfondiscono ridefinendo i campi del conflitto. Su più livelli di realtà e di complessità i temi della guerra, della finanza e del governo costituiscono i poli della crisi permanente. Mondo-Europa-Nazione-Metropoli sono i quadri in dissoluzione dai quali pretendere nuove possibilità per noi, per quanto i fenomeni, considerati a queste altezze, ci sovrastino.

Alle nostre latitudini Renzi “compra tempo alla crisi”, accelera dei processi di rimercificazione della forza lavoro sopravvivendo a colpi di un nuovismo che semplicemente normalizza processi già in atto nei rapporti di sfruttamento. Attorno al Partito della Nazione gli unici figuranti compatibili restano la Lega Nord e un M5S neutralizzato nelle spinte centrifughe ma ancora in grado di amministrare un consenso reale presso ampie fette di popolazione. Mosso soprattutto dalla volontà di accreditarsi come nuova élite politica in sostituzione della precedente, il renzismo esplicita un manifesto disprezzo per le residuali velleità di partecipazione e contrapposizione politica. Per questo, sul referendum costituzionale d’autunno, l’esecutivo si gioca un passaggio cruciale: abbattere rigidità economiche, politiche e burocratiche che bloccano l’applicazione di più profonde e strutturali riforme di stampo ultra-liberale. Varco in cui Lega Nord e nuove destre, favoriti da nuove emergenze migratorie, non mancheranno di inserirsi.

Quali varchi si aprono contro il terreno dell’istituzionalità e del governo laddove si amplia il terreno sociale privo di una rappresentanza politica e allo stesso tempo chi governa cerca nuove fonti di legittimazione ma con una debole e ambivalente costruzione del consenso? I movimenti sociali e studenteschi, le lotte settoriali-rivendicative di particolari segmenti della forza-lavoro, le lotte in difesa dei territori hanno rappresentato nell’ultimo decennio, pur con limiti e non risolte ambiguità, le uniche espressioni della possibilità latente di un movimento autonomo della classe, al di fuori del controllo-cattura dei partiti di sinistra e dei sindacati, perlopiù in via di estinzione o ridotti all’inagibilità. Questo ricco patrimonio di esperienze e pratiche ha permesso di crescere a una nuova generazione militante, più radicale e agguerrita delle precedenti ma che oggi fatica a trovare forme di allargamento e pratiche di conflitto riproducibili.

Occorre rinnovare un confronto per riorganizzare le forze soggettive su alcuni terreni di contesa e per restaurare la minaccia di ingovernabilità di processi di transizione ancora aperti. Se è vero che il nostro paese è stato il grande assente dei movimenti anti-sistemici o neo-democratici che hanno attraversato una parte dell’Europa, il campo delle possibilità e delle occasioni non manca se attrezziamo sguardo e disponibilità militante alla rottura e alla conoscenza dei possibili terreni del conflitto. Come compagne e compagni, realtà autorganizzate, soggettività politiche, dovremmo avere la lucidità di sentirci parte del problema più che della soluzione. Occorre quindi innanzitutto riaprire un dibattito al nostro interno, che affini e riallinei il nostro sguardo. Che sia capace di vedere nuovi orizzonti, di darsi obiettivi e di organizzare nuovi assalti, tentativi, scommesse. Come articolare, dentro un’ipotesi di avanzamento di progettualità antagonista per la classe, il rapporto tra radicamento sociale e capacità di far male ai nostri nemici?

Gli interrogativi sono tanti. Iniziamo a fare ordine e fissare priorità per le nostre possibilità.

 

***

 

Come spunto iniziale proponiamo per un dibattito aperto – nella forma, nella partecipazione e nei contenuti – questi macro temi per attrezzarci politicamente alla fase in atto…

1 – Territori in crisi e percorsi di ricomposizione

Se una certa velocità nei processi di trasformazione investe il basso della società il problema per uno sguardo militante risiede nel cogliere l’invarianza della condizione proletaria nel suo rapporto di sfruttamento. Si tratta sempre di guadagnare a nuove ipotesi di ricomposizione sul conflitto tra segmenti di classe che esprimono la capacità di far male. Bisogna conoscere e sperimentare. Emergono una serie di domande: come rintracciare un campo del conflitto nel contesto di una vita interamente finanziarizzata? I processi di proletarizzazione in corso a quali ricomposizioni possibili aprono? Dove sta una medietà dei comportamenti e delle condizioni proletarie oggi in grado di rovesciare i rapporti di forza senza farsi schiacciare su una povertà impotente? La condizione giovanile oggi quali risorse sottrae all’integrazione capitalistica totale? Quali i terreni su cui organizzare una forza altrimenti dispersa o assorbita nei rapporti di sfruttamento?

2 – Guerra/migrazioni/crisi. Dai conflitti nel vicino oriente alle frontiere della Fortezza Europa

La risposta al ciclo di lotta delle “primavere arabe” si è materializzato nella scomposizione (o restaurazione autoritaria) delle vecchie rigidità stato-nazionali del mondo arabo. Distruzione e nuove ondate di profughi le conseguenze più immediate, ma anche nuove ipotesi di liberazione, oltre le vecchie appartenenze etniche o confessionali (Rojava).
Possiamo mettere all’ordine del giorno la costruzione di campagne e iniziative dove le realtà militanti siano di servizio alle pressioni ai confini e contro le barriere della fortezza Europa? E’ possibile un movimento contro la guerra? Un movimento che sappia opporsi ai venti di guerra che soffiano sul Mediterraneo e oltre, non solo con una pur giusta ma impotente testimonianza di principio di opposizione alla guerra – impotenza che connota tutte le sfumature più o meno ragionate di questo tipo di opposizione ideologica, dal pacifismo all’antimperialismo, fino all’antimilitarismo -, ma che sappia mettere in relazione i conflitti sui territori, contro la forma della guerra da loro subita, con la pratica di obiettivi capaci di interrompere e mettere in difficoltà la macchina della guerra a partire dai nostri confini? Sono ipotizzabili forme più efficaci e visibili di sostegno alla lotta di liberazione e costruzione di nuove forme di vita che si stanno sperimentando in Rojava?

3 – La controparte attacca: tecniche di governo e scienza di polizia

La controparte oggi, proprio per via dei rapporti di forza esistenti a lei favorevoli, può permettersi di affrontare il problema del conflitto sociale soprattutto con interventi di prevenzione. Prevenzione che assume forme sia di contrasto che di contenimento. Gli organi istituzionali preposti a questo compito attuano due percorsi, apparentemente contraddittori, ma che garantiscono, proprio perché usati con flessibilità, risultati per loro sicuri. Sono agite consapevolmente e contemporaneamente forme di contrasto e di attacco alle soggettività, ai movimenti e alle lotte là dove questi esprimono reali momenti e intenti di contrapposizione/incompatibilità e proposte di mediazione, coinvolgimento e cooptazione là dove prevale la debolezza progettuale o emergono situazioni e volontà compromissorie. Lo scopo di questo agire istituzionale è evidente: costruire deliberatamente divisioni e diversità di trattamento per isolare i reali momenti di conflitto rendendoli estemporanei, impedendo così il loro riprodursi e allargarsi. Depotenziare le soggettività separarle in qualche modo contrapporle facendo apparire irriproducibili e perdenti i percorsi di reale conflittualità e più forieri di risultati le pratiche di mediazione e contrattazione, fossero anche solo riconoscimenti formali o la sopravvivenza immediata. Come contro-agire – nel nostro paese, in una fase di riflusso e scarsa iniziativa – senza farci prendere le misure? 

4 – Strategie di governance e offensiva antagonista nello spazio mediale 

Per il sistema attuale la comunicazione assume sempre un ruolo fondamentale. La valorizzazione ma anche il controllo e alcune forme di dominio sono per molti aspetti affidati a processi comunicativi che alimentano reti organizzative strutturate come imprese e reti di imprese. La comunicazione è molto più elemento sostanziale nella valorizzazione e nell’accumulazione sistemica di quanto solitamente si è portati ad immaginare. Media mainstream, social network come Facebook e Twitter sono solo una parte delle imprese che accrescono e valorizzano il capitale con la comunicazione definendone processi di cui noi siamo sempre più diventati consumatori. Anche altri ambiti definiscono processi comunicativi di fondamentale importanza per la riproduzione e la gerarchizzazione dell’attuale sistema. Constatata questa importanza diventa necessario pensare a come ci si rapporta a questa forza e potere dei processi comunicativi sistemici. Sempre nell’ottica della contrapposizione vanno pensati e praticati dei contro-usi. Si può ipotizzare che alcuni di questi già avvengano spontaneamente da parte soprattutto di individualità che appartengono e anche si riconoscono nelle nuove condizioni di moderno proletariato. Come potenziarle in un processo contro-uso collettivo di parte?

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