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Anche i poliziotti scrivono a Babbo Natale

Nelle vacanze di Natale i sindacati di polizia mandano le loro letterine a ministri e potenziali eletti sperando di scartare golosi pacchi regalo con l’arrivo dell’anno nuovo e del nuovo governo. Lo fanno attraverso un’intervista pubblicata sull’Huffington Post dove Nicola Tanzi segretario del Sap spappardella la solita solfa che, ormai da alcuni anni, attraversa la carta stampata e il web. Sempre più spazio mediatico infatti viene dato a questi personaggi che giocano le loro carte ogni qual volta tensioni sociali o dimensioni di conflitto all’interno del panorama italiano esprimono rotture preoccupanti per chi governa il paese. Dunque voce alle trombe.

La principale preoccupazione del Sap è proprio l’acuirsi di tensioni sociali all’interno di un panorama di crisi che si approfondisce sempre di più, vedendo un 2013 probabilmente ancora più tumultuoso dell’anno che sta per scadere. Tanzi afferma nella sua intervista che la crescente povertà va a saldare settori sociali sempre più diffusi al mondo dell’antagonismo, come se chi attraversa i centri sociali, chi anima i cortei e le manifestazioni, chi fa politica a scuola o sul posto di lavoro non sia studente o lavoratore a sua volta, non sia parte di quei tessuti sociali che vivono l’impoverimento, che provano sulla propria pelle lo scottare di un continuo esproprio di diritti e ricchezze. La retorica vorrebbe l’antagonismo esterno, alieno, invece che propriamente inserito in settori di società che non tollerano più l’esistente e vorrebbero riappropriarsi di una vita dignitosa. In questi termini va a farsi benedire la massima pasoliniana che vorrebbe i poliziotti come proletari tali e quali a chi lotta, favoletta che se già era priva di validità allora, oggi dimostra tutta la sua inconsistenza.

Le forze dell’ordine sono oggi l’unico settore del lavoro garantito che non vedrà mai una precarizzazione, l’unico settore che non vedrà un taglio di stipendio, l’unico che nel bene e nel male viene potenziato e tutelato. La fiaba dei poliziotti padri di famiglia che non sanno se torneranno a casa a sera non regge di fronte a sempre più padri di famiglia che perdono il lavoro a cinquant’anni per le misure della Fornero tra l’altro prontamente difesa con il manganello ad ogni contestazione, di fronte a studenti che se va bene, con quattrocento euro, lavando piatti in un ristorante possono sperare di sopravvivere qualche mese, di fronte a giovani che un futuro non ce l’hanno se non pretendono di riprenderselo. Scegliere di fare il poliziotto oggi vuol dire scegliere la via per uscire individualmente dalla disoccupazione mentre migliaia di giovani cercano di lottare per riaffermare i diritti di tutti, e in più scegliere di essere da ostacolo alla vittoria di chi lotta.

Hai voglia a lamentarsi e salmodiare di tagli… bazzecole! La verità è che vengono messe in moto solo forme di razionalizzazione e trasformazione dentro i corpi di polizia per adattarli meglio proprio alla nuova stagione di lotte che ci si presenta davanti. Non c’è migliore rappresentazione di ciò che sta succedendo del dispositivo Val Susa, un intero territorio militarizzato per l’arco di anni, con straordinari, rimborsi, cene, pranzi e missioni pagate direttamente dai cittadini che questa militarizzazione la subiscono. Di ieri è la notizia infatti che l’80% delle forze impiegate in servizio di ordine pubblico nel torinese sono state utilizzate in Val Susa, con numeri che sfiorano complessivamente centotrentamila effettivi tra polizia, carabinieri e finanzieri. Spese esorbitanti per tutelare una grande opera inutile, stipendi da vacche grasse per funzionari e dirigenti, la crisi tra gli sceriffi non si è vista manco di striscio.

E se l’acuirsi del conflitto sociale spaventa il Sap, chi come noi vive i movimenti è ciò che si augura per l’anno a venire, in un’Italia che devastata dal rigore ha ben poco da festeggiare. Ma sappiamo bene che a differenza dei tutori dell’ordine perchè vengano realizzati i nostri desideri non basta mandare letterine di natale o rilasciare interviste ai giornali. Sappiamo bene che per costruire una fuoriuscita dalla crisi dal basso a sinistra (e oltre) molto sarà il sudore da spendere e le difficoltà con cui misurarsi con l’intelligenza che contraddistingue i processi collettivi di soggettivazione dentro le lotte. Per l’anno a venire gli obbiettivi devono essere molti con il chiaro orizzonte della generalizzazione delle mobilitazioni a tutti i tessuti sociali colpiti direttamente da crisi e impoverimento. La lotta sul tema del reddito, che non si fermi a artifici ideologici, ma che provi a inserirsi dentro le contraddizioni del reale, l’intervento nel campo della sanità e della salute su cui si giocheranno partite fondamentali, ricercare una continuità all’attacco e non unicamente in difesa nel campo dei saperi e dei territori sono solo alcuni dei propositi da porsi.

Altrettanti sono i mobili vecchi che andrebbero buttati dalla finestra dei movimenti allo scoccare del nuovo anno: suggestioni ideologiche senza riscontri, settarismi e orticelli da coltivare, approci etici e individualisti, personalismi e leaderismi che agiscono da freno. Oggi la fase ci impone la sfida di sporcarci le mani con umiltà sperimentando, rischiando e ricercando i metodi giusti per affrontare un nuovo anno, che sia un anno di lotte, che impensierisca guardie e politicanti ancora di più!


Redazione Infoaut

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