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Aumentare i giri

Nodi da sciogliere, sfide da accettare, passaggi vertiginosi verso il 27 Novembre

Come articolare evento e processo. Questo il nodo, profondo e aggrovigliato, da sciogliere. O, forse, da stringere. Come comporre una forza sociale in grado di scontrarsi con l’apparato governamentale dentro e oltre l’esito referendario del 4 dicembre, da un lato; come costruire l’attesa e la realizzazione di momenti di rafforzamento, ampliamento e spiazzamento per la destabilizzazione, dall’altro.

La giornata del 21 ottobre ripone sul piatto alcune invarianti e svariati problemi irrisolti. Possono essere colte alcune indicazioni di metodo politico: individuazione di una contraddizione nel continuo espandersi delle frontiere del capitale; investire nel potenziale di rovesciamento che qui si presenta; concentrarsi sulla durata dell’organizzazione autonoma di classe. Ad alcunianni dal suo inizio, non era e non è scontato che un segmento di classe come quello del settore della logistica mostrasse la capacità vista ieri di tenuta, avanzamento e maturazione politica. Non era e non è banale. Questa rimane una punta avanzata del conflitto sociale nel nostro paese.

E’ infatti un No operaio contro il governo Renzi quello che ha caratterizzato il 21 ottobre. Purtroppo, al di là delle evocazioni e dei politicismi, o dei venditori di fumo, altri pezzi di classe non sono scesi nelle strade se si esclude l’esperienza dei braccianti a Foggia e il tentativo di connessione tra movimenti per l’abitare e logistica a Roma. Ci sono state piazze giovanili in varie città, che però non sono ancora sufficienti e che forse necessitano ulteriori sperimentazioni nella loro indizione/costruzione, a partire da profonde riflessioni sulle modificazioni dell’essere studente oggi, ai tempi del pieno dispiegamento -anche biopolitico – delle recenti riforme della scuola. Certo, in potenza si intravvedono delle prove tecniche per la realizzazione di un vero sciopero metropolitano. Su questo, ben oltre le ritualità di movimento: provare ancora, sbagliare ancora, sbagliare meglio.

Tuttavia, come è evidente, questo ci basta? No.

L’ambizione, l’altezza della sfida per questo autunno, è alta. Può una politica di piazza, delle lotte, nel mondo virtualizzato e iperconnesso, incidere, fare male, scompaginare i rapporti di forza, dentro e oltre l’occasione del referendum del 4 dicembre? Si può contribuire a buttare giù il governo e ad approfondire l’instabilità sistemica?

La strategia di Renzi è piuttosto chiara: tra l’appoggio da provincetta di Obama e la sponda con Bruxells, tra il voto di scambio con i potentati imprenditoriali italici e il tentativo della propaganda smart e accattivante, il fiorentino gioca la sua partita sfruttando l’univocità del Sì rispetto alla gazzarra dei No, che per ora fatica a uscire dal perimetro parlamentare. Quale, allora, una strategia possibile da opporgli?

Evento e processo, si diceva. Come rendere il 27 novembre una piazza davvero di massa? C’è bisogno di svariati passaggi. Soffermandosi su un paio. I tanti No di questo paese riescono a iniziare per davvero a strutturare un piano eterogeneo ma comune da riempire di momenti di espressione e di scontro? I No territoriali e giovanili, operai e sociali, precari e migranti, espliciti e latenti, possono esprimersi, comporre risonanze e sperimentare polifonie? In questa direzione l’occasione della contestazione alla Leopolda organizzata dalla città di Firenze può essere uno dei vari treni da non perdere. C’è infatti bisogno anche di rompere una sfera mediale altrimenti compatta e ostile all’ipotesi di movimento. Dall’altro, e di nuovo, c’è il tema di come fomentare e strutturare l’attesa, l’attrazione per la piazza, la consapevolezza che con il prendere le strade si può incidere veramente. E anche su questo si gioca la partita. Possono i No sociali andare oltre loro stessi, affacciarsi sulla vertigine di una fase che sembra ferrea ma che in realtà è percossa da sempre più sussulti e lacerazioni?

E’ di fronte a questo possibile precipizio, nel preparare un precipizio e il suo salto, che si affacciano anche le tante praterie sociali sempre più incustodite dal crollo repentino dei tanti corpi intermedi che fino a pochissimi anni fa tenevano e davano forma al sociale. Il caso di Foodora insegna, nessuna forma dell’organizzazione del lavoro e del disciplinamento è inattaccabile dalle lotte; allo stesso tempo, quanto sta succedendo riguardo all’insolvenza di Trenkwalder prefigura spazi di insostenibilità anche di questo modello d sfruttamento ai tempi di una crisi sempre più incisiva. Ma queste praterie, prima di poter provare a incendiarle, bisogna percorrerle. I tanti vuoti, le tante mancanze, non rimarranno tali a lungo. E in politica, si sa, i vuoi non esistono. O meglio vengono colmati in fretta e non per sostituzione, ma per capacità di orientare verso opzioni.

C’è chi dice no. La sfida è alta. Il tempo è poco. Bisogna iniziare a correre.

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