Catastrofi clima. Contro l’impotenza, indicare il nemico
Le immagini in arrivo dagli antipodi della Penisola, dal Veneto alla Sicilia, mostrano quanto era già stato reso chiaro dal crollo del ponte Morandi lo scorso agosto.
Ovvero, che l’Italia è un paese seduto su una bomba a orologeria, quella di un mix decennale di disinvestimento sulle opere utili e di mancata prevenzione rispetto ai disastri ambientali.
In questo caso è sì utile parlare di realismo capitalista, citando Fisher. Da questo punto di vista, in mancanza di lotte sociali ampie sul tema dell’uso delle risorse, la situazione è destinata ad andare sempre verso il peggio, o quantomeno a rimanere in stallo.
Non c’è da aspettarsi alcun ritorno di un capitalismo etico, o di una prospettiva di rinnovamento e rigenerazione dall’alto di un pianeta sempre più prostrato da due secoli di iper sfruttamento umano come delle risorse territoriali.
Perché oggi come oggi, il capitalismo della shock economy è basato proprio sulla possibilità che la tragedia si crei, per poterci poi guadagnare. In questo senso nel nostro paese poco è cambiato da Bertolaso a oggi. Ma è una dinamica globale, in cui ogni giorno ad ogni angolo del pianeta c’è un disastro differente.
L’interesse alla massimizzazione degli utili, al profitto prima di ogni cosa stravolge lo sguardo di lungo periodo sul cui l’ingenuità degli apologeti del “capitalismo verde” continua a posarsi.
È una questione soprattutto di classe. Le differenze nella distribuzione della ricchezza permettono a pochi di potersi permettere anche il diritto alla sicurezza rispetto alla devastazione ambientale, mentre milioni di persone in Italia vivono in aree soggette a rischio idrogeologico.
Se c’è un ambientalismo da salotto, come affermato da Salvini nell’ennesima dichiarazione da titolone sui giornali, è quello di chi non capisce che ormai capitalismo e riproduzione ambientale vanno da due direzioni diverse.
Certo, andrebbe capito come riuscire a fare pagare ai responsabili di queste tragedie il prezzo dei loro comportamenti. Quel Salvini che si scaglia in stile trumpiano contro gli ambientalisti è lo stesso che tramite la Lega governa il Veneto da 23 anni. Riuscire in casi come questi ad uscire dalla retorica dell’impotenza di fronte al disastro è fondamentale, al fine di poter poi indicare politicamente il nemico.
Le dichiarazioni di Salvini fanno venire il sangue agli occhi, quasi quanto quelle di chi di fronte ad una situazione come questa riesce ancora a parlare di costruire la TAV in Val Susa. Oppure di cementificare nuove aree invece che di redistribuire il patrimonio immobiliare esistente.
Ma perché queste retoriche anche di fronte a queste tragedie non si placano? Per un semplice motivo: non c’è “sviluppo” senza grandi opere inutili, ovvero senza grandi commesse ai grandi gruppi industriali che hanno sequestrato il diritto di scegliere da parte degli uomini e le donne che vivono i territori. Qui si, There Is No Alternative.
In quest’ottica vanno letti gli appelli alla costruzione di relazioni e mobilitazioni su questo tema, così come le lotte che si sviluppano in territori come la Terra dei Fuochi, presa in giro – come sempre – anche oggi come tutto il sud (vedi TAP) dal CinqueStelle e dal Ministro Costa.
O si abbatte questo modello di sviluppo, o quello che stiamo vedendo è purtroppo solo l’inizio.
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