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Contestare Napolitano, rompere l’incantesimo

Una Bologna fredda, glaciale ha accolto il presidente della repubblica italiana Giorgio Napolitano invitato dal rettore dell’Alma Mater per la consegna della laurea ad honorem. Nessuna bandiera tricolore, neanche un capannello di cittadini sorridenti, solo centinaia di poliziotti, finanzieri e carabinieri nel centro città da cui il comune aveva fatto allontanare i clochard e con 27mila euro ne  aveva ripulito le mura dalla contestazione. “E’ un po’ fredda” Bologna ha esclamato il presidente ex-PCI al suo arrivo nell’aula magna dell’università e poi è iniziata la cerimonia con la lettura della lectio magistralis. Una lezione di politica reazionaria, concentrata sulla questione della crisi della rappresentanza e sorda quanto decisamente ostile alle tendenze sociali e culturali determinate dalle lotte degli ultimi anni in Italia e dai movimenti globali.

“Questo voglio dire soprattutto ai giovani. Tra il rifiutare i partiti e il rifiutare la politica, l’estraniarsi con disgusto dalla politica, il passo non è lungo: ed è fatale, perché conduce alla fine della democrazia e quindi della libertà. Dei partiti, come della politica, bisogna avere una visione non demoniaca, ma razionale e realistica”.

Il Presidente “che vi ascolta” è così venuto a Bologna, città che per prima lo scorso anno ha fatto risuonare lo slogan un tempo argentino “que se vayan todos”, e ora programma di un movimento globale, per spiegarci l’ineffabile nesso tra partiti, democrazia e libertà quando davanti a noi il sistema istituzionale dei partiti si presenta come avanguardia furiosa degli interessi delle cricche dell’1%. E’ quella la democrazia e l’alto senso della libertà di Giorgio? Sembra proprio di si perché poi aggiunge riferendosi agli ultimi mesi della politica del palazzo italiano che “il logoramento della maggioranza di governo e l’emergenza di un rischio di vero e proprio collasso finanziario pubblico hanno determinato la necessità di ricorrere anche in Italia a soluzione non rinvenibili entro schemi ordinari, evitando un improvvido, precipitoso scioglimento del Parlamento e avviando politiche ormai urgenti di risanamento finanziario e di riforma di non più sostenibili assetti economici e sociali. Questo è stato il senso della soluzione rappresentata dal governo Monti, e dal decisivo pronunciarsi di una larghissima parte del Parlamento a suo sostegno col voto di fiducia”.

Ci piace la sincerità di questa affermazione di Giorgio quando parlando di “soluzioni non rinvenibili entro schemi ordinari” da ragione alla contestazione e ai movimenti che fin da subito hanno trovato nelle operazioni del Quirinale per la successione a Berlusconi tramite Monti l’ingresso esplicito e violento della BCE e l’entrata in grande stile dell’austerity propiziata da finanza in crisi e FMI. Il riferimento all’ampia e trasversalissima maggioranza parlamentare che sostiene il governo Monti e i suoi tentativi di riforma degli assetti sociali ed economici approfondisce dal nostro punto di vista il discorso sulla crisi della rappresentanza mostrando l’arco parlamentare come semplice e agguerrito garante delle riforme rivolte contro il lavoro e il sapere vivo che si vuole schiacciare tra il debito e i tagli alla spesa pubblica. Il Presidente “che vi ascolta” ha poi aggiunto che “assistiamo certamente, da qualche tempo, all’appannarsi di determinati moventi dell’impegno politico, inteso come impegno di effettiva e durevole partecipazione. Tra i moventi che si sono affievoliti si può collocare quella che ritengo sia giusto chiamare la forza degli ideali, e la stessa percezione del ruolo insostituibile della politica. Insostituibile in quanto decisivo per la soluzione dei problemi di cambiamento e sviluppo della società, cui si legano i destini individuali e collettivi nel quadro nazionale e internazionale”.

Ma quale politica Giorgio? Se ti lagni che nel quadro istituzionale e partitico non trovi la forza degli ideali hai ragione. E come potrebbe essere altrimenti nella macchina della governance neoliberista che curva il mondo intero sugli interessi della speculazione? Ma guardando attentamente al di là dei corpi morti della rappresentanza c’è chi, e sono molti, che in Italia come altrove la forza degli ideali la praticano quotidianamente nelle lotte e nei conflitti sociali sia in Val Susa che a Piazza Tahrir. Lì gli ideali sono i grandi scopi di trasformazione e resistenza dei movimenti sociali che coinvolgono milioni di uomini e donne degne che si stanno ribellando proprio al sistema politico, sociale ed economico che qui in Italia rappresenta Giorgio Napolitano.

Ieri a Bologna si è rotto il simulacro formale della coesione sociale italiana, già squassata violentemente dal governo Berlusconi e dal governo Monti e sicuramente incalzata ed agita anche dai movimenti contro la crisi. Fa bene il Corriere della Sera ad annotare in un’analisi di Breda della contestazione al conferimento della laurea ad honorem a Napolitano che gli indignati che “volevano attribuirgli una beffarda laurea in politiche d’austerity lanciano un segnale non trascurabile. E, chissà, magari hanno spezzato pure un incantesimo”.

L’incantesimo della transizione dolce dal berlusconismo alle lacrime e sangue del governo Monti si sta rompendo: già dai primi giorni del nuovo governo gli studenti medi e universitari avevano orientato subito la lotta contro le manovre dell’austerità, poi si sono aggiunti diverse segmenti del lavoro colpiti della crisi che in maniera anche spesso contraddittoria hanno manifestato una forte e decisa contrapposizione sociale.

I collettivi e le soggettività antagoniste attive nelle scuole, negli atenei, nelle lotte per i beni comuni e contro le riforme del lavoro devono cogliere ogni occasione di contestazione al governo seguendo l’indicazione bolognese che ha svelato quanto nei palazzi del potere i movimenti non abbiano nessun amico. Ogni città che già accoglie glaciale l’arrivo della politica lacrime e sangue e i suoi rappresentanti deve saper scaldarsi delle lotte e della contestazione. Il rifiuto della rappresentanza e l’approfondimento della sua crisi tramite le piazze è una delle tendenze che legano i movimenti sociali in tutto il mondo dal nord africa agli infiniti occupy del movimento americano e a partire dalla giornata di contestazione bolognese possiamo augurarci che anche nell’Italia di Monti stretta tra povertà e precarietà un nuovo connettore delle lotte antagoniste possa iniziare a prendere corpo.

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