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Dai diamanti dell’ideologia non nasce niente…

Supponiamo che abbiano ragione tutti i benpensanti di sinistra, i siti di movimento con mani e coscienze pulite, i pallidi ideologi dei lavoratori neri, i rappresentanti del quinto stato bello e colto, i tifosi delle rivolte degli altri e i dietrologi delle rivolte sotto casa. Supponiamo che sì, tutto quello che è successo in questi giorni sia interamente frutto di organizzazioni fasciste della cui potenza finora non ci eravamo mai resi conti, di occulti piani di golpe militare, di trame nere ordite da camionisti cileni travestiti da partite Iva, di diciannovisti camuffati da ultras, di un malefico Poujade reincarnatosi nelle vesti di comico genovese. La reazione ha vinto, il fascismo è tornato, la storia si ripete uguale e immutabile! A questo punto permetteteci di chiedervi, o donne e uomini puri, privi di dubbi e illuminati da certezze eterne: cosa dobbiamo fare? Andare sulle montagne? Ritirarci nelle nostre microcomunità e aspettare che i tempi cambino spontaneamente? Andare a votare alle primarie del Pd e diventare azionisti del Partito di Repubblica? Smettere di fare i militanti o emigrare? Pontificare dagli scranni dell’università sulla stupidità della plebe? Se, senza che ce ne siamo accorti, siamo circondati da ronde di camice brune e viviamo in un regime dittatoriale, il problema è armarsi, non sparare giudizi su facebook.

Di gente pronta ad armarsi e andare in montagna, invece, non ne vediamo. In compenso, vediamo molti impegnati a distribuire patenti di purezza, propagandare schemi preconfezionati, scagliare pietre filosofali contro chi scaglia pietre raccolte dal selciato. Che lo facciano i Gad Lerner sul Partito di Repubblica, non sorprende. Aiuto, grida terrorizzato il “fedele” Lerner: qua circolano “pulsioni insurrezionali”, “sostenitori della rivolta”, “si viene meno al dovere di lealtà democratica”. E che orrore quei barbari maleducati raccolti in Piazzale Loreto, gente da stadio e qualcuno con la cresta, non hanno argomenti raffinati (dicono solo di “avere il frigorifero vuoto”) e non vogliono svelare al famoso giornalista chi è che li eterodirige. Sono sicuramente fascisti (ben strani questi fascisti, che si ritrovano a Piazzale Loreto a dire al nuovo regime che farà la fine del vecchio). Più o meno le stesse scene il sinistro Lerner racconta di averle viste nella Genova già infiammata dagli scioperi dei tranvieri. Ma qualche via più in là il “fedele” finalmente trova quello che alla sinistra piace: “alcuni anziani ben vestiti (no, non erano rom) inginocchiati a chiedere l’elemosina”. Povere vittime di tutto il mondo, mendicate! E se raccogliete due euro, andate a spendere i vostri diritti democratici alla primarie del PD.

Fino a qui, tutto normale. Così come è normale che Corrado Zunino, grande amico dei “rappresentanti” del movimento studentesco, adoperi argomenti dietrologici e polizieschi non troppo dissimili da quelli usati dopo il 14 dicembre del 2010. E per ora ci è stato risparmiato il vate Saviano, a illustrarci il grande cervello camorristico che controlla e gestisce tutto. Per nulla normale, anzi preoccupante, è che ad accodarsi al Partito di Repubblica e alla sinistra moralista, dietrologica, supponente e anti-popolare (ne esiste forse un’altra?) siano gruppi e gruppetti di movimento che fino a qualche tempo fa, con la stessa certezza pontificatrice, facevano i peana del popolo delle partita Iva, del quinto stato e dei poveri. Ma quando l’indebitato salta fuori dai libri e ti si presenta di fronte in carne, sangue e merda – perché di questo sono fatti gli umani, proletari e ceti medi, rivoluzionari e reazionari – ecco che questi compagni si voltano dall’altra parte, dalla parte della sinistra, e gridano al golpe. Se non parlano esplicitamente di “crisi della rappresentanza” ma urlano contro la casta, se al posto dell’esotico “que se vayan todos” gridano “tutti a casa”, sono sicuramente populisti. Dopo vent’anni di esaltazione delle potenzialità organizzative dei lavoratori autonomi e dei padroncini (potenzialità tutte teoriche, perché nella concretezza ci ha lavorato solo la Lega), gli stessi compagni raccontano che nelle loro regioni il #9d è successo ben poco: come se questo fosse motivo di compiaciuta soddisfazione, e non invece ragione di autocritica per le proprie incapacità. Come se questi compagni fossero ormai semplici spettatori di un film, non più protagonisti di una storia da costruire: se non ti piace lo spettacolo ne scegli un altro, sul mercato delle rivolte ce n’è per tutti i gusti. E non può che farci sorridere che a indicare come chiara prova della trama occulta l’incontro (mancato) tra Berlusconi e gli autotrasportatori siano coloro che dopo il 14 dicembre strinsero la mano a Napolitano, vero padre e custode dell’unico regime esistente.

Per chi non conosce l’urbanistica di Torino, vi è una coincidenza tra piazze e luoghi percorsi dai blocchi di questi giorni e quelli delle lotte operaie degli anni ’60. In questo caso un po’ di evocazione, se sostanziata da elementi concreti e non solo simbolici, talvolta aiuta. Per chi non conosce la storia delle lotte, dopo la rivolta di Piazza Statuto il Pci e il sindacato (gli antenati della sinistra odierna) usarono lo stesso armamentario ideologico e dietrologico dispiegato in questi giorni: infiltrati, provocatori, fascisti. Tutto il resto, al di fuori di urbanistica e sinistre continuità storiche, è cambiato: noi lo sappiamo fin troppo bene, ed è questo che ci porta a essere attenti a quello che sta succedendo. É proprio questo che ci spinge a ipotizzare che questo specifico ceto medio declassato non sia una ciclica riproposizione di una storia omogenea e vuota, ma una specifica espressione delle forme del lavoro nate dalla crisi del fordismo, di autonomia formale e dipendenza di fatto, di retorica autoimprenditoriale e impoverimento progressivo, di velleità di ascesa individuale e schiavitù del debito. Spesso sono visti dai lavoratori dipendenti come evasori, e li ricambiano considerandoli parassiti: buona parte della responsabilità di questa situazione ha nomi e cognomi, in particolare quella sinistra e quei sindacati con cui periodicamente vengono provate acrobatiche alleanze politiciste. Destra, fascisti e reazionari arrivano dopo, a raccogliere quello che la sinistra ha seminato. A fianco a costoro c’è un proletariato delle periferie che non solo non vuole la “meritocrazia”, ma odia i “meritevoli”; non c’è per loro una Berlino o una New York in cui andare a vendere i loro talenti non riconosciuti, non c’è via di fuga. Qui sono e non c’è altrove. In alcuni luoghi in questi giorni abbiamo visto assalti ai centri commerciali, per lungo tempo definiti “non luoghi”. É falso, quelli sono luoghi: luoghi della rendita e dello sfruttamento, del consumo che diventa produzione, dell’aggregazione e della socialità (alienata finché si vuole, ma dio ci scampi dal romanticismo reazionario pasoliniano: le periferie sono sempre stati posti duri in cui vivere). Lasciamo ad altri la colorimetria delle piazze, ma sappiamo che in questo confuso amalgama, c’erano tanti migranti di seconda generazione e qualcuno di prima, le cui condizioni di vita sono sempre più percepite come comuni rispetto a quelle degli indigeni, indipendentemente da inni nazionali e bandiere. Benvenuti nel deserto della metropoli! Nel disprezzo per queste figure, considerate in blocco r-e-a-z-i-o-n-a-r-i-e, sentiamo puzza di corporativismo, proprio la stessa che ci fa cogliere di queste piazze le ambiguità estremamente problematiche e le profonde ambivalenze (per i marxisti ortodossi: leggi contraddizioni, perché le ambivalenze sono sempre contraddittorie da un punto di vista di classe). Una guerra tra questo ceto medio declassato, proletariato “no future” e precariato cognitivo è esattamente quello a cui punta ogni reazionario consapevole del proprio compito storico. E oggi, almeno per alcuni settori sociali, l’ex votante deluso del centro-destra è spesso più pragmatico e ideologicamente libero del votante medio di sinistra, obnubilato da vent’anni di anti-berlusconismo e da un ormai irreversibile distacco dalla materialità delle condizioni di vita.

In questi giorni abbiamo cercato di capire e dunque situarci: questo è l’abc del militante rivoluzionario, ci stupisce che dobbiamo discuterne. Abbiamo documentato le potenzialità e i problemi, i tratti di classe e i tanti rischi, la determinazione e la confusione, i livelli spontanei e i livelli organizzati, la politicità intrinseca e quella esplicita, ciò che abbiamo capito e ciò su cui non abbiamo alcuna certezza. Non ci esaltiamo per ogni esplosione di rabbia, ma non ci esaltiamo neppure per la calma piatta della pace sociale. Preferiamo allora seguire il consiglio del vecchio Hölderlin: “Dove però è il rischio anche ciò che salva cresce”. Ora la parabola sembra declinante, ma le questioni restano tutte lì sul tappeto. Chi non cerca di capire non capirà mai cosa cercare. Se poi qualcuno trova il bandolo della matassa nella sicura tranquillità della propria casetta, ci faccia un fischio. Tanto dove trovarci lo sapete, alle prese con la merda delle contraddizioni reali. Perché solo dalla merda, se siamo in grado di coltivare con intelligenza e forza semi di progetto, possono sbocciare i fiori della sovversione. Dalla purezza delle piccole identità non abbiamo mai visto nascere niente. Almeno di questo, permetteteci di esseri abbastanza sicuri.

 

Redazione InfoAut

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