Genova per noi
Genova è tornata a essere un buon osservatorio. Non neutrale, fortunatamente, se guardiamo alla lotta nei trasporti pubblici. Con tutte le cautele del caso si può parlare di un punto di rottura quanto a determinazione messa in campo. E non sono mancati neanche spunti di “programma”: allargamento della mobilitazione a scala nazionale, lotta al programma di privatizzazioni di governo e enti locali. Troppo breve purtroppo la lotta – e forte la “sorpresa” intorno? – per un aggancio col 19 ottobre. Dovrem(m)o essere un pochino più pronti, next time, rispetto a un settore che insieme alla logistica si sta rivelando cruciale per la rimessa in moto di dinamiche antagonistiche di una composizione da troppi data per residuale…
Ma Genova ci dà anche la conferma di un’altra dinamica: la tenuta del M5S. Certo, non siamo ai numeri e al clima di attese dello tsunami tour elettorale, ma la riuscita della giornata grillina è tanto più significativa dopo gli alti e bassi di questi mesi nonchè alla luce della feroce conventio ad excludendum nei confronti della sua rappresentanza parlamentare che, nei calcoli degli artefici delle “larghe intese”, avrebbe dovuto sgonfiare il M5S rendendo visibile la sua inutilità politica. Ora, questo non sta avvenendo: non guardiamo ovviamente ai settimanali “sondaggi” di voto, ma a sonde forse non confortate dalle statistiche ma ben più rilevanti. Per dirne una, Grillo è l’unico politico che è potuto andare tra gli autisti genovesi in lotta e non pare si sia coperto di… ridicolo (proprio mentre Renzi, futuro e speranza del Pd!, ha evitato accuratamente di farsi vedere in città nonostante gli impegni previsti).
Il discorso in piazza del leader M5S (v. il video del Vday di domenica scorsa con il suo intervento) dà poi elementi di riflessione interessanti. Sul tema reddito, innanzitutto: con linguaggio diretto e a suo modo potente ha detto che il lavoro oggi è diventato la modalità principale di ricatto per far accettare alla gente tutto il peggio possibile. E che bisogna andare oltre verso una diversa articolazione tra produzione e società. Così come bisogna andare oltre la stanca, compromessa e oramai in gran parte inutile modalità di difesa sindacale tradizionale. Sappiamo benissimo che è un discorso ambivalente – l’abbiamo detto in tempi non sospetti (Proficue ambivalenze del grillismo) – che allude a una dinamica potenzialmente antagonistica del sottosuolo sociale, che inizia peraltro a dare qualche segno di sé, e insieme cerca di indirizzarla verso la rigenerazione “dal basso” del sistema. (Non a caso Grillo non ha fatto alcun riferimento alla giornata romana del 19 ottobre). E resta che la base grillina, il cui sentire oggi è molto probabilmente indietro rispetto a quello stesso discorso, è ancora una massa di individui che faticano a trovare un legame, tra di sé e con le mobilitazioni, che non passi attraverso il capo, la “rete”, le attese elettorali.
Comunque sia, anche da queste parti il barografo non segna calma piatta, a saperlo leggere. C’è anzi la sensazione che non solo siamo avviati economicamente e socialmente verso il peggio ma questo sistema politico è letteralmente irriformabile dall’interno. È rivolgendosi esattamente a questo sentire che Grillo continua a porre a suo modo la questione del potere: nei termini di un que se vayan todos applicato al nostrano ceto politico, nulla di più, ma è importante anche per noi che si faccia strada più diffusamente l’idea che la lotta di resistenza che ci aspetta è anche e inevitabilmente una lotta politica.
Ma ogni lotta politica necessita di un programma e di una prospettiva. Quella del M5S, questo l’altro segnale da cogliere, si avvia oramai chiaramente verso la ricontrattazione del debito e più in generale delle politiche economiche e monetarie con la UE. Non è (ancora?) l’indicazione netta di fuoriuscita dall’euro -che avrebbe al momento non pochi problemi tra la sua stessa base- ma è la presa d’atto che tra poco (quando? dipenderà dall’andamento della crisi globale) non basteranno più i miseri palliativi dei venditori di fumo (e di beni comuni). Si renderanno inevitabili misure shock, in un senso o in un altro.
Senza qui entrare nel merito della complessa questione, è evidente che siamo forse non troppo lontani da una dislocazione secca anche del quadro italiano su terreno più prossimo ai nodi profondi della crisi di sistema in atto. Il debito è uno di questi nodi (anche se non l’unico) a misura che si prenderà atto a livello di massa che esso è una delle leve principali di espropriazione della ricchezza comune che passa così nelle mani di pochi, e niente affatto un problema di “noi tutti”. Sarà allora discriminante -sempre a condizione che si diano reazioni ampie e radicali- quale direzione prenderà la lotta sul debito. Se quella di una ricontrattazione, anche dura, coi poteri internazionali per rimettere in sesto l’economia nazionale “reale”, come nella proposta non solo del M5S ma anche di un Guido Viale (peraltro uno dei pochissimi intellettuali di sinistra dignitosi rimasti), con più dosi di equità e partecipazione, certo, ma pur sempre dentro un quadro di compatibilità con il sistema. Oppure, ed è la nostra opzione, anche una ricontrattazione dura ma verso un percorso di riappropriazione effettiva dei modi in cui produciamo e riproduciamo le nostre condizioni di vita. Non si tratta di disdegnare la prima opzione ma di aver chiaro che presto o tardi il sistema rimesso in sesto seppellirebbe ogni pur generosa istanza di equità dando inizio alla vecchia merda. Riconosciamo al M5S oggi (domani non si sa) di essere, a suo modo, un sismografo e un attore della crisi che avanza, per questo lo auscultiamo con attenzione fregandocene del malinteso politically correct di certa sinistra. Ma lavoriamo, peraltro senza ricette in tasca, a un’altra soluzione. Non per una strategia di uscita dalla crisi, ma per una strada altra.
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