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Giornalismo sessista, colpirne uno per assolverne cento?

Negli scorsi giorni il giornalismo mainstream italiano ha diffuso a gran voce la sua scoperta improvvisa, in realtà riducibile ad una nuova varietà di acqua calda. Ovvero che il sessismo, con la retorica che lo costituisce, è parte fondante di gran parte dell’informazione (?) del nostro paese, riproponendosi con forza ogni giorno nel formare l’impronta culturale di tutti e tutte noi attraverso titoli, vignette, fotogallery di un sessismo becero e spinto.

Dove non poterono le cronache e i numeri dei femminicidi, o il vergognoso dibattito svoltosi in della questione delle unioni civili, potè lo spirito olimpico. La polemica è infatti detonata dalla vicenda ormai universalmente nota del “cicciottelle” rivolto da un articolo del Quotidiano Sportivo (pagine sportive del Resto del Carlino) alle tre atlete impegnate nel tiro con l’arco alle Olimpiadi di Rio.

Ancora una volta la dinamica è quella che vede l’appiattimento di una persona, delle sue qualità politiche, atletiche, sociali a seconda dei casi a delle caratteristiche fisiche più o meno accettabili socialmente; tutto al fine di formare l’opinione pubblica attraverso la normazione di criteri estetici che si vorrebbero universali, a scolpire nell’inconscio un criterio di giudizio unico e insindacabile rispetto a “lati b disegnati col compasso” o a forme “un po’ troppo generose”.

La vicenda si conclude con le dimissioni imposte dall’editore del Resto del Carlino , quotidiano da sempre in prima fila nell’attacco alle lotte sociali, al direttore del QS Tassi..ma non finisce qui.

Poche ore dopo, la vignetta ospitata dal Fatto Quotidiano che ritrae la ministra Boschi in abiti succinti con la didascalia “Riforme. Lo stato delle cos(c)e” ha fatto esplodere la reazione veemente di testate come Repubblica e HuffPost, così come della renzianissima L’Unità – dove lavorano uomini davvero di alto livello come Fabrizio Rondolino -, che hanno costruito parecchie prese di posizione sulla vicenda dilungandosi in parallelismi tra Tassi e Travaglio e invocando che quest’ultimo subisca lo stesso trattamento del primo, dimenticandosi di come il governatore PD della Campania DeLuca diede alla Raggi della bambolina solo poche settimane fa..

Peccato poi che proprio giornali come l’HuffPost nelle stesse ore proponevano articoli e slide come questi (1), condividendoli su Facebook proprio tra un’invettiva e l’altra contro Tassi e Travaglio. Invettive che nei fatti quindi si rivelano funzionali unicamente ad un attacco politico, per niente tese ad affermare un paradigma differente e ad aprire un ragionamento e una messa a critica dei contenuti prodotti.

Infatti non per niente non c’è un articolo sulla vicenda Boschi che non colleghi l’attacco alla ministra alla questione del referendum sulla Costituzione: non essendo state rimosse gallery da Repubblica come queste, ci chiediamo quanto sia genuina questa levata di scudi o quanto una sacrosanta indignazione non stia venendo utilizzata per fini altri..

Ben venga la cacciata di Tassi, ovviamente, e ben venga che la vicenda abbia quantomeno riproposto il tema del sessismo nei media all’interno dell’opinione pubblica. Ma nel siluramento del giornalista del QS ancora una volta si prova a addossare ad un mostro una responsabilità comune al 95% dell’ambito mediatico italiano, proprio per non riflettere a livello complessivo sull’impianto sessista del giornalismo nostrano. Colpirne uno per assolvere tutti insomma, e da domani nuove pallavoliste e nuovi nuotatori saranno esposti e descritti a partire dai loro pettorali e lati b, magari facendo un po’ più attenzione ai titoli..

Con la pubblicazione in parallelo di certe vignette e gallery e degli articoli di risposta ai vari Tassi e Travaglio da parte di personaggi come Calabresi e Annunziata – dei quali difficilmente vedremo a stretto giro di posta le dimissioni che pure, per coerenza, sarebbero da attendersi – la violenza nei confronti dei corpi è così ancora più rincarata, piuttosto che scalfita.

Evidentemente la caccia ai Mi Piace e alle inserzioni pubblicitarie è incentivo molto forte alla pubblicazione di certi contenuti, e probabilmente anche i saltuari sfoggi di antisessismo possono essere utili se fanno vendere giornali e cliccare begli annunci sui propri social networks..l’importante è che non aprano ad una discussione ampia sul tema!

Siamo di fronte piuttosto ad una posizione di facciata, molto “social”, alla quale non corrisponde alcuno sforzo reale di impostare una riflessione pubblica sul tema, compito che spetterebbe proprio a quei giornali che si dicono progressisti e che poi, come sappiamo ormai tutti, di progressivo hanno soltanto il muoversi alla ricerca della pace sociale e di annunci pubblicitari sulle proprie homepage. Nessuna delega potrà infatti determinare una rottura reale del paradigma sessista dominante, compito possibile solo con l’intensificazione delle pratiche quotidiane di denuncia dello sfruttamento dei corpi e di autodifesa antisessista che spettano a tutti e tutte noi.

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