In Italia la ricchezza c’è, ma è distribuita male
Nel 2014 la ricchezza delle famiglie italiane ha toccato i suoi massimi storici (Il Sole24Ore) superando i livelli pre-crisi. Sembra incredibile in anni di crisi segnati da austerity e pareggi di bilancio: anni duri in cui l’impoverimento, l’altissima disoccupazione (13,3% totale, oltre 40% quella giovanile), i licenziamenti e la precarietà sono i fenomeni più percepiti e vissuti dalla maggioranza del paese.
A quanto pare in Italia la ricchezza risultante da conti correnti, azioni, titoli di stato e altri strumenti finanziari è cresciuta di 400miliardi dal 2011, superando i record precedente risalente al 2006. In media le famiglie italiane avrebbero raggiunto una disponibilità di 65mila euro (!!!). Mentre il debito pubblico è sempre più alto (giustificando tagli e sacrifici) gli investimenti nella finanza (azioni, bond, fondi comuni) hanno avuto favolose performance, determinando gran parte di questa crescita. Ma la finanza, si sa, non è per tutti. Se chi ha qualche risparmio riesce a integrare reddito e pensioni (rischiando, però, di perdere tutto), chi manovra grossi capitali accumula rendite favolose, spesso così grandi da non essere nemmeno immaginabili.
No, non è il miracolo promesso da Renzi che si realizza. Bensì è la testimonianza di una cruda realtà: la guerra dei ricchi contro i poveri che la crisi ha accelerato. Infatti il concreto ed evidente contrasto tra la notizia e l’esperienza quotidiana della maggior parte del paese è dovuto alla foglia di fico di un valore considerato “in media”. La è realtà è che molte famiglie hanno in realtà livelli bassi o nulli di ricchezza, mentre poche posseggono grandi patrimoni: il 10% più ricco della popolazione detiene il 50% della ricchezza complessiva.
Quindi la ricchezza c’è, semplicemente è distribuita in maniera fortemente diseguale. Non è un caso che il record pre-crisi sia stato battuto ora, quando la crisi è ben lontana dall’essere finita (se mai finirà). Infatti è proprio grazie ad essa che si è potuto accelerare violentemente il processo che ha drenato ricchezza da chi per vivere deve vendere la propria forza lavoro (anche se formalmente autonomo o piccolo imprenditore) verso quelli che si arricchiscono con finanza e grandi affari.
Questo processo non è capitato per caso o per delle oggettive leggi naturali. È il risultato delle politiche che un blocco di potere trasversale (politica, grandi imprenditori, finanza…) sta portando avanti per rafforzare i propri privilegi: le riforme del lavoro (per esempio il Jobs Act, che sarà un affare sopratutto per le agenzie interinali), la tassazione, i tagli alla sanità, alla scuola, all’università. Un processo di anni che per la stragrande maggioranza della popolazione ha significato impoverimento, diminuzione delle possibilità, mancanza di sicurezze e garanzie, perdita di controllo sulle proprie vite.
Così, mentre i politici dirigono risorse in grande opere inutili, le periferie delle nostre città vivono il problema della casa e della mancanza di servizi; mentre i patrimoni di pochi ricchi si accrescono, a noi viene imposta la competizione al ribasso di lavoratori contro disoccupati, giovani contro vecchi, garantiti contro non-garantiti. Qualche anno fa il ricco finanziere Warren Buffett dichiarava “La lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi”. Per quanto ci riguarda la partita è ancora del tutto aperta. La favola della crisi come male comune trasversale si rivela per quel che è e i meccanismi di mediazione perdono efficacia. Dentro questa polarizzazione si apre la possibilità di individuare un’inimicizia esplicita, la possibilità dell’autonomia e della trasformazione radicale dell’esistente.
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