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La parola all’odio di classe

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Due fatti come troppi che stanno segnando i nostri giorni.

Lavinia Flavia Cassaro, maestra scesa in piazza a Torino nel febbraio scorso contro un movimento dichiaratamente fascista come Casa Pound e la polizia che lo proteggeva ha inveito contro quest’ultima; in modo non diverso da quanto capita al bar contro politicanti e banchieri. Per lei è scattata la lesa maestà, con un ex capo di governo “di sinistra” intervenuto in prima serata e in prima pagina, che ne ha chiesto e ottenuto il licenziamento in tempi record ed extralegali.

Per un’anonima capotreno (la cui privacy è stata al contrario tenacemente difesa dai poteri forti mediatici), responsabile di un annuncio gratuito e razzista nell’esercizio delle sue funzioni (per di più ultimo di una serie che comprende auto-attentati ed aggressioni xenofobe come quelle compiute dai colleghi Davide Feltri e Giordano Stagnati) un ministro con nel curriculum la partecipazione a “il pranzo è servito”, la nullafacenza nel parlamento europeo e la partecipazione al furto di 49 milioni di euro agli italiani ha chiesto ed ottenuto il rientro al lavoro – non si può parlare nemmeno di reintegro, tra il 7 ed il 30 agosto.

Questo stesso ministro, strepitando di essere dipinto come un nazista su un muro della piazza milanese di martedì scorso e minacciato di morte chiede ed ottiene la solidarietà della Boldrini.

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Peccato che lo stencil in questione raffiguri non un nazista ma Charlie Chaplin – ergo, con tante scuse al grande attore, quel ministro verrebbe rappresentato per il pagliaccio che è. E Piazzale Loreto sia qualcosa che dovrebbe fare paura solo a chi volesse ripercorrere le orme dell’Appeso.

Insomma, a Milano non c’era posto né per i Voltaire né per i Charlie – sulla cui ultima vignetta infamante sia verso i migranti che verso le vittime di Genova peraltro la Boldrini ha perso l’occasione di prendere parola. Ma cosa pretendere da una persona senza dignità, incapace di ottenere scuse credibili (e ingenua nel pretenderle) da chi equiparava lei ed il genere femminile ad una bambola gonfiabile – e che con la “libertà di parola” faceva delle minacce e delle incitazioni allo stupro la propria bandiera? L’ex presidente della camera è invece riuscita benissimo a dissociarsi da una piazza convocata proprio dalla sinistra riformista in nome dell’ “unità”  e contro il “settarismo”. Retoriche che torneremo presto a sentire (già il PD ha chiamato il bis a Roma il 29, in cui si auspica che Martina si ritrovi da solo a contemplare il ghigno di Minniti) ma che ci impantanano da tempo, e che frustrano i tentativi di riorganizzare una sana opposizione all’intollerabile stato di cose presente.

Se il filosofo dell’illuminismo viene citato (a sproposito, assieme ad una pletora di altri luoghi comuni) e brandito come una clava per avallare il peggiore oscurantismo è arrivato il momento di seppellirlo (im)pietosamente, e concentrarci maggiormente su un altro campo di contesa. Quello del ripristino nella società, con l’autorganizzazione, di quei rapporti di forza che rendano illegittimi e intollerabili la concentrazione della ricchezza e dei mezzi di valorizzazione nelle mani di pochissimi e la socializzazione delle perdite; l’esistenza del lavoro per il lavoro; l’utilizzo di beni pubblici per profitti e spartizioni di finanziamenti e posti di potere; l’asservimento gerarchico dei territori alle esigenze del capitale logistico e delle piattaforme; la tolleranza e l’etnicizzazione della violenza di genere; un proibizionismo differenziale sulla libertà di movimento e di insediamento che applicato a noi stess@ risulterebbe inaccettabile. Si può riassumere molto semplicemente: ripartenza collettiva dall’odio di classe verso gli oppressori ed i padroni di ogni colore e genere, di cui i nuovi reazionari non sono altro che meri leccapiedi ed interpreti.

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