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La sconfitta dell’Europa di Merkozy

Una certa idea di Europa è stata sconfitta. Questo ci indicano, in termini netti, le tornate elettorali (differenti per grado e importanza) del Continente. Un weekend alle urne da osservare nella sua complessità, test significativo sullo stato di salute di questo pezzo di sistema-mondo attraversato da una profonda crisi di civiltà che si avrebbe tanto l’ambizione di piegare in direzione differente. Le condizioni oggettive sarebbero pure tutte presenti… Mancano però le lotte: poche, frammentate, deboli, episodiche, riassorbibili, dannatamente parziali o troppo generiche.

Grecia, Francia, Italia, Gran Bretagna, Serbia, Germania. Una porzione importante di elettorato europeo ha espresso una tensione sociale senza confini che non può certo essere letta come univoca ma che nel suo travalicare gli stati-nazione esprime un No forte e determinato, comune. Un responso chiaro contro il progetto di Europa comandato dalla finanza e dall’austerity, resistente al macello sociale dettato dai governi della Bce. Un niet che riduce al lumicino tanti partiti e partitelli, marescialli e capi partito di cartapesta.

Questa mattina il quotidiano belga De Morgen titolava: ‘Un nuovo inizio per l’Europa’. Forse esagerava. E’ però vero che il weekend del voto europeo consegna in braccia alla democrazia della coppia Merkozy un cane morto, vero protagonista in negativo di questo fine settimana, sconfitto dalla sottrazione di voto di milioni di cittadin* europe*.

Ad essere stati costretti alla resa sono stati i promotori del sacrificio, del taglio e del massacro sociale. I servi della troika (Pasok e Nuova Democrazia) sono stati puniti in quanto artefici di quel terribile laboratorio chiamato Grecia, i conservatori britannici di Cameron hanno ben poco da rallegrarsi nonostante la conquista di Londra, la tedesca Merkel perde il land dello  Schleswig-Holstein (oltre che l’amico francese) e nervosamente si prepara alla gara per il  Nordreno-Westfalia, il socialista Hollande scalza un maldestro Sarkozy incassando il desiderio di una Francia che vuole cambiare radicalmente pagina.

E anche alle nostre latitudini la musica non cambia se si è capaci di ascoltarla. Lo schianto del Partito delle Libertà e della Lega Nord è sotto gli occhi di tutti. Da un lato il partito di plastica, per di più sfasciato, che come risposta al boom elettorale al contrario annuncia di non voler più essere parte dell’Abc. L’altro, ex-alleato ridotto ai minimi storici dalla sciagura governativa con B. e l’esplosione del faldone ‘The family‘, paga la promessa non mantenuta di essere stata l’unica vera (differente?) organizzazione partitica dei territori del Nord. L’esclamazione di un D’Alema (‘Abbiamo vinto le elezioni’) dà sull’altro versante la cifra della miserabilità politica di un PD che resta in piedi -dopo aver perso quasi dappertutto le  primarie- solo perchè questa tornata di schiaffi era diretta ai governanti della crisi e a chi stava prima a Palazzo Chigi.

Nel pentolone della governance-austerity dovrebbero far riflettere le sortite dell’estrema destra (ma in Grecia il 7% all’Alba Dorata non è significativo) come unica capacità di narrazione – semplificata e ripiegata su sé stessa ma coerente – di quella che è oggi la vita dei territori: spazio frammentato e distrutto da un sistema sociale ingordo e avido, costrizione dentro un labirinto d’individualismo e negazione di collettività. Mancanze e vuoti che non possono essere lasciate ai neonazisti. Nei territori s’annidano quei bisogni, quelle necessità, quegli umori che sarebbe stupido  regalare a chi costruisce pseudo-alternative su passati fatiscenti e nemici immaginari. Un becero populismo da battere ed annullare che però non può essere ridotto a quel ribollire invero ben più ambivalente che casta e mainstream (non a caso) si ostinano a denominare “anti-politica“. Proprio l’intento peggiorativo del nomignolo ci suggerisce invece il terrore che questa embrionale politicizzazione di masse di individui sociali qualsiasi produce negli incubi (finalmente) ad occhi aperti dei gestori della governance.

La decisa affermazione dei Cinque Stelle in Italia (o I Pirati in Germania) questo ci dice. La composizione di quei ‘movimenti’ e l’adesione elettorale di tanti a questi non-partiti nasce dalla politicità che lì si aggrega perchè non avente altre prospettive e narrazioni, arrivando forse a rappresentare un’anomalia potenziale. Grezza e insoddisfacente, magari ingenua, ma molto più concreta di tanti fumosi progetti costruiti in vitro (e in assenza di lotte) su “alternative” e “nuovi soggetti politici” senza carne né anima.

L’Europa della Merkel e di Sarkozy, dei Monti e Napolitano (che già si candidano ad essere i mediatori tra Nazioni d’Europa) esce con le ossa rotte dal voto contro la crisi. Crolla il progetto europeo diretto dalle banche e dalla finanza, dalla Bce e dalle sue troike. Tante e troppe incognite viaggiano nell’aria (già ieri, la Cancelliera a Hollande: ‘Lo accoglierò a braccia aperte, ma il fiscal compact rimane’). Meritano di essere ribaltate a partire da questo No silenzioso che sarà necessario non si arresti all’anonimato dell’urna ma vada piuttosto a riempire rumorosamente le piazze d’Europa. Se l’indiscrezione che riporta Le Monde si rivelerà vera (un Sarkozy pronto a fare le valigie non solamente dall’Eliseo ma dalla politica tout court) l’augurio è che questa sia solo la prima traduzione di quel ‘barra‘ che solo un anno fa risuonava nelle piazze tunisine contro Ben Alì – necessaria e giusta cacciata di una classe politica europea che sta rovinando le vite di tutti nel nome del sacrificio – stimolando l’attivazione di un altro laboratorio, per un’altra exit strategy,  quella dei movimenti e delle lotte.

 

redazione Infoaut

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