La situazione può diventare eccellente?
All’armi son fascisti! Ricordiamo bene cori e strilli frontisti di sinistri spaventati, esperti grillologi, scafati opportunisti, anime belle di un ideale movimento puro e incontaminato. Negli anni tante cose si possono dire del M5s, ma certamente nulla che abbia a che fare con il terrore per il cripto-fascismo. Anzi, adesso dovrebbe essere a tutti chiaro che quei grotteschi allarmi sono stati (oggettivamente e talora anche soggettivamente) al servizio del vero nemico, cioè il Partito Democratico, e del suo mostruoso gemello leghista, quello sì davvero espressione di una destra sociale.
Ora, invece, improvvisamente illuminati dai raggi delle amministrative, ecco che tanti degli ideologi anti-grillini, con la loro ontologica puzza sotto il naso per il cosiddetto populismo e soprattutto per il popolo in carne e ossa, compiono un’imbarazzata svolta. Con goffe contorsioni linguistiche e improbabili analisi di fase, tentano di salire sul carro dei possibili vincitori, dopo avere per l’ennesima volta fallito nel sostegno alle cadaveriche listarelle di sinistra. Ovviamente, non si sente nessuna autocritica per gli errori prospettici del recente passato, né per le continue scomuniche emanate nei confronti di chi ha provato a confrontarsi con le ambivalenze soggettive della composizione del M5s e del cosiddetto populismo. C’é solo, ancora una volta, lo sguardo rivolto alle dinamiche istituzionali, all’autonomia del politico, ai codici della rappresentanza. Ed è ancora una volta, manco a dirlo, lo sguardo sbagliato.
In questi anni, infatti, il M5Ss è mutato. Irrigidito nella sacralità costituzionale e dunque legalitaria, ha perso varie occasioni per spingere avanti quell’esigenza di movimento che in esso si riversa. Tuttavia, la caoticità che ha continuato a connotarlo non è stata del tutto intorpidita nel ruolo istituzionale: all’oggi il M5s resta, anche in modo indipendente dalla volontà della sua nuova dirigenza, uno spazio di espressione quantomeno elettorale del rifiuto del governo renziano della crisi e di contrapposizione al PD. Permane insomma un’anomalia, che impedisce la chiusura del cerchio del Partito della Nazione. Poco conta, su specifici livelli, che questa anomalia sia per noi condivisibile o meno, per certi aspetti confusa e per altri ambigua. Il problema che ci dobbiamo porre è quanto noi sappiamo agire e rovesciare quei cunei sociali per trafiggere il sistema di governo e di potere che il PD cerca di costruire.
Ci sono poi osservatori, fedeli all’area del Partito di Repubblica e ai suoi padroni, o semplicemente fautori di un precariato astratto e ostili a quello reale, che cercano di consolarsi mettendo in evidenza i luoghi in cui il M5s non ha sfondato, senza rendersi conto che non vi è nessuna lineare trasposizione tra elezioni amministrative ed elezioni politiche, o meglio: nel momento in cui il sistema della rappresentanza è esploso, chi va a votare (sempre di meno) lo fa in buona parte a partire dal nemico da contrastare, prima ancora che dell’amico da sostenere. Da questo punto di vista, nel suo essere caotico punto di raccolta di pulsioni e passioni diverse e comunque di malcontento, il M5s può essere tradito solo dalla fretta del governo, cioè dall’omologazione istituzionale che negli ultimi anni i suoi dirigenti hanno parzialmente determinato.
In questo scenario, che fare almeno sul breve periodo? Osiamo una risposta: scommettere in modo ragionato e organizzato sul caos. A partire da una certezza: la quiete a cui vorrebbe ricondurci il frontismo di sinistra è il principale nemico, perché opporsi alle ambiguità del sociale in fasi come queste significa chiudere lo spazio alle contraddizioni, senza cui il conflitto non c’è, oppure è regolato dai meccanismi della (sempre più inesistente) mediazione democratica. Facciamo un esempio concreto, di breve periodo: siamo capaci verso l’autunno di stare dentro, in modo ragionato e organizzato appunto, a quel no sociale che da tanti soggetti diversi si leva rispetto al referendum costituzionale? Sia chiaro: fin dal principio la costituzione è stata giocata contro le lotte, in quanto dispositivo di compromesso, pacificazione e neutralizzazione del conflitto di classe. Inoltre, appellarsi oggi a una difesa della costituzione formale quanto è da ormai molto tempo abrogata dalla costituzione materiale è debole e velleitario. Ma non è questa la posta in gioco. Per molti soggetti colpiti dalla crisi, soprattutto di un ceto medio che vive repentini processi di declassamento e impoverimento, la costituzione è una sorta di significante vuoto, riempito dalla propria voglia di riscatto e giustizia sociale. È un mito mobilitante, e come tutti i miti può essere usato indipendentemente dal suo significato reale. È quindi evidente che la posta in gioco è l’accettazione o la contrapposizione del governo Renzi, e in questa partita possiamo entrare in interlocuzione con tante delle figure che oggi hanno espresso non solo con l’astensione ma anche con il voto alle amministrative il rifiuto delle politiche del PD.
Ancora una volta, grande è il disordine sotto il cielo: siamo in grado di provare a trasformarlo in una situazione eccellente?
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