La via modesta
La via maestra, l’hanno chiamata. E qual é questa sedicente via maestra? La difesa della costituzione. Tra molte altre cose su cui si potrebbe ironizzare, viene facile partire dalla constatazione che la sinistra (o quel che ne resta) non brilla certo per fantasia. Probabilmente non meriterebbe nemmeno di parlarne, di operazioni così ne abbiamo viste e ne vedremo da perdere il conto. Anzi, come in uno specchio che si frantuma, più la sinistra istituzionale è giunta al suo capolinea, più si moltiplicano i tentativi di creare piccole accozzaglie ognuna delle quali presume di aver trovato il modo di resuscitare il cadavere. Possono però essere utili alcune brevi considerazioni per tre ragioni: per i tratti caratteristici di questa iniziativa (caratteristici del cadavere, si intende), per l’errore in cui si persevera, perché nel prossimo anno vari ceti politici, anche di movimento, probabilmente riverseranno in simili spazi le proprie mediocri ambizioni. Procediamo con ordine.
In primo luogo, ecco che in questa ennesima coalizione dal nome pomposo (dopo gli arcobaleni, i nuovi soggetti politici, le unità per l’alternativa, i cambiare si può e le rivoluzioni civili, non potevano mancare le vie maestre) si racchiude una fotografia fedele del cadavere. Volti vecchi, per quello che dicono prima ancora che per l’anagrafe. Una pesante aria di sconfitta, che queste figure si portano addosso come una seconda pelle. Un’ontologica mancanza di coraggio, perfino nel pensiero prima ancora che nell’azione. L’incapacità di immaginare ciò che non sia la difesa di qualcosa. Qualcosa che da tempo non c’è più, per giunta. La costituzione è, appunto, il must degli ultimi anni. Visto che la politica non è di casa da quelle parti, almeno potrebbero rivolgersi – come giustamente suggerisce Erri De Luca – a qualche storico che sa fare il suo mestiere. Costui potrebbe agevolmente spiegare al “popolo della sinistra” (altra altisonante definizione dietro cui si nascondono i suoi sedicenti e intristiti rappresentanti) come la costituzione del ’48 non è stata nient’altro che la risposta a una guerra civile, il compromesso che serviva a impedire che la lotta partigiana divenisse rottura rivoluzionaria. Piaccia o no, quella costituzione formale non c’è più. È stata la materialità delle lotte operaie e proletarie degli anni ’60 e ’70 a metterla in crisi. Berlusconi è arrivato molto dopo, e ha semplicemente cercato di trarne conseguenze e frutti per la sua parte. Anche qui si può vedere la distanza, incolmabile, tra la sinistra e le nuove soggettività. Cosa gliene può fregare dell’articolo 1 a un precario e a un disoccupato? Oppure dell’articolo 34 a uno studente privato del futuro? E quando mai l’articolo 11 è servito a evitare una guerra dichiarata dalle potenze imperiali? Insomma, a una maestra senza salario cosa può importare della via maestra?
L’errore in cui si persevera consiste in quell’abbaglio che ha preso il nome di “Syriza europea”. La summenzionata scarsa fantasia della sinistra ufficiale fa sì che appena qualcuno azzecca qualcosa, per anni tutti gli altri pensano di aver trovato la ricetta del riscatto. Ma l’import-export è fatto per il commercio capitalista, non per i modelli politici. A ciò si aggiunga che l’irripetibile risultato di Syriza è legato a una congiuntura molto particolare, quella che sull’altro lato dello schieramento istituzionale ha portato un oscuro partitino neonazista a sbancare elettoralmente. Fenomeni da non sottovalutare, ci mancherebbe (soprattutto nell’affrontare e risolvere l’infamia neonazista), così come non è poco politicamente trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Però, cosa rimane oggi a un anno dall’evento elettorale, dal punto di vista del radicamento sociale, della sedimentazione di processi di trasformazione, della presenza nelle lotte (se mai c’è effettivamente stata)? Questa è la domanda che dovrebbero porsi le coalizioni esportatrici del modello-Syriza. Tra questi vi è chi – in una variante della via maestra – propone di scriversi la propria costituzione, una bella carta dei sogni dell’Europa che vorremmo, perché l’idealismo del simbolico e l’astrazione indeterminata (ancorché venati da concreto opportunismo) ignorano per definizione e supponenza i rapporti di forza. Qui la tragedia cede il palcoscenico alla farsa. Entrambe figlie
della sconfitta e dell’impotenza, queste sì inesorabilmente coalizzate. Anche in questo caso il nostro diligente storico potrebbe agevolmente dimostrare che nel capitalismo l’unica carta che conti é “il potere sociale che ciascun individuo possiede nella sua tasca”, ovvero il denaro ammassato nella Bce o nelle saccocce dell’1%. É quella la carta di cui ci dobbiamo collettivamente riappropriare, la ricchezza da trasformare in reddito per i precari e per liberarci dallo sfruttamento.
Infine: questo è l’anno che – per alcuni – conduce alle elezioni europee. Ecco la vera “via maestra” che interessa davvero i sedicenti rappresentanti in cerca di rappresentati, soprattutto quelli che giurano di non voler fare un partito o di non essere interessati alla scadenza elettorale (come si dice, excusatio non petita….). Stiamo parlando di un miscuglio di bluff, di frattaglie, di ex, di passioni tristi che ciclicamente coinvolgono alcuni ceti politici di movimento, per dimostrarsi presto illusioni e aprire dopo la disastrosa scadenza elettorale un periodo di improvvisa riscoperta dell’irrappresentabilità. Su tutto questo, davvero, non vale la pena di spendere ulteriori parole. Più problematico quando a essere coinvolte sono esperienze sociali – per esempio alcune parti dei teatri occupati – che negli ultimi anni sono stati componenti significative dei movimenti. Non si tratta di lanciare anatemi, ma qui sì – al netto dei ceti politici – di aprire una vera discussione. Nessuno nega le difficoltà delle lotte, ed è proprio per questo che pensiamo che qualsiasi “scorciatoia maestra” non sia altro che un vicolo cieco. Dobbiamo scavare nei problemi e cercare di capire, immergerci e allo stesso tempo volare alto, fare inchiesta e scommesse radicalmente autonome. Questo è il punto da affrontare, inaggirabile.
Allora, il 12 ottobre sarà certo una data importante, perché lì si traccia un’altra via maestra, irriducibile alla rappresentanza e a un sistema al collasso: quella che porta verso l’assedio all’austerity del #19o. Altre vie portano diritti al 2 novembre, a commemorare i morti.
Panta rhei os potamòs
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