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La sinistra inesistente

“È l’ora in cui le cose perdono la consistenza d’ombra che le ha accompagnate nella notte e riacquistano poco a poco i colori, ma intanto attraversano come un limbo incerto, appena sfiorate e quasi alonate dalla luce: l’ora in cui meno si è sicuri dell’esistenza del mondo.”

Italo Calvino – Il cavaliere inesistente

La prendiamo alta. La crisi senza fine della sinistra ripete i suoi rituali, in Spagna come in Italia. Dopo l’ennesima sonora batosta si fa l’analisi della sconfitta, si dà la colpa al vento che spira forte e qualcuno viene preso dallo sconforto, qualcuno sorride amaramente.

Di questi rituali ce ne frega poco, così come ci interessa poco dei destini della sinistra istituzionale per quello che è. Addirittura ci pare superfluo spenderci in un’analisi dei dati elettorali, la tendenza pare sempre la stessa analizzata in altre tornate recenti: sempre meno votanti e un blocco elettorale di destra piuttosto solido ed in parte trasversale, che è una minoranza assoluta, ma di fronte alla disaffezione per la politica sempre più generalizzata è l’unico a non soffrire una certa crisi della rappresentanza.

Dunque non varrebbe neanche la pena di parlare di queste elezioni, se non fosse che fuori dalla sinistra istituzionale le cose non vanno molto meglio e le conseguenze complessive dello spostamento a destra delle istituzioni si misurano sul campo (ben prima che questa “salisse al potere”). La questione di fondo è che in parte i problemi sono gli stessi, in una difficoltà oggettiva di chi si pone fuori dal quadro istituzionale a tagliare un cordone ombellicare tanto odiato quanto perdurante.

Nessun effetto Schlein dicono i giornali: fosse quello il problema! Il fatto è che la cosidetta sinistra, nelle sue diverse declinazioni, continua a voler rappresentare quei ceti urbani generati dalla fase ascendente della globalizzazione che si stanno restringendo sempre di più di fronte alle ripetute crisi. Non si tratta di una falsa contrapposizione tra diritti civili e sociali, ma proprio di un discorso di collocazione identitaria, di radicamento e proposta.

Se per la sinistra liberal questo discorso è naturalmente inaccettabile, perché questa collocazione è strutturante rispetto alla sua esistenza, per ciò che variamente si colloca fuori da essa sembra prevalere uno spiazzamento generale, tra automatismi e ricerche di nuove e rassicuranti scorciatoie teoriche e pratiche.

Prendiamo ad esempio la questione che ci pare più strutturante del presente oggi: quella della guerra in Ucraina. Al netto di chi ormai ha assunto le stesse posizioni del PD in materia, una grossa parte di chi si colloca a sinistra è inibito nel prendere parola, offrire un punto di vista, aprire dei (complessi senza dubbio) percorsi di mobilitazione. Eppure questo evento è destinato ad essere un punto di svolta della storia contemporanea e cambierà tutto, ma la tendenza è quella ad una rimozione complessiva della questione, per le difficoltà che pone, nella speranza che passi la tempesta senza che vengano intaccate le nostre comfort zone. Eppure la costruzione di una posizione credibile di opposizione alla guerra non solo è necessaria, ma rappresenta anche un’opportunità per provare a ricostruire quella connessione con una parte, magari anche minoritaria, ma estremamente significativa, del paese reale che con tutte le sue contraddizioni non vuole continuare a pagare i costi della crisi della globalizzazione che vanno trasformandosi in tragedia globale. Un’occasione per ricollocarsi, inchiestare, provare a comprendere.

La stessa critica in parte si può muovere sulla crisi climatica, dove ancora una volta, nonostante significative eccezioni, manca la capacità di costruire un ecologismo materialista, situato nei territori, che si misuri con gli effetti della crisi climatica su di essi e con le pulsioni, pure contraddittorie, che emergono dai tessuti sociali.

L’impressione è che la sinistra, complessivamente, molto spesso non sia altro che una retroguardia, che insegue la conservazione di rapporti sociali che non esistono più, quelli della globalizzazione ascendente, esattamente come fa la destra dal suo canto rispetto ad altre composizioni sociali, ma per ovvie ragioni con molta meno efficacia di quest’ultima. E quando la sinistra è una retroguardia, è semplicemente inesistente.

Ma  “l’ora in cui meno si è sicuri dell’esistenza del mondo” è l’alba, dove si possono iniziare a rintracciare nuove possibilità.

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