Lampedusa lo sa, e noi pure!
Gli ultimi giorni sono stati densi di sgomento verso quanto accade all’interno dei CIE e dei CARA del nostro paese. Un impiccato e, soprattutto (per l’impatto mediatico che ha avuto), una scena di disinfestazione che sembra venire dai peggiori racconti sulle carceri di ogni tempo e luogo, accompagnati dalla notizia dell’ennesima morte in mare di stamattina: questo il freddo resoconto di tre avvenimenti registrati in Sicilia. Il primo al CARA di Mineo, il secondo al CIE di Lampedusa e il terzo a largo della stessa isola.
Lo scandalo urlato al Tg2 piuttosto che dai politicanti intervistati, da Alfano alla Boldrini, assume tutte le fattezze della sorpresa, dello sgomento: del punto di vista di chi evidentemente finge di non sapere. Sentire tutte le voci che reggono in piedi il sistema di carcerazione dei migranti indignarsi per quanto accaduto è quanto di più orrido possa esistere di fronte a sofferenze umane così grandi e a pratiche carcerarie che evidentemente sono la prassi e non l’eccezione all’interno di posti come il CIE di Lampedusa. Sentire Alfano assicurare che i responsabili pagheranno le conseguenze rende ben chiaro quale sia il risultato a cui tendono queste dimostrazioni di stupore, cioè, legittimare ancora una volta le politiche di chiusura delle frontiere allo spostamento delle persone.
Ecco, se questo è il prodotto dello stupore e dello sgomento verso le immagini passate in televisione, bisogna riuscire a non stupirsi e a metabolizzare quelle immagini per sintetizzare una rabbia che sia diretta verso chi progetta e permette che realtà come queste esistano quotidianamente. Noi non possiamo fingere di non sapere: sappiamo benissimo quello che accade ogni giorno nel Mediterraneo e dentro CIE e CARA, e sappiamo pure che le brutalità che si registrano al loro interno sono tanto sistemiche quanto l’esistenza stessa di questi centri. Sono luoghi tenuti appositamente ai margini dei nostri territori, posti al riparo da sguardi indiscreti e telecamere (evidentemente non del tutto al riparo), utilizzati per controllare gli spostamenti dei migranti e disciplinare i loro comportamenti.
Il problema del CIE di Lampedusa, infatti, non è l’uomo con la pompa che irriga il negretto come si faceva col DDT ad inizio del ‘900 negli USA, come il problema dei morti in mare non è lo scafista che lucra qualche migliaio di euro sulla vita dei migranti. O meglio questi sono corollari rispetto al centro del problema.
Sembra di poter riproporre la domanda retorica, fatta all’indomani del naufragio a largo di Lampedusa solo pochi mesi fa, circa la responsabilità ultima delle centinaia di migliaia di morti nel Mediterraneo. Bene, allora come oggi, la responsabilità va cercata nelle stesse sedi: tra le fila dei fautori di politiche anti-immigrazione che impongono le traversate su barconi di fortuna e prevedono la presenza di veri e propri lager sul territorio di questo paese e della fortezza Europa.
Sia ben chiaro che le responsabilità politiche ricadono a valanga su tutti i coinvolti. La disinvoltura con cui si lanciano i vestiti dei detenuti nel video in questione rende particolarmente odioso il secondino malcelato dietro l’etichetta di operatore. Ma la responsabilità in capo a lui, quanto a tutte le associazioni coinvolte in questo tipo di lavoro a sostegno dei centri, sarebbe stata la stessa se avesse svolto il suo compito con attenzione e gentilezza. E questo perché il suo compito, il suo infame lavoro, come quello di tutti coloro che stanno nella filiera di questi posti, permette l’esistenza stessa di queste pratiche e delle politiche che vi stanno dietro.
Il problema dei CIE, dei CARA e di tutte queste carceri speciali per immigrati non sta nelle situazioni di degrado o nella brutalità degli atteggiamenti al loro interno. Sta nella loro stessa esistenza, nel disegno criminale che ci sta dietro, e che implica di per sé degrado e brutalità. Sta nella scelta politica di criminalizzare i migranti proprio in quanto migranti, in tutte quelle pratiche tese a rendere lo straniero inferiore sia per status giuridico che per soggettività, subalterno alle dinamiche del mercato del lavoro e alle relazioni umane in genere in quanto costantemente ricattabile. E tutto inizia proprio da questi lager, posti in cui trascorrere fino ad un anno e mezzo per il solo fatto di non essere nato italiano, cioè con sangue italiano, figlio di italiani certificati da un atto di nascita o da una carta d’identità.
Se proprio dobbiamo stupirci, quindi, ci stupiamo per la sfacciataggine dimostrata da Alfano e Boldrini, non che neanche quelle fossero inaspettate per chi ha imparato a conoscere i comportamenti di governanti tanto colpevoli quanto ipocriti, ma perché è uno stupore che porta a una rabbia sicuramente meglio indirizzata e più proficua.
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