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Lo straperdente al contrattacco

Si è svolta ieri l’assemblea PD in cui Matteo Renzi ha tirato un bilancio del voto sul referendum costituzionale e iniziato a parlare di come ritornare in sella. La supposta “auto-critica” di Renzi di cui parla, ad esempio, il quotidiano La Repubblica, descrivendolo come un leader maturo che da rottamatore diventa pacificatore, è tutta nella testa dei redattori del giornale di Eugenio Scalfari. La relazione del “segretario” si può invece riassumere con due semplici parole: avanti tutta.

Vi si fa già allusione con la colonna sonora che apre la sua relazione. Le note di Prima repubblica di Checco Zelone evocano al ritorno l’immobilismo in cui ci troveremmo dopo la vittoria del NO. Tutta la relazione di Renzi non è altro che una ripresa e un approfondimento delle coordinate retoriche che hanno caratterizzato la campagna referendaria: conservazione contro innovazione. Il SI avrebbe aperto la strada alla Terza repubblica mentre il NO ci fa ricascare nella Prima, dice  il segretario. È il feticcio rassicurante dell’accozzaglia, un espediente che prova a perimetrare un NO sconosciuto e che fa paura nella casellina della conservazione nostalgica. Renzi ammette di aver “straperso” al Sud e tra i giovani ma queste categorie sono mere variabili statistiche a cui si nega non solo ogni dimensione sociale ma anche semplicemente il fatto di aver espresso un rifiuto delle sue politiche. Perché a ben vedere, per Renzi, eccezion fatta per la “casta” (sic!) contro cui ha costruito la sua campagna referendaria continua a non esserci nessuno che ha votato NO. C’è solo chi non ha votato SI. La logica conseguenza è che non ci sono risposte da dare, ma soltanto persone da convincere. È il vecchio adagio renziano dello storytelling su cui ieri si è innestato il discorso “bufale”, un dispositivo chiave su cui stanno investendo molto le élite neo-liberiste a partire dall’elezione di Trump e che apre sulla questione più ampia di come delegittimare il voto quando esso prende forme non desiderabili per le classi dirigenti.

La crisi del governo attraverso la democrazia pretende infatti un ritorno alla non-partecipazione. “Sognavo 13 milioni di SI, ne abbiamo presi 13 e mezzo, non è bastato” dice Renzi con amarezza. È stata la partecipazione oltre le aspettative al voto che ha messo i bastoni tra le ruote del carro delle riforme. Renzi sa che ogni tipo di attivazione, anche blanda come quella che si è concretizzata sul referendum costituzionale, è ormai nemica del progetto neo-liberale di cui si fa portatore perché è attivazione-contro. L’unica partecipazione concepibile è quindi quella di tipo clientelare. Proprio a questo si riferisce quando dice che mettere risorse al Sud “senza coinvolgere le persone” è stato un errore. Siamo a un tornante, al definitivo tramonto non certo del renzismo ma di ogni sua opzione plebiscitaria (“è finito il tempo in cui riempivamo i teatri di folle e le animavamo”), corollario alla dolorosa presa di coscienza dell’odio che la propria figura suscita nel paese. A questo rapporto diretto col capo si sostituisce quindi un rapporto mediato a cui il sindacato potrebbe fornire un’importante sponda neo-corporativa (il referendum sul jobs act sarà, in questo senso un banco di prova importante per verificare le intenzioni della CGIL).

Perché scopriamo che il NO, alla fine, non bloccherà le riforme. Renzi, durante la sua relazione, si rimangia infatti la sua minaccia più importante, quella che aveva agitato come spauracchio e che ha invece fatto sognare milioni di persone: senza il SI si sarebbe fermata la scellerata serie di riforme propinate prima da Monti, poi da Letta ed infine da Renzi stesso. Apprendiamo innanzitutto che lo (sporco) lavoro fatto non si tocca, che le riforme “non puzzano” e che resteranno quindi dove sono, verranno semplicemente piazzate in una “cornice ideologica e ideale” adeguata nella fattispecie un libro che racconterà i primi mille giorni del governo Renzi. Ma soprattutto che il NO anche se “molto forte” in realtà, ahinoi, “non blocca per i prossimi anni ogni possibilità di cambiare”. Il SI sta già cercando altre strade. Noi sapremo esplorare fino in fondo quella aperta dal NO?

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