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L’università al contrattacco di oggi e di domani

In questi giorni sembrano essersi accesi di nuovo i riflettori sull’università. Le statistiche diffuse dal CUN lasciano poco spazio alle interpretazioni e ci parlano di un calo drastico degli iscritti negli ultimi dieci anni, mentre il colpo di coda della riforma Gelmini è un ulteriore taglio alle borse di studio agito abbassando le fasce ISEE e diminuendo così gli aventi diritto.

 

Partendo dall’osservazione di Dal Lago sul Manifesto, negli ultimi anni sono stati proprio i professori d’accademia, onnipresenti nei partiti, ad attaccare a colpi di riforme l’università mettendo in campo convergenze bipartisan intorno ai dettami del Bologna Process che ricordano molto da vicino il collaborazionismo sull’austerità di Monti.

 

La formazione universitaria è stata dequalificata in un disegno strategico che mira ad inserire precari a basso costo nel mercato del lavoro e seguendo la retorica dei fannulloni di brunettiana memoria si è introdotto il dispositivo della meritocrazia, del “vinca il migliore”, mentre dall’altra parte una serie infinita di tagli e di attacchi al diritto allo studio rimuovevano le possibilità materiali di accesso agli studi universitari.

 

E’ sempre più evidente, d’altronde, che l’università non è più garanzia della mobilità sociale né di inserimento nei livelli superiori del mondo del lavoro. La meritocrazia assume proprio quel valore ideologico di copertura dei meccanismi reali che agitano l’accademia proponendo il miraggio della mobilità in un sistema che invece è bloccato e in via di forte segmentazione. Dove l’accesso agli studi universitari per molti giovani è negato e gli atenei tornano ad essere funzionali alle élites ponendo fine al ruolo sociale, sul piano della riproduzione di ceto medio, dell’università di massa (Formenti).

 

Una trasformazione che, al di là degli allarmismi dell’ultima ora provenienti dagli ambienti del sindacalismo studentista che per anni hanno legittimato quegli stessi ambiti in cui venivano prese queste decisioni, è stata prontamente resa terreno di conflitto da parte dei movimenti della formazione che hanno sviluppato forme di lotta tendenti ad individuare il piano della governance universitaria come immediatamente partecipe dei dispositivi del Bologna Process e il terreno dei tagli e della dequalificazione dei saperi come campo di possibilità di riappropriazione e di battaglia sul reddito.

 

Dentro il quadro della crisi globale, delle misure di austerità imposte dalla troika, della crisi della rappresentanza, del progressivo impoverimento della società italiana, della fine degli ascensori e della riduzione degli ammortizzatori sociali le lotte dentro e contro l’università assumono un ruolo non secondario. Sperimentare e sviluppare su questo terreno la possibilità di attaccare a fondo, dal basso, i dispositivi di comando e riproduzione sociale deve accompagnarsi alla costruzione di soggettività irriducibilmente antagonista.

 

Le grandi giornate di conflitto cui abbiamo assistito negli ultimi due anni (14 dicembre, 15 ottobre) unite alla rabbia che sempre di più attraversa i singoli territori nei momenti di piazza ci consegnano un tessuto sociale in tensione disposto ad opporre alle politiche di impoverimento percorsi di lotta estesi e che, a partire dal mondo della formazione, possano parlare un linguaggio complessivo e incendiare la prateria sociale che comincia a vedere sempre di più organizzarsi il dissenso.

 

In questo senso l’attacco della controparte parte proprio dalla criminalizzazione di quelle soggettività che negli ultimi anni hanno giocato un ruolo destabilizzante delle possibilità di governare la transizione all’austerità nel panorama nazionale. Come non leggere in questa chiave le denunce di devastazione e saccheggio per il 15 ottobre o la condanna contro un compagno per la rivolta del 14 dicembre? Come non scorgere dietro alla ridicola scorta che protegge gli spostamenti del rettore di Bologna Dionigi un tentativo di alimentare una nuova strategia della tensione per isolare tramite un discorso di criminalizzazione i movimenti e le soggettività antagoniste da una composizione sociale che sempre di più cerca un’alternativa concreta alla mannaia dell’austerità?

 

Meccanismi che, tornando indietro di due anni, abbiamo cominciato a vedere in campo quando sedicenti rappresentanti del movimento, con la straordinaria giornata del 14 dicembre romano alle spalle, andarono a stringere la mano al presidente-monarca Napolitano il quale – incassata anche da questo fronte la legittimità della sua figura di “padre della patria” – prese la monocratica decisione di firmare la legge Gelmini (e salvare il governo Berlusconi) con supremo senso di responsabilità verso il paese, meccanismo che abbiamo visto ripetersi con la manovra che ha portato al governo tecnico lacrime e sangue dopo il 15 ottobre…

 

Dal canto nostro ribadiamo la necessità di costruire dal basso percorsi di lotta e mobilitazione che contro una governance ostile ai nostri interessi di precari e disoccupati si pongano il problema dell’efficacia e della difesa del conflitto che viene messo in campo. Aggiungiamo, visto che siamo in periodo elettorale, che in questo senso la sfida dei movimenti ci sembra l’unica alternativa che vada la pena di praticare e di pensare al di fuori del #votoinutile che è tale – è bene ribadirlo – sia nelle urne in Italia che nelle urne della UE a Bruxelles.

 

Infoaut – Bologna

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