Nobili, saltimbanchi e cicisbei: alla corte del G7 il re è nudo
Era il 6 ottobre 2016 quando Matteo Renzi, davanti alla platea dell’Unione industriale, annunciava baldanzoso la tenuta del G7 del lavoro a Torino, città “solidale, innovativa e di qualità”, a immagine del paese dei balocchi tratteggiato dal premier. Fa quasi impressione leggere le dichiarazioni che accompagnarono quell’annuncio. Erano gli ultimi scampoli della belle époque renziana, tra volontarismo spensierato (“la nostra visione economica è banalmente: l’Italia deve togliersi di dosso la rassegnazione”), invettive contro Pantalone (“bisogna farla finita di andare in Europa a parlare male dell’Italia”) e pseudonuovismo liberal (“Se non ci fossero gli imprenditori non ci sarebbero le imprese”). Altri tempi.
La vetrina e la città
L’evidente affanno, per usare un eufemismo, della macchina del G7 a cui assistiamo in questi giorni è in fondo sintomo di questo: del rovinoso infrangersi di uno storytelling che, già al momento del lancio del vertice, era agli ultimi sgoccioli. Un evento che è partito subito in retromarcia, pensato come passerella in pompa magna nello scenario di un’immaginaria città post-industriale “che ce l’ha fatta”, ha dovuto da subito fare i conti con una vetrina tutta incriminata, in cui il rimosso delle periferie è ancora dolorosamente intatto, che vive di conflitti duri e spesso silenti tra lavoratori e cooperative (Dussmann, regione Piemonte, musei civici, hotel concorde, la stessa reggia di Venaria…), in cui le delocalizzazioni continuano imperterrite (Savio, Armani, Comital…). E in cui c’è chi ha capito il loro gioco e si organizza per non fargliela passare liscia.
Tra il momento del suo lancio e l’inizio del vertice, dicevamo, tante cose sono cambiate, soprattutto per chi comanda. Ai piani alti hanno capito che in tempi in cui le istituzioni sono circondate da cotanta inimicizia meglio farsi discreti. Si passa allora dalle spacconate renziane al soft power di Gentiloni. In fondo l’economia post jobs act è ripartita, mini-contratti precari per tutti sanciscono l’irreversibilità del connubio tra sviluppo e povertà. Non è più tempo di cercare l’adesione soggettiva a un modello ma di far accettare l’oggettiva realtà dei fatti. Per chi non ce la fa elemosina d’inclusione e, in ultimo ricorso, i manganelli di Minniti.
Meglio rinchiudersi alla reggia allora, rintanarsi del fortino in compagnia della propria cattiva coscienza, consapevoli del ribrezzo popolare che suscitano i propri brutti musi. Quando qualche giorno fa, davanti alla Reggia, le teste dei loro fantocci sono cadute, non c’è visitatore che non si è concesso un sorriso nel godersi lo spettacolo.
Cortigiani a Venaria
E allora s’indietreggia, si trema e si traballa. Ci si giustifica, si cerca di evitare la parata. Soprattutto, il potere cerca goffamente di coprire le sue vergogne: bisogna evitare che qualche bambino gridi ciò che tutti sanno, foss’anche a rischio di passare dalla tragedia alla farsa.
Il Ministro Calenda parla ormai disinvoltamente di un G7 dallo “spirito umanistico” mentre la ministra Fedeli assicura che con Poletti stanno “costruendo il futuro dei giovani” (lo sappiamo fin troppo bene, ci viene da dire). Nel frattempo i giornali rassicurano: tutte le proposte che usciranno dal vertice saranno “concordate col sindacato” (ma allora c’è da esser preoccupati per davvero!). Impagabile Chiamparino che prova a salvare il salvabile dopo il clamoroso dietrofront sugli eventi torinesi e, piemontesissimo, mette sul piatto un capitalismo senza bagordi né paillettes implorando la questura di preservare almeno qualche gitarella in città (e sicuramente qualche contentino lo porterà a casa. Per il day after meglio per tutti poter dire a favor di telecamere che si è salvata la democrazia dai quei cattivoni degli antagonisti). Ma poi, che il Chiampa rappresenti il volto accettabile di questo G7 non lo certifica forse la kermesse “del 99%” (quella che, of course, non esita a sedersi al tavolo con restante 1%)? Il presidente della regione ospite d’onore ai Murazzi dalla “sinistra alternativa” martedì prossimo. D’altronde non è che manchino gli inviti a gente che ha votato tutto, dal pacchetto Treu in giù.
Un capitolo a parte per il movimento 5 stelle, il partito bifronte coi consiglieri in piazza contro il G7 e i big impegnati a facilitare il vertice (addirittura Appendino torna da Madrid per fare da predellino all’arrivo dei ministri). A Venaria come a Torino, di fatto, cavalier servente del vertice della vergogna in nome della “responsabilità istituzionale”. Non sia mai che la responsabilità la si sentisse verso le milioni di disoccupati e giovani precari affamati dalle politiche dei nuovi nobili (o la chiamavano casta?).
Il re è nudo
C’è la possibilità di far irrompere un po’ di reale in questa penosa messinscena? Noi crediamo di sì. C’è una parte di questo paese che ha fame, ha voglia di contare, non trova spazio e non trova voce. Ci sono i facchini della logistica, spesso immigrati, che stanno lottando proprio in queste ore mettendo in ginocchio niente di meno che un colosso come Amazon. Ci sono liceali che lavorano gratis a causa della Buona scuola, per assuefarli fin da giovani alla vita che li attende. I fattorini di una gig economy che è solo sfruttamento. Chi subisce il ricatto del non-lavoro, chi è costretto a stare senza casa. Chi non se ne vuole andare a lavare piatti a Londra. Chi non vuole più andare a implorare all’INPS. C’è chi è esodato, cornuto e mazziato. Chi lavora in nero e chi un lavoro non lo cerca più.
Saranno tutti lì? Sicuramente no. Ma tutti hanno voglia di riconoscere la propria parte. E in quella giornata il gioco sarà abbastanza chiaro. Dentro la reggia, i nuovi nobili protetti dalle truppe reali. Fuori i sanculotti, i sancontratti, i sudditi che non ci stanno a subire l’ennesimo sopruso. Saremo noi il bambino che entrerà in quel salotto per gridargli in faccia quello che il popolo sa già: il re è nudo!
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