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Per Emmanuel

Emmanuel è morto ammazzato ieri per mano di un razzista, per mano di un fascista. E’ morto dopo un giorno di coma, dopo essersi difeso con Chimiary, la sua compagna, dagli insulti che venivano rivolti a lei, perché donna, perché nera. Hanno reagito e sono stati colpiti. Gli hanno sfondato il cranio con un cartello stradale. Non può restarci solo la smorfia della rabbia stampata in faccia. Non può bastare.

Amedeo Mancini. E’ questa l’identità del soggetto che ha ucciso Emmanuel. La stampa ne ricostruisce l’identità e taglia corto: è un ultras. L’associazione è comoda e utile ad astrarre il gesto e rassicurare: una violenza immonda, sregolata, inumana. Amedeo Mancini non ci appartiene, non appartiene alla nostra società. Stronzate. Amedeo Mancini è un fascista. Lo è anche come prodotto di una serie di condizioni di legittimità offerte dall’alto alla possibilità di offendere, denigrare, colpire i migranti.

L’assassino di Emmanuel ha usato le parole di Calderoli (che ragazzata dare della scimmia a una donna nera, eh) e ha tradotto in gesto le invettive di Salvini: stop invasione, per davvero, si sarà detto questa feccia, sicuro di un’agibilità quando non di un’impunità. Ha agito aspettando seduto su una panchina che Emmanuel e Chimiary passassero per la via. Da dove questa sicurezza? Mancini è noto per essere un esponente locale della destra xenofoba. Uno pronto a lanciarsi nel servizio d’ordine dei comizietti leghisti di zona, uno vicino agli stessi che, come Casa Pound, sono impegnati da mesi e mesi una serrata campagna per “sospendere l’arrivo di ulteriori sedicenti rifigiati politici nel fermano”o in agguati ai migranti sulla costa adriatica.

Se guardiamo alle dimensioni organizzate di questi discorsi possiamo prendere meglio la mira. C’è una stratificazione di linguaggi e comportamenti che in altezza ha consegnato l’idea di impunità all’assassino di Emmanuel. Lo ha convinto di un gesto organico ad alcune gerarchie di potere riflesse nell’uso istituzionale del razzismo per la segmentazione delle tensioni interne agli strati bassi della società. Un uso strutturale, per il dominio dell’esistente, capace di costruire la fortuna di Salvini, ma anche in grado di mimetizzarsi in incolore tecnica governo: sì, le famose regole uguali per tutti che poi ammazzano solo i migranti, a largo del Mediterraneo e… a Fermo, Marche, Italia. Così, infine, scavalcando le stesse pagliacciate leghiste, ma in fondo sulla stessa linea d’onda, viene riabilitato anche un impresentabile Alfano, terremotato dagli scandali, eppure capace di presentarsi sulla scena del crimine per tornare a parlare di certezza della pena e legalità (!).

Alla nostra altezza, nel basso degli umori e dei rapporti imposti, questi discorsi attecchiscono in più forme e gradazioni. Quella stessa sinistra abituata a dare del fascista a chi contro i fascisti si batte per metterli a tacere, si sbraccia addebitando all’ignoranza ogni razzismo. Un magnifico trucco per colpevolizzare un’intera dimensione di classe; quella schiacciata oggi da risentimento e impotenza, specie laddove più manca l’organizzazione dello scontro sociale e dell’attacco verso le forme alte dell’istituzionalità che delle tecniche di governo costruite sul razzismo fanno la propria forza. Anche qui, alla nostra altezza, nei quartieri dove viviamo, in città o in provincia, dobbiamo sapere dove colpire. No, il razzismo non è – solo – un velo di ignoranza che basta strappare; è uno strumento dello scontro in atto, quello che ci mette dalla stessa parte di Emmanuel. C’è chi lo imbraccia e chi lo subisce. Alla feccia fascista che si organizza nei nostri territori imbracciando questo strumento per orientare rabbia e lamento non daremo mai tregua.

Chi si è preso la vita di Emmanuel si trova e si organizza su queste due dimensioni: in alto e in basso a destra. Anche per Emmanuel, non vi daremo pace.

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