InfoAut

Perché il mondo sapesse che la polizia non è qui per proteggerci…

I’m a cop killer, better you than me
Cop killer, fuck police brutality!
Cop killer, I know your family’s grieving
(Fuck ‘em!)
Cop killer, but tonight we get even, ha ha”

(Cop Killer, Ice-T)

L’odio di generazioni di neri cresciuti nei ghetti, tra disoccupazione, marginalità e la brutalità della polizia, si è incarnato, questa volta, nei proiettili di Micah Johnson, che a Dallas ha sparato con un fucile uccidendo cinque poliziotti e ferendone sette. Può piacere o no, ma questa è la realtà. È accaduto durante la manifestazione di Black Lives Matter, in risposta agli omicidi per mano della polizia di Philando Castile in Minnesota e Alton Sterling in Louisiana. Oggi a Houston è stato ucciso da due poliziotti Alva Braziel, un altro afroamericano. Anche oggi Black Lives Matter ha organizzato manifestazioni in molte città.

Negli Stati Uniti, in quella che è di fatto una guerra a bassa intensità, la polizia uccide tutti i giorni, al momento si contano 729 morti nel solo 2016. L’obiettivo di Micah Johnson non erano i bianchi perché bianchi, in una reazione speculare alla guerra razziale di una polizia che uccide i neri perché neri, non ha individuato le sue le vittime secondo il colore della pelle (avrebbe potuto sparare a qualunque bianco nei paraggi) ma perché erano poliziotti nella loro funzione di repressione e controllo sociale – che spesso si concretizza nell’omicidio di giovani neri e poveri.

Sono proprio i quartieri poveri e a maggioranza nera quelli in cui la brutalità polizia è maggiore. Stiamo parlando di quartieri con livelli di disoccupazione di massa, dove la crisi e la deindustrializzazione hanno colpito duramente e dove l’economia informale rappresenta spesso l’unica possibilità di accedere a delle forme di salario. Da decenni la risposta delle istituzioni alla disoccupazione e alla mancanza di possibilità sono state la polizia e la carcerazione di massa. In particolare, con la politica “delle finestre rotte”, che prevede di perseguire soprattutto i piccoli reati e le condotte che possano creare “degrado”, e la tendenza dei dipartimenti di polizia a valutare gli agenti in base alla quantità di arresti, vengono colpiti particolarmente i ceti popolari, soprattutto neri. La polizia negli USA è sistematicamente razzista, a prescindere dal colore della pelle degli agenti – vale la pena ricordare che tre dei sei poliziotti coinvolti nell’omicidio di Freddie Gray erano neri e che lo stesso capo della polizia di Dallas sia un afroamericano. La caratteristica di un problema sistemico è, d’altronde, proprio che la sua struttura di oppressione opera a prescindere dall’identità dei singoli e un elemento centrale del sistema di oppressione razzista americano, dalle piantagioni in poi, è sempre stato rappresentato dal fatto che alcuni neri assumessero funzioni di repressione delle proprie comunità.

L’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti d’America aveva aperto delle speranze che ora risultano sostanzialmente tradite (anche per questioni che vanno al di là delle possibilità di Obama): in uno stato ancora profondamente classista e razzista la spesa per prigioni e polizia è cresciuta tre volte più di quella per istruzione e sanità. È chiaro a tutti gli attori in gioco che il livello a cui si pone il conflitto è quello della struttura profonda della società statunitense, dove i privilegi della classe dominante sono garantiti anche tramite il controllo e mantenimento in stato di oppressione e povertà dei neri.

Nella concretezza quotidiana della lotta tra classi, marcato fortemente dal colore della pelle, per milioni di afroamericani lo scontro è inevitabilmente contro una polizia – multirazziale – che difende un potere molto “bianco”. Una guerra quotidiana in cui la vita è appesa all’umore del poliziotto di turno.

Diamond Reynolds, la compagna di Philando Castile, che ne ha filmato l’omicidio ha dichiarato:

«Non l’ho fatto per pietà. Non l’ho fatto per la fama. L’ho fatto perché il mondo sapesse che questa polizia non è qui per proteggerci. Sono qui per assassinarci, sono qui per ucciderci perché siamo neri».

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Editorialidi redazioneTag correlati:

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Il lavoratore inesistente

La retorica della destra sul movimento “Blocchiamo tutto” ci racconta meglio di ogni saggio la visione dominante sul ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici nella società: farsi sfruttare, consumare e stare muti.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Alcune riflessioni a caldo su “Blocchiamo tutto”

E’ quasi impossibile fare un bilancio organico di queste giornate incredibili. Il movimento “Blocchiamo tutto” ha rappresentato una vera discontinuità politica e sociale nella storia italiana.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

La guerra è pace

Uno dei famosi slogan incisi sul Ministero della Verità del romanzo di George Orwell “1984” recita così.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

Meloni difende a spada tratta l’agito del governo su Gaza e attiva la macchina del fango nei confronti della Global Sumud Flotilla e del movimento Blocchiamo tutto.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Sullo sciopero generale del 22 settembre una giornata di resistenza e lotta – Milano

Il 22 settembre, in occasione dello sciopero generale nazionale, le piazze di diverse città italiane sono state attraversate da movimenti di massa che hanno dato vita a cortei, scioperi, blocchi e boicottaggi contro la macchina bellica, in solidarietà con il popolo palestinese e contro il genocidio. È stata una giornata fondamentale nella ricomposizione di un […]

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Blocchiamo tutto! Insieme, per Gaza

E’ difficile prendere parola sulla giornata di ieri. Sono mille gli stimoli, i punti di vista da cui guardare quanto è successo. 

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Lo stadio finale di Israele: tra autarchia e capitalismo di rapina

L’immagine di invincibilità che lo stato sionista sta cercando di ristabilire sul piano militare non può nascondere i segni della sua corsa, irreversibile, verso un capitalismo di rapina.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Milano: urbanistica, speculazione e stratificazione di classe

Mettiamo per un attimo da parte gli aspetti corruttivi dell’intricata vicenda che vede coinvolti imprenditori, architetti, assessori e dipendenti comunali.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Sono dazi nostri

Non c’è altro modo per definire l’incontro tra Ursula von der Leyen e Trump se non patetico.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Ma quale “imperialismo iraniano”?

Per un attimo ci siamo illusi/e che di fronte a fatti di questa portata la priorità fosse quella di capire come opporsi, dal nostro lato di mondo, al caos sistemico che Israele, con l’appoggio degli Stati Uniti, sta portando sulla regione.

Immagine di copertina per il post
Intersezionalità

Giornata contro la violenza sulle donne: “boicottiamo guerra e patriarcato”. La diretta dalle manifestazioni

Oggi è la Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. Una giornata che non ha visto grandi miglioramenti, a 26 anni dalla sua proclamazione, nel 1999, da parte dell’Onu. 

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Free Shahin! Appello alla mobilitazione

Apprendiamo con grande preoccupazione del mandato di rimpatrio emanato dal ministro Piantedosi su richiesta della deputata Montaruli nei confronti di Mohamed Shahin, compagno, amico e fratello.

Immagine di copertina per il post
Bisogni

Quando il popolo si organizza, il sistema vacilla

L’ultimo periodo di lotte ha mostrato che il potere trema solo quando il popolo smette di obbedire.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Ramy: a un anno dall’inseguimento mortale dei carabinieri Milano non dimentica

A Milano lunedì 24 novembre, si ricorda Ramy Elgaml, giovane ucciso al termine di un inseguimento di ben 8 km da parte dei carabinieri tra viale Ripamonti e via Quaranta, un anno fa; schianto che portò anche al ferimento, grave, di un altro giovane, Fares Bouzidi.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Torino: Mohamed Shahin libero subito!

Ripubblichiamo e diffondiamo il comunicato uscito dal coordinamento cittadino Torino per Gaza a seguito della notizia dell’arresto di Mohamed Shahin, imam di una delle moschee di Torino che ha partecipato alle mobilitazioni per la Palestina.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Bombardamenti israeliani contro il Libano: 5 morti, tra cui l’Alto comandante di Hezbollah, Haytham Ali Tabatabaei

Beirut-InfoPal. Il ministero della Salute Pubblica libanese ha diffuso il bilancio ufficiale dell’attacco israeliano senza precedenti contro un’area residenziale alla periferia sud di Beirut, domenica 23 novembre: cinque morti e 28 feriti.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Verso il 28 novembre: i comitati sardi chiamano alla mobilitazione

Diffondiamo l’appello uscito dalla rete Pratobello24 che invita tutti i comitati che lottano contro la speculazione energetica a unirsi allo sciopero e alla mobilitazione del 28 novembre.

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Il caso di Ahmad Salem, in carcere da 6 mesi per aver chiamato alla mobilitazione contro il genocidio

Ahmad Salem è un giovane palestinese di 24 anni, nato e cresciuto nel campo profughi palestinese al-Baddawi in Libano, arrivato in Italia in cerca di protezione internazionale e che dopo il suo arrivo, si è recato a Campobasso per presentare richiesta di asilo politico.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Non ci sarebbe mai stata una fase due, il cessate il fuoco era la strategia

Il cessate il fuoco, come i negoziati, sono diventati un altro campo di battaglia in cui Tel Aviv temporeggia e Washington ne scrive l’esito.