Referendum: genealogia e ambivalenze di una sconfitta quasi annunciata
Eppure sembrava potesse vincere. Negli ultimi giorni e fino a domenica mattina, non già il referendum in sé, ma il fronte del Si pareva potesse farcela: a superare il quorum, certamente; ma soprattutto a fare quello che altri momenti democratici-istituzionali non riescono più a fare: portare la gente alle urne. E non sono poi stati pochi gli italiani che a votare ci sono andati: quasi 16milioni, il 36% degli aventi diritto. Eppure il famoso quorum, quel numero su cui la partita si giocava, non è stato raggiunto.
Esulta Renzi; esultano le cricche che lo sostengono. Le dichiarazioni della stessa serata ci parlano di una capacità mediatica confermata nella sua apparente contraddittorietà: una carezza ai votanti (“chi vota non perde mai”) e poi giù duro sui 300 milioni spesi – volutamente spesi per avere poi un’altra arma di critica – sui posti di lavoro difesi, sulle sue opposizioni politiche nei consigli regionali proponenti il referendum.
Il confronto tra alcuni dati elettorali recenti ci può fornire una prima, buona, chiave di lettura: questi 16milioni sono comunque superiori ai voti ricevuti dal Partito Democratico nelle sue ultime tornate elettorali: quelle europee e le nazionali che portarono al governo Bersani-Letta e che, quindi consentono oggi a Renzi di governare questo paese.
Quello del confronto numerico, del resto, ci spiega anche una parte di questi “strani” divari regionali nell’afflusso alle urne. Molti, infatti, si aspettavano che fossero le regioni più investite dai piani di sfruttamento estrattivo di mari e sottosuolo a garantire le più alte percentuali; ma, come dicevamo, ciò è avvenuto solo in parte. Se escludiamo la Basilicata – che ha toccato le medie più alte forse sulla scia dell’indignazione per lo scandalo “Tempa Rossa” – le altre regioni maggiormente interessate (quelle della fascia adriatica e quelle meridionali) o si sono allineate sulle medie nazionali o, come in Sicilia e Calabria, si sono collocate decisamente sotto la media. Non va però dimenticato che proprio queste regioni sono le stesse che, alle ultime tornate elettorali, hanno fornito i più alti tassi di astensionismo: nazionali, europee o regionali che fossero. Siamo quindi di fronte, probabilmente, ad una più generale disaffezione (o disinteresse) verso ogni forma e meccanismo di partecipazione istituzionale alla cosiddetta” vita pubblica” del paese.
Resta il dato sociale di una mobilitazione referendaria che, se ha saputo coinvolgere e animare la vita di tanti territori, è rimasta probabilmente ingabbiata entro una certa composizione sociale fatta di ceti medi (o simili) e che poco ha saputo parlare alle fasce più proletarie della popolazione. Sarà stato il predominante carattere “ambientalista” della mobilitazione; o i tecnicismi nella formulazione del quesito; o il dubbio – certamente favorito dalle parole di Renzi e Napolitano in favore dell’astensione ma che, crediamo, abbia inciso solo in questo senso – che il referendum, in fondo, non servisse a molto. La prospettiva deve quindi essere quella di un’incapacità (o meglio impossibilità) del fronte del Si ad arrivare ai più differenti soggetti e luoghi. Non che non ci abbiano provato, attenzione: quando in buona parte del territorio i comitati sono completamente autofinanziati, a fronte di un assordante silenzio mediatico, non facile è colmare certi gap di forza reale. Ciò non può e non vuole essere una critica ai tanti che hanno profuso impegno nella diffusione di un referendum osteggiato da una “politica” ancora forte nella sua indiscussa (nella mancanza di una forte opposizione sociale, cioè) autonomia decisionale e forza mediatica. Ma ciò non può farci ignorare come, nei luoghi in cui da più tempo pratiche e movimenti di opposizione contro l’economia del petrolio sono da tempo socialmente radicati e presenti, i risultati si siano visti: è il caso, ancora una volta, della Basilicata.
Il giorno dopo è, come sempre in questi casi, quello della valutazioni a caldo: della politica abbiamo già detto; ma ci pare di registrare come in quelle sociali, soprattutto sui social network, si intravedano gli stessi limiti di cui sopra. Chi oggi si indigna e inveisce contro chi non è andato a votare; chi oggi si arrabbia contro gli “analfabeti istituzionali” dimostra come proprio lì, in simili atteggiamenti, risiedessero i limiti intrinsechi di molti “pezzi” del fronte pro-referendum; e che questi non abbiano chiara la realtà in cui vivono: e in certi momenti si mobilitano. La distanza da momenti politico-istituzionali, seppur ammantati di una certa democraticità, di tantissime persone non può essere colmata semplicemente dalla “giustezza” di una causa. Chi ha a cuore la sopravvivenza di tali forme della politica dovrebbe interrogarsi, semmai, su come ri-politicizzare territori e segmenti sociali piuttosto che inveire contro essi. Il contrario diventerebbe l’ennesima forzatura su una distorta idea di società civile e comunità politica.
Resta, dunque, un ultimo aspetto: centrale e non retorico. Il referendum, per quanto “giusto” questo fosse, rischiava di diventare l’ennesima scorciatoia politica ad uso e consumo di movimenti, comitati, sinistre non in grado di articolar un vero ragionamento sulla lotta e le pratiche di opposizione sociale. Se è vero che sarebbe stato comunque divertente, per tutti noi, vedere anche soltanto per un attimo Renzi perdere il suo ghigno arrogante, è altresì reale immaginare come, in assenza di una materiale dinamica di lotta egli avrebbe comunque potuto trovare le sue soluzioni e continuare nella sua sistematica operazione di valorizzazione di grandi capitali e lobby. Il caso del precedente referendum ce lo ha, in questi anni, dimostrato. Finché i rapporti di forza penderanno verso i nostri nemici, difficile o impossibile sarà immaginare, in un referendum, la chiave per ribaltarli. Cosa che invece si mostra possibile nei territori in cui all’oggettività della “giusta causa” si sostituisce la soggettività della lotta e del conflitto. Dalla Val Susa e da altri movimenti territoriali abbiamo già avuto, nel tempo, questa indicazione.
Se i vari comitati NoTriv vorranno sedimentare una loro soggettiva forza, è a questo tipo di percorso che dovranno necessariamente guardare.
Amsik
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