Responsabilità e beatificazioni
Le ultime settimane hanno visto una recrudescenza della messa alla gogna (e non dimentichiamolo, dell’azione penale) contro il movimento NoTav. Arresti, domiciliazioni, obblighi di dimora, fogli di via… Il ridicolo si è toccato ieri con la messa gli arresti domiciliari di tre compagni colpevoli di aver preteso da una giornalista di rivelarsi per quel che era. Una nuova ventata di penalità, comminata con generosità da una Magistratura che si erge sempre più a sostituta di una Politica incapace di pensare ad altro che alla propria sopravvivenza. Impreparata soprattutto nell’affrontare i nodi spessi, perché politici, che il movimento NoTav mette in fila nel suo semplice e ostinato persistere.
E già, perché nonostante il grande dispiego di armamentario mediale e repressivo messo in campo, atti ripetuti e prese di parola sempre più frequenti testimoniano di una assunzione di responsabilità collettiva e di una testimonianza di solidarietà diffusa verso un movimento che da anni ha tracimato dai suoi confini, semplicemente perché, nel suo piccolo, è stato capace di porre questioni più generali: di qualità della vita e di modello di sviluppo, cioè di sistema!
Il movimento NoTav ha certamente attraversato momenti migliori, ma non demorde. Più lo si bastona, più resta unito; più lo si addita a nemico pubblico, più scopre vecchi e nuovi compagni di strada. Il nervosismo che trapela dagli editoriali allarmati della Stampa e dalle dichiarazioni stizzite dei Pm sono sintomo di un’insicurezza più generale. Lo stesso Caselli deve ammettere, a malincuore, che in fondo nessuno, da dentro il movimento, condanna o prende le distanze dai militanti di volta in volta arrestati e/o denunciati, percepiti invero come malcapitati di turno di una battaglia comune.
Dentro il gran vociare scandalizzato che agita benpensanti, gazzettieri e politicanti brilla per indecenza la campagna di santificazione dei “poveri imprenditori” valligiani del Tav colpiti da ripetuti atti di sabotaggio. Stampa, politica e tv fanno la fila per incontrare i nuovi eroi nazionali da intervistare. Nessuno tra questi sedicenti giornalisti che si preoccupi di indagare un po’ più a fondo nel passato e negli interessi economici di questi personaggi: ditte fallite e bancarotte, indagini per attività in odore di ‘ndrangheta, rimborsi mai usati..etc. Ma in fondo riteniamo che i singoli reati di questi soggetti disprezzabili siano in fondo poco gravi di fronte alla responsabilità più grande che si assumono nello svendere un intero territorio per il loro unico e egoistico interesse. Valori e cultura, quelli degli imprenditori SìTav, che del resto collimano col più generale sistema di pensiero e organizzazione su cui è costruita la società che impone il Tav e le grandi opere inutili: la santificazione della proprietà privata e una filosofia triste e misera che riesce a pensare l’agente-umano solo come animale terrorizzato e in perenne guerra contro i suoi simili.
Un tempo si diceva che la borghesia aveva la velleità di rappresentarsi come classe universale, pretendendo che i suoi successi o sventure fossero quelli di tutti (quanto le sue sventure oggi riguardino tutt* ce lo mostra questa crisi e la progressiva distruzione del pianeta di cui siamo spettatori). Qui siamo all’esasperazione di questo principio. Non solo si pretende che gli “imprenditori” rappresentino tutta la Val Susa (tra l’altro, la maggioranza di loro è NoTav, iscritta ad un’associazione, Etinomia, che tra due settimane discuterà di territorio, lavoro e prospettive altre di sviluppo in una tre giorni dal titolo “Stati Generali del Lavoro”), qui è la famiglia Lazzaro a rappresentare – nel processo di vittimizzazione/canonizzazione operato dai media – tutta l’umanità, il “povero imprenditore che vuol solo lavorare”, il prototipo umano in cui tutti sono obbligati a riconoscersi, l’ex-elettore di Forza Italia e della Lega, il buon padre di famiglia, finanche il Casaleggio che vola a Cernobbio e il blocco PD-Cgil che nel nome del Lavoro a qualunque costo (degli altri, beninteso) a prescindere da ogni necessità, costi sociali e ambientali fonda una retorica fuori dai tempi.
Ora, dentro questo scenario acceso, emerge la proposta dei sindaci della valle che fa appello alla “sospensione di ogni violenza” e chiede un incontro politico pubblico sulla vicenda che più di tutte ha impensierito i governi degli ultimi anni. Non è nostra intenzione entrare nel merito dei contenuti minuti di questa proposta. C’interessa però assistere a quella che sarà la risposta di Governo e SiTav a quella che, aldilà delle nostre convinzioni, è in fondo la “ragionevole proposta” degli amministratori di un territorio.
Crediamo sarà un banco di prova utile per mostrare, per l’ennesima volta, l’assoluta malafede e mancanza di volontà politica di chi da vent’anni non smette di vantare le sorti magnifiche e progressive del Tav ma che, appena interpellato sui dettagli di questi, è incapace ad articolare un discorso minimo che faccia ameno di balbettii, luoghi comuni e frasi fatte. Ci sembra altrettanto significativo rimarcare, come per l’ennesima guerra che questo sistema sta mettendo in moto, la Chiesa si mostri più all’altezza dei tempi della Politica secolarizzata. Non essendo dei baciapile (come quei giornalisti e politici che parlano del Tav come di un nuovo Messia) possiamo ben dirlo: un’istituzione da noi molto lontana è almeno in grado di cogliere la crisi, non solo di sistema ma di civiltà, che stiamo attraversando. Crisi di cui il Tav è un’esemplificazione chiara e concreta. Appunto perché in gioco non c’è solo un treno.
InfoAut/NoTav
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