Se non sempre, quando?
La manifestazione nazionale in difesa della scuola pubblica e della costituzione chiamata per il 12 marzo in più di cento città italiane sembra avere grandi similitudini con quella convocata dall’appello “Se non ora quando?” che vide il 13 febbraio scorso migliaia di (soprattutto) donne e uomini rispondere con la discesa in piazza al polverone sollevato dal caso Ruby.
Scrivevamo su questo sito di come ci fosse da cogliere la necessaria ambivalenza di quella piazza: da un lato si poteva leggere la componente del rifiuto ad un modello sul quale Berlusconi ha impostato gran parte della sua strategia “di costume”, dall’altro era evidente l’appiattimento su pericolosi discorsi del tipo donneperbene vs. donnepermale e la longa manus del partito-Repubblica le cui contraddizioni sui discorsi di genere non sono certo sconosciute.
Proprio il partito-Repubblica ha rilanciato per oggi, e in vista dell’altro appuntamento del 17 marzo per i 150 anni dell’unità nazionale e la difesa della Carta, una piazza sulla difesa della scuola chiamata sull’onda delle sconcertanti dichiarazioni del raìs di Arcore al convegno dei Cristiano-Riformisti di qualche settimana fa.
Il gioco di Repubblica è però doppio: non solo punta ad attaccare il premier su un punto così sensibile come l’istruzione, ma mira anche a voler proseguire la narrazione sugli studenti e sulle studentesse lanciata in seguito alla visita a Napolitano del 22 dicembre scorso. Narrazione disegnata sull’obiettivo di smorzare il forte messaggio d’irrappresentabilità lanciato dai due mesi di movimento precedenti e di creare un’immagine del bravo studente ligio ai suoi doveri, alla Costituzione e ai suoi garanti, ancor più utile in questi tempi di orge patriottiche a cui stiamo assistendo sui media.
Un tentativo di rianimare artificialmente un movimento, cambiandone però i connotati che si scontra però con la rottura effettuata dal 14 dicembre, da quella rivolta precaria romana che tracciò nettamente una linea di uscita dallo studentismo e che mise sotto accusa tutto il sistema partitico, applicando nella prassi il “Que se vayan todos” che già si pone come programma politico con cui approcciare ed eccedere la data dello sciopero Cgil del 6 maggio.
Verso quella data, rimane comunque utile attraversare queste piazze per intercettare gli umori che le compongono e portare discorsi di rottura della vetrina dorata che si vorrebbe disegnare su più generazioni immerse fino al collo nella precarietà. Ma sono tre anni ormai che sulla scuola e l’università si agitano movimenti che, da primi oppositori al governo Berlusconi, sembrano volersi trasformare in accumulatori di forze capaci di attaccare governi della crisi. Il bisogno di crearne di nuovi, posticci ed effimeri è funzionale solamente a chi vuole provare ad indirizzare un movimento sempre ribollente ed imporgli quelle rappresentanze e modalità di azione che quest’autunno sono state chiaramente rifiutate.
Maria Meleti
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