#sivainpiazza? L’epic fail renziano e le paure del Partito del Sì
E’ dato da non sottovalutare il semi-silenzio della totalità della carta stampata sulla piazza (del Popolo, sic!) chiamata sabato scorso dal Partito democratico e dal Primo Ministro di Rignano. In un mondo dove la politica è sempre più comunicazione, dove un sistema mediale blindato da Renzi negli scorsi mesi è sempre pronto a ingrossare la voce di chi detiene il potere, in piena battaglia referendaria, questo silenzio-omissione la dice lunga su quanto potenziale quella piazza e quella scena abbiamo realmente emesso.
Se l’ unico alibi può apparire la distanza tra sabato scorso e la data referendaria, è anche vero che ci sono numeri e questioni che non possono essere fuorvianti. Diecimila o ottomila (cinquemila per la questura) le persone scese in piazza, perlopiù portate da fuori Roma: il numero dei presenti rende l’immagine di una trasformazione del potere e del partito che lo incarna, sempre più slegato da una dimensione territoriale reale diffusa.
A ben notare probabilmente se si fossero mobilitati anche solamente i funzionari locali e regionali delle strutture PD, ci sarebbero potute essere molte più persone di quelle recatesi ad assistere al soliloquio renziano; e non ci dilunghiamo sulla non-risposta pressoché assoluta del bacino elettorale romano.
Proprio le dinamiche del comportamento elettorale sembrano mettere sempre più paura a Renzi: svanito in un batter di ciglia le ipotesi che l’endorsement di Obama potesse contare qualcosa, gli ultimi sondaggi non solo danno in vantaggio il NO, ma addirittura vedono la sostanziale unanimità dei rilevatori d’opinione nel segnalare il Movimento 5 Stelle come primo partito nel paese.
Il Partito del Sì è sempre più in difficoltà, e allora puntuali ritornano i discorsi di un possibile rinvio del referendum; nel farlo si strumentalizza vergognosamente la questione terremoto, sottolineando la necessità di creare un clima di concordia e che eviti ulteriori lacerazioni. Queste le parole di Sacconi, in passato noto per il suo ruolo di aguzzino al Ministero del Lavoro.
Le migliaia di persone sfollate nelle Marche e nel Centro Italia diventano così scudi umani delle paure di Renzi e Alfano, con quest’ultimo che si dimostra pronto a valutare un rinvio se richiesto dalle opposizioni; intanto, a quanto raccontano alcuni retroscena, personaggi in vista dell’entourage berlusconiano come Letta e Confalonieri stanno provando a convincere il Cavaliere a dare ascolto alle paure del premier in cambio di un Nazareno-bis..
Tornando a sabato scorso, l’immagine triste della piazza renziana va ben oltre la mestizia, e restituisce la foto di una situazione dove, tolti i fidi dell’establishement governativo, tolti gli amici e i grandi capitani d’industria prezzolati, nessuno sta credendo né si sta affezionando ad un progetto sempre più incapace di rilanciare ambizioni personali e collettive nel Paese.
Questa la sensazione: la piazza di sabato incarna l’immobilità di un potere che si sta trincerando in sè stesso, mentre povertà e disuguaglianze dettati dall’agenda delle riforme dilagano, quando invece fu lo stesso premier a dichiarare che “la sua scorta era la gente”.
Alla prova dei fatti il Partito democratico in toto mostra di non avere una convinzione personale interna e una progettualità politica pronta ad appoggiare fino in fondo Renzi; del resto è lampante come il risultato di piazza di sabato, a fronte di un milione di euro investito nella logistica delle persone, è talmente infimo da far scattare alte sirene dall’allarme nella segreteria di Sant’Andrea delle Fratte.
Per quanto ci riguarda, auspichiamo e lavoriamo affinchè le piazze piene a Roma siano quelle contrapposte a Renzi e al suo progetto di accentramento del potere esecutivo..direzione 27 Novembre!
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