Stai mutuo!
Da mesi sui maggiori giornali italiani va in scena un dibattito sull’accesso ai mutui per i giovani.
Tra gli under 35 la quota di chi richiede un finanziamento si è dimezzata negli ultimi quindici anni. I motivi snocciolati da analisti e opinionisti rasentano l’ovvietà: la precarietà, l’instabilità, la rigidità delle banche nel concederli, la difficoltà dei giovani nell’inquadrare il futuro (grazie a tutti per l’accurata analisi).
Ma perché questa discussione è così sentita tra l’establishment italiano, tanto da vedere Tito Boeri, ex presidente dell’INPS, farsi alfiere sulle colonne di Repubblica del “più mutui ai giovani”?
I motivi sono molteplici e riguardano tanto gli aspetti micropolitici della vita degli under 35 italiani, quanto le questioni finanziarie più generali.
La corsa all’indebitamento è stato il processo con cui, negli Stati Uniti e in altri paesi in forma minore, è avvenuto lo scarico dei costi della riproduzione interamente sulla vita di chi si indebita. In parole povere l’accesso a mutui facili, a finanziamenti convenienti e ad altre forme di indebitamento ha via via sostituito il welfare erogato dal pubblico e contestualmente ha permesso un’ulteriore contrazione dei salari. Il disinvestimento dello stato nella spesa sociale ha dunque camminato di pari passo con una minore tassazione ai ricchi e alle aziende e una maggiore finanziarizzazione della vita dei singoli. Inoltre l’indebitamento ha un suo aspetto biopolitico: il non pagare, il non poter pagare quando le cose vanno male viene vissuto come un senso di colpa individuale nei confronti della famiglia, della società, a volte dell’istituto di credito stesso. Dunque il debito diventa uno strumento di controllo sulle vite, di introflessione, di maggiore adattabilità a lavori e salari di merda, perché “bisogna pagare”. Non c’è più il tempo per delle rivendicazioni collettive che chiedano più welfare per tutti, perché il tempo va utilizzato per saltare da un lavoro precario all’altro al fine di onorare la rata di fine mese, perché non c’è una controparte chiara su cui rivalersi della propria situazione, perché se non paghi è solo colpa tua (il classico “chi te l’ha detto di indebitarti, se non eri sicuro di poter ripagare?”. Nel caso ricordiamoci di rispondere Tito Boeri in futuro).
Dunque “più mutui per i giovani” è uguale a minor stato sociale e a maggiore controllo e disciplinamento nelle nostre vite. Ma non solo, l’altro polo della questione è il rilancio della finanziarizzazione. Le banche fanno una parte consistente dei loro utili dagli interessi sui mutui, che poi impacchettano insieme per fare altri utili e così via (avete presente la crisi del 2008? I subprime?). In questo momento le banche si barcamenano tra i tassi d’interesse negativi imposti dalla BCE e i titoli tossici che hanno incamerato negli anni di cui non riescono a disfarsi (lo spieghiamo meglio qui e qui), quindi il denaro pompato dal Quantitative Easing nel mercato finanziario fluisce altrove (spesso negli Stati Uniti). Dunque poiché le misure monetarie della BCE sortiscano qualche effetto sarebbe necessario rilanciare una finanziarizzazione “in proprio” e i giovani potrebbero essere tra i soggetti adatti a questo scopo. Il dilemma per i fautori del mercato è che le banche, finché i tassi staranno sotto zero, hanno meno interesse ad assumersi la responsabilità di concedere mutui rischiosi.
Quella di Boeri e compagnia dunque non è una polemica tra a chi sta a cuore il futuro dei giovani e a chi no, ma è semplicemente l’ennesimo dibattito su come approfondire lo sfruttamento delle nuove generazioni e il controllo sulle nostre vite.
P.S. Non crediamo però che vada colpevolizzato chi cede alla “promessa del debito” per realizzare le proprie aspirazioni di vita. La questione è come costruiamo percorsi collettivi di resilienza, di consapevolezza, come aumentiamo il costo sociale per la controparte della nostra riproduzione e come ci frapponiamo tra i meccanismi di finanziarizzazione e speculazione che si muovono sulle nostre teste.
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