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Storia, storie e strette di mano

Edward H Carr, storico e diplomatico britannico, in un capitolo delle sue “sei lezioni sulla storia” sostiene che la grande illusione coltivata da chi esercita il suo mestiere sia quella di narrare la Storia oggettiva dello sviluppo delle società umane, senza rendersi conto di esserne al tempo stesso prodotto e costruttore abritrario. Lo storico, come qualsiasi persona nata e cresciuta in un ambiente caratterizzato da relazioni inter-soggettive, è un “prodotto” del suo tempo in quanto inserito in un contesto sociale determinato che impone punti di vista, abitudini, obblighi etc etc. E’ altresi artigiano della Storia, perché sullo sfondo di tale contesto esercita comunque una scelta soggettiva non solo nel proprio agire quotidiano, ma anche nella costruzione di una narrazione storica.

Carr spiega che compito dello storico è quello di selezionare, consciamente o incosciamente poco importa, degli eventi particolari all’interno dell’universo vastissimo dei “fatti del passato” per elevarli con una scelta arbitraria a “fatti storici”.

Ecco quindi che si compiono delle cesure mnemoniche fondamentali per la lettura storica degli avvenimenti del passato: gli storici della contemporaneità vicini al sionismo, per fare un esempio concreto, spesso trascurano la provocatoria visita di Sharon alla spianata delle moschee del 28 settembre del 2000 e datano l’inizio della seconda intifada con lo scoppio, il giorno seguente, delle rivolte dei palestinesi in segno di protesta. Gli storici vicini alla resistenza palestinese, invece, sottolineano la provocazione dell’allora capo dell’opposizione che scortato da un migliaio di uomini armati volle mandare un messaggio chiaro ai palestinesi: quella parte della città sottostà all’autorità israeliana.

Ecco quindi che la narrazione storica diventa immediatamente una collocazione partigiana, volontariamente o involontariamente punto di vista parziale sul mondo e sugli avvenimenti che lo scuotono che rifugge e rigetta un’universalità e un’oggettività spesso millantante, ma impossibili da raggiungere persino allo storico più “attento”.

La Storia è quindi al tempo stesso una narrazione arbitraria che seleziona tra tanti “fatti del passato” i soli degni di essere considerati “fatti storici” e, quindi, è anche un campo di battaglia in cui narrazioni diverse, spesso in conflitto tra loro, cercano di imporsi egemonizzando il campo sociomnemonico della memoria pubblica e colletiva.

Scomodiamo per un po’ Carr dal cielo della Storia con la S maiuscola e portiamolo tra noi, sulla “terra” della quotidianità di informazioni, articoli, notizie che leggiamo sui quotidiani, ascoltiamo nei notiziari dei telegiornali o apprendiamo sul web e sui social.

Sostituito il termine “storico” con il sostantivo “giornalista” e la ben più ingombrante “Storia” con le tante “storie”, “notizie” che ci giungono facilmente nell’era dell’informazione veloce, possiamo notare che la realtà non cambia; quanto detto tiene.

Il giornalista, lungi dall’essere un divulgatore neutrale di avvenimenti, nel redigere un articolo costruisce una notizia, un “fatto giornalistico”: certamente il contenuto deve affondare le radici nei “fatti del presente” realmente accaduti, ma il tronco e la chioma si sviluppano secondo le intenzioni dell’autore e la linfa che percorre l’albero intero è quella disposizione determinata dal mix del contesto sociale, che ci fornisce le lenti particolari tramite chiunque di noi guarda e legge il mondo, e la psicologia individuale di ciascuno.

E così può capitare che gran parte dei giornalisti delle maggiori testate giornalistiche cartacee e online, in buona o cattiva fede poco cambia e poco importa, riesca a raccontare tre giorni di sciopero degli operai dell’Ilva di Cornigliano schiacciando gli eventi su una stretta di mano tra la vice-questore e un delegato sindacale.

Gli eventi che per tre giorni hanno animato la città di Genova: lo sciopero dei metalmeccanici, il blocco stradale con l’incendio dei pneumatici, la solidarietà degli operai delle altre aziende cittadine, la presenza in corteo di studenti della scuola Enrico Fermi che hanno sentito come proprie le istanze dei lavoratori a rischio, gli striscioni esposti ai balconi delle case lungo il tragitto della manifestazione da singoli cittadini, per non parlare delle ragioni dello sciopero stesso (!); tutto ciò è diventato contorno, cornice interessante e colorata al “fatto giornalistico”: una stretta di mano tra la vice-questore di Genova e un metalmeccanico.<

Si è costruito un contrasto abissale tra la “cronologia metrica” delle tre giornate di sciopero con il “tempo percepito”, evidentemente non metrico, operazione resa possibile perchè si è arbitrariamente fabbricata una densità narrativa intorno a pochi secondi irrilevanti rispetto a tre giornate di avvenimenti ben più importanti.

Questa operazione ha fatto sì che intorno a quel gesto si sia costruita un’operazione mediatica notevole, con la notizia della dirigente di piazza “dalla grande umanità e sensibilità” che è rimbalzata per due giornate intere sui nostri social network.

Col passare delle ore, poi, si è persino sbiadito il contorno e, come si legge su questa intervista de “La Repubblica”, l’attenzione si è focalizzata sulla vita privata della dirigente della Questura di Genova: ci hanno gentilmente informati sull’età e sul numero dei figli, sulla sua presunta emotività sviluppatasi grazie al contatto frequente con donne che hanno subìto violenza e giovani vittime di bullismo etc etc

Ma in fin dei conti cosa è avvenuto?

Dopo il fronteggiamento tra gli operai e il cordone di polizia si è arrivati ad una mediazione: il corteo sarebbe proseguito a condizione che i lavoratori non procedessero oltre con i mezzi meccanici con cui avevano iniziato la mobilitazione.

Lungi dal dare un giudizio sulla scelta degli operai di accettare il “ricatto” della questura, ci preme sottolineare che al momento di un accordo, a contrattazione avvenuta ed evidentemente comoda anche agli interessi della questura (che sono e saranno sempre quelli di mantenere l’ordine pubblico) non capiamo perchè una stretta di mano sia un gesto di “grande umanità”, di “sensibilità” o anche solo degno di nota.

La stessa donna, nell’intervista precedentemente indicata, ha sottolineato come stesse semplicemente facendo il proprio lavoro e il “gesto di distensione” è avvenuto nel momento in cui gli operai hanno fatto un passo indietro rispetto al cordone di polizia.

Anche sforzandoci e mettendo in discussione i nostri “preconcetti” verso gli uomini in divisa facciamo molta fatica a leggere in quella stretta di mano spiccate doti di sensibilità e umanità

A essere maliziosi, o semplicemente realisti, è stata una felice operazione di immagine per ricostruire (ahinoi, servirebbe ben altro) una verginità e una purezza intorno alle forze dell’ordine che negli ultimi anni stanno uscendo abbastanza mal messe dalle varie notizie di pestaggi, omicidi e soprusi commessi.

Ma vogliamo fare uno sforzo ulteriore e provare a mettere da parte le lenti da militanti, spogliarci per un attimo del realismo di chi ha visto spesso l’operato delle forze dell’ordine sulla pelle di lavoratori in sciopero o attivisti politici, e guardare quella stretta di mano con occhi diversi: nella migliore delle ipotesi vediamo un non-evento elevato a tormentone mediatico; anche in questo caso non importa la buona o cattiva fede della vice-questore… è semplicemente stata una stretta di mano avvenuta dopo una mediazione ritenuta soddisfacente dai delegati sindacali e dalle forze dell’ordine.

Ghemonio 

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