InfoAut

Transizioni democratiche: tra tamburi di guerra e barricate per la pace

Mentre due navi da guerra americane si dirigono verso le coste libiche la strategia atlantica delle transizioni democratiche subisce l’ennesimo duro colpo. Con l’assalto all’ambasciata americana in Libia si approfondisce la crisi del tentativo di dirigere (per normalizzarli) i processi rivoluzionari intorno al Mar Mediterraneo da parte delle potenze occidentali. Che si tratti del patto con l’islamismo liberale o che si tratti delle pressioni politiche e militari per precipitare i processi rivoluzionari in guerre civili, l’apparato di cattura finanziario, mediale, morale e politico del “regime change” non riesce a consolidarsi. Da una parte si scontra e trova una straordinaria resistenza nell’estensività attuale dei processi rivoluzionari e dell’altra ha a che fare con un rigurgito dello scontro di civiltà che ancora oggi mobilita nelle piazze delle capitali arabe qualche migliaio (ma non per questo poco agguerrito e politicamente influente) di islamisti radicali (che nei prossimi giorni potrebbero anche aumentare di numero). Si tratta di una presenza politica e culturale che nello scorso anno se ne è stata o a guardare alla finestra la piazza rivoluzionaria in compagnia delle fazioni moderate in attesa che la transizione democratica gli aprisse le urne elettorali (come in Tunisia ed in Egitto) oppure a funzionare da agente corruttore ai “margini” dei movimenti contro i regimi (in Libia come in Siria ad esempio). Due modalità di governo della crisi nel mar mediterraneo sollecitate dagli Stati Uniti, dalla UE e dalle monarchie del petrolio per battere e disorientare le piazze rivoluzionarie nel loro percorso di liberazione dalla condizione di povertà. Il termidoro islamista con la sua ossessione per i corpi e l’urgenza di riattivare un dispositivo di paura contro i governati, la provocazione e la corruzione ai margini e dentro i movimenti di piccole ma ben attrezzate fazioni islamiste radicali tentano di suonare i tamburi di guerra contro i movimenti. D’altronde, al di là della retorica dell’Obama all’Università del Cairo, alle elites è chiaro che per reagire all’insorgenza proletaria contro la crisi che si distende tra le coste atlantiche fino ed oltre il Bahrain è la guerra che va fatta funzionare. Non c’è e non vogliono New Deal… tutt’altro!

 

Mentre assistevamo con orrore ai bombardamenti sulla Libia ci chiedevamo il perché dell’assenza di un movimento contro la guerra. A mio avviso però non trovavamo risposte soddisfacenti perché non rovesciavamo la domanda: “in che modo i lavoratori e le lavoratrici, i giovani proletari stanno lottando ora per la pace?”. Ancora troppo legati alla cultura del movimento per la pace e contro la guerra infinita di Bush forse immaginavamo l’istanza pacifista mostrarsi unicamente nella forma di un grande movimento d’opinione che nel rifiuto etico, giusto e intransigente, al massacro attuato dalla Casa Bianca e dai suoi soci contro la popolazione irakena e afgana, tentava di sabotare la guerra mobilitando anche milioni di persone in tutto il mondo. Forse anche per questa ragione, non coglievamo che tra le barricate intorno piazza Tahrir, nella Casbah di Tunisi, a piazza Syntagma, a Plaza del Sol, nei pressi di Zuccotti Park a farsi largo c’è il bisogno e il desiderio di pace, qui ed ora. Una istanza di pace non più disincarnata dai processi sociali e mantenuta lassù in una sfera ideale, ma ben saldata nella lotta contro la miseria e la povertà. In assenza e nell’indisponibilità di un New Deal, anzi nell’interesse capitalistico di sfasciare ciò che resta del welfare, in quella violenza distruttiva ed espropriatrice di ogni forma di vita c’è il carattere radicalmente belligerante della crisi. Ed è da questo punto di vista che i movimenti nelle città insorgenti del mediterraneo hanno affermato l’urgenza della pace in termini di riappropriazione delle ricchezze sottratte da una vita. Nella lotta per la dignità e la giustizia sociale in Tunisia come in Grecia si dice “dégage” ai regimi della guerra. Questo eccezionale sforzo dei movimenti in Nord Africa si è caratterizzato anche nella rottura dell’ordine della guerra infinita, delle crociate e delle jihad, provocato da un proletariato giovanile che si è immediatamente riconosciuto nei volti degli studenti e delle studentesse che a Londra davano l’assalto a Tower Hill o inondavano Roma il 14 dicembre del 2010. E quale orrore devono aver provato le elites quando scoprivano che quegli uomini e quelle donne non si rivolgevano più all’islam politico per risolvere i problemi della propria vita di quotidiana miseria! Che orrore devono aver avuto nell’ascoltare centinaia di migliaia di persone gridare “non abbiamo più paura” davanti alla polizia di Ben Ali e Mubarak! Contro questo eccezionale sforzo non potevano che tentare di riattivare il dispositivo della paura contro i governati, tramite l’uso dell’islamismo liberale in alcuni casi o tramite la costruzione di condizioni politiche e sociali legittimanti i bombardamenti dei “volenterosi”, in cui “l’agente corruttore” dell’islamismo più radicale sta giocando un ruolo dirimente. Eppure questa strategia, su cui ha investito soprattutto la Casa Bianca e alcuni paesi dell’Europa, di reazione e normalizzazione che caratterizza le transizioni democratiche, vacilla ed è in crisi fin dal suo principio, incalzata dai movimenti o\e scossa dalla sue stesse costitutive contraddizioni interne.

 

Su questa debolezza va tenuto aperto ed approfondito il dibattito nei movimenti a partire dalla questione della pace e delle sue possibili forme di costruzione che mai come oggi sono saldate alle prime e importanti allusioni di alternative alla crisi capitalistica. E non mi riferisco a ipotesi frontiste che nel migliore dei casi hanno come slogan “si salvi chi può!” in qualche rincorsa elettorale, ma parlo dei processi organizzativi delle lotte e dell’autonomia politica dei movimenti capaci di darsi una propria temporalità e spazialità destituente e costituente. E’ importante continuare a divenire “hub” tra una sponda e l’altra del mediterraneo e aumentare le forme di reciprocità delle lotte contro la precarietà, la povertà e la miseria. Se non aggiungiamo la parola “pace”, alla koinè dialektos, al dialetto insorgente dei movimenti il rischio è di lasciarsi andare a immaginazioni catastrofiste e impotenti. Se non riconosciamo nelle barricate di Piazza Syntagma, nelle forme di mutualismo sociale in Spagna, nelle lotte e rivolte tra la Tunisia, l’Egitto, il Bahrain, nelle prime occupazioni e autogestioni di fabbriche e servizi l’ipotesi antagonista della pace, c’è il rischio di proiettarsi in una “pacifica guerra” dove gli attori sono sempre gli stessi proprio come le vittime, a volte incatenati tra jihad e crociate, altre rinchiusi nella solitudine dell’individualismo neoliberista, e dove il no alla guerra risuona lassù in un rifiuto ideale. Al contrario mai come oggi le lotte sembrano indicare la possibilità di pace quanto mai concreta… d’altronde è da mesi che tra le barricate in fiamme o sotto i palazzi del potere si grida “dégage” ai regimi della crisi e dell’austerità, i regimi della guerra.

 

FM

Ti è piaciuto questo articolo? Infoaut è un network indipendente che si basa sul lavoro volontario e militante di molte persone. Puoi darci una mano diffondendo i nostri articoli, approfondimenti e reportage ad un pubblico il più vasto possibile e supportarci iscrivendoti al nostro canale telegram, o seguendo le nostre pagine social di facebook, instagram e youtube.

pubblicato il in Editorialidi redazioneTag correlati:

guerraLibiarivoluzione

Articoli correlati

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Il lavoratore inesistente

La retorica della destra sul movimento “Blocchiamo tutto” ci racconta meglio di ogni saggio la visione dominante sul ruolo dei lavoratori e delle lavoratrici nella società: farsi sfruttare, consumare e stare muti.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Alcune riflessioni a caldo su “Blocchiamo tutto”

E’ quasi impossibile fare un bilancio organico di queste giornate incredibili. Il movimento “Blocchiamo tutto” ha rappresentato una vera discontinuità politica e sociale nella storia italiana.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

La guerra è pace

Uno dei famosi slogan incisi sul Ministero della Verità del romanzo di George Orwell “1984” recita così.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

Meloni difende a spada tratta l’agito del governo su Gaza e attiva la macchina del fango nei confronti della Global Sumud Flotilla e del movimento Blocchiamo tutto.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Sullo sciopero generale del 22 settembre una giornata di resistenza e lotta – Milano

Il 22 settembre, in occasione dello sciopero generale nazionale, le piazze di diverse città italiane sono state attraversate da movimenti di massa che hanno dato vita a cortei, scioperi, blocchi e boicottaggi contro la macchina bellica, in solidarietà con il popolo palestinese e contro il genocidio. È stata una giornata fondamentale nella ricomposizione di un […]

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Blocchiamo tutto! Insieme, per Gaza

E’ difficile prendere parola sulla giornata di ieri. Sono mille gli stimoli, i punti di vista da cui guardare quanto è successo. 

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Lo stadio finale di Israele: tra autarchia e capitalismo di rapina

L’immagine di invincibilità che lo stato sionista sta cercando di ristabilire sul piano militare non può nascondere i segni della sua corsa, irreversibile, verso un capitalismo di rapina.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Milano: urbanistica, speculazione e stratificazione di classe

Mettiamo per un attimo da parte gli aspetti corruttivi dell’intricata vicenda che vede coinvolti imprenditori, architetti, assessori e dipendenti comunali.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Sono dazi nostri

Non c’è altro modo per definire l’incontro tra Ursula von der Leyen e Trump se non patetico.

Immagine di copertina per il post
Editoriali

Ma quale “imperialismo iraniano”?

Per un attimo ci siamo illusi/e che di fronte a fatti di questa portata la priorità fosse quella di capire come opporsi, dal nostro lato di mondo, al caos sistemico che Israele, con l’appoggio degli Stati Uniti, sta portando sulla regione.

Immagine di copertina per il post
Formazione

HUB DI PACE: il piano coloniale delle università pisane a Gaza

I tre atenei di Pisa – l’Università, la Scuola Normale Superiore e la Scuola superiore Sant’Anna – riuniti con l’arcivescovo nell’aula Magna storica della Sapienza, come un cerbero a quattro teste.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

«La cosa più importante è salvare il maggior numero possibile di vite umane e infrastrutture in Ucraina»

Maidan illustra quindi i principali dilemmi dei movimenti e delle mobilitazioni globali: la classe operaia ha una capacità molto limitata di organizzarsi, di articolare gli interessi di classe e di fornire almeno una leadership nazionale.

Immagine di copertina per il post
Confluenza

DDL NUCLEARE : cosa aspettarci, cosa sappiamo?

Continuiamo ad approfondire e a tenere alta l’attenzione sul tema del ritorno del nucleare.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Armi e gas :l’Europa sempre piu’ dipendente dagli U.S.A.

A ottobre, per la prima volta, un singolo Paese gli USA ha esportato oltre 10 milioni di tonnellate metriche (mmt) di gas liquefatto, il 70% delle quali verso l’Europa.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Rompere la pace dentro territori, fabbrica e università della guerra

Partiamo da qui, da questa inquietudine mai risolta e sempre irriducibile che accompagna la forma di vita militante, l’unica postura da cui tentare di agguantare Kairòs, il tempo delle opportunità che possiamo cogliere solo se ci mettiamo in gioco. 

Immagine di copertina per il post
Divise & Potere

Libertà vigilata

Un inedito maccartismo sta attraversando l’Occidente e, per quanto direttamente ci riguarda, l’Europa, sempre più protesa verso la guerra, irresponsabilmente evocata dalla presidente Ursula Von der Layen come “scudo per la democrazia”

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Teoria del partito

I prezzi sono più alti. Le estati sono più calde. Il vento è più forte, i salari più bassi, e gli incendi divampano più facilmente.

Immagine di copertina per il post
Approfondimenti

Il Segretario di tutte le guerre

a visione che Hegseth porta dentro l’amministrazione Trump è quella di un’America che può tornare «grande» solo riconoscendo la guerra come sua condizione naturale.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Ucraina: logoramento militare sul fronte orientale, esodo di giovani sul fronte interno

La situazione sul campo in Ucraina è sempre più difficile per le truppe di Kiev.

Immagine di copertina per il post
Conflitti Globali

Monza: martedì 4 novembre corteo “contro la guerra e chi la produce”

Martedì 4 novembre a Monza la Rete Lotte Sociali Monza e Brianza e i Collettivi studenteschi di Monza hanno organizzato un corteo “Contro la guerra e chi la produce “.