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Un cane morto chiamato PD

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La studiata combinazione che ha visto inseguirsi lo scorso weekend la manifestazione milanese antirazzista e lo spettacolino delle primarie ha riportato l’attenzione sul Partito Democratico. La nomina di Zingaretti a segretario è stata narrata come la svolta progressista di un partito intenzionato a riportare nel suo alveo i delusi dal regno renziano.

 

Ma alcune evidenze ci dicono che il nuovo PD è nato già morto. E non solo perché di fatto è un ritorno al 2013, al centrosinistra, a Bersani e alle sue elezioni vinte e perse insieme. A un’era andata, e finita molto male. Ma perché credere nel PD di Zingaretti è credere in una (sinistra) sinistra che dietro il tema della difesa di un inesistente interesse generale della società, nasconde in realtà la promozione dei desiderata di una classe particolare, ovvero la classe padronale.

Vuol dire credere in una prospettiva antiquata e rivolta al passato, in una dirigenza che nel mentre finge di rinnovarsi non ha imparato e non vuole imparare la lezione, che non riesce a cogliere il senso profondo di una fase storica che la sta travolgendo in tutto il mondo occidentale. Che non coglie che la divisione tra popolo ed elite, tra basso e alto, tra sfruttati e sfruttatori, agita in senso reazionario dai sovranisti di ogni risma, non è aggirabile ma solo rideclinabile.

È una dirigenza che insieme a sindacati impegnati unicamente nella propria riproduzione burocratica continua a parlare di lavoro come dignità. Quando il suo essere sfruttamento e devastazione territoriale è verità sempre più evidente. Una visione fuori tempo massimo, anche rispetto ai suoi teorici referenti internazionali. Se persino negli USA infatti si riaffaccia qua e là il tema di classe, della distribuzione del reddito, anche a partire dalla polarizzazione dovuta a Trump, qui si sfrutta l’antipatia di alcuni settori sociali nei confronti di Salvini solo per ribadire un sostanziale neoliberismo, arrossato qua e là da un ammiccare a qualche diritto civile in stile Cirinnà. Senza però guardare alle contraddizioni di fondo di un modello di sviluppo insostenibile fondato dalla diseguaglianza e dalle porte in faccia soprattutto ai giovani.

L’unica speranza del PD di Zingaretti sembra quella di giocare al meno peggio, che poi in realtà è da anni l’unica strategia di un partito impegnato nel permettere lo spostamento in senso reazionario dell’opinione pubblica per poter apparire “migliore”. Una strategia vecchia, oggi pensabile solo e soltanto grazie al suicidio dei 5s, ma che al suo interno ha troppe irrisolvibili contraddizioni per poter durare.

Come si può essere sitav e per l’ambiente? Come si può dedicare la vittoria alle primarie a Greta Thurnberg e poi subito rivolgersi alle energie del mondo imprenditoriale? Come si può voler ripartire dai delusi e come prima mossa andare a trovare Chiamparino? Come si può continuare a ragionare di capi, comunità, leader, partiti quando la realtà da affrontare sarebbe più che altro quella di una impostazione ideologica ormai morta e fallita in tutto l’occidente? Come si può pensare di crearsi una identità solo per giustapposizione, di fronte ad un sovranismo nativista che offre una risposta più immediata e promette anch’egli le stesse briciole? Si può quando si è di fronte alla volontà di una svolta puramente posticcia.

La manifestazione di Milano dello scorso sabato è ciò che aspetta chi porterà alcuna speranza in questo finto rinnovamento. Si prepari cioè, oltre ogni genuina voglia di cambiamento, a marciare con alla testa un nemico. L’antirazzismo di Sala, e già basterebbe chiuderla qui, afferma il suo “prima le persone” (quali? con quali risorse a disposizione? con quali precise idee su migranti, ambiente, sviluppo?) nel momento in cui intende affermare la negazione del conflitto di classe che si cela dietro il processo migratorio.

Questo, in quanto fatto sociale all’interno di rapporti capitalistici globali, riflette una attenzione ai diritti di cittadinanza che non può essere slegata dalla questione della redistribuzione del reddito e da prospettive di uguaglianza reale oltre la linea della razza. Fare scendere i migranti dalla Diciotti per poterli poi sfruttare non è antirazzismo. È solo la faccia più presentabile ma ugualmente omicida del neoliberismo.

La cittadinanza, criterio anch’esso assai discutibile, non è un dato solo formale, ma anche sostanziale. E parlare di cittadinanza senza discutere realmente di giustizia sociale, probabilmente non farà che rinforzare il campo opposto. Che forse, tutto sommato, è quello che serve allo stesso Zingaretti per darsi un senso, di riflesso..

 

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