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Una contraddizione esplosiva. Su capitalismo e “difesa dell’ambiente”

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Il tema dell’ambiente emerge con sempre maggiore rilevanza all’interno di tante delle contraddizioni dei nostri tempi.

Contraddizioni che si riflettono anche nei processi di lotta che emergono all’incrocio tra dinamiche di impoverimento economico e necessità di reazione. L’ambiente sempre di più diventa arma, capace di scagliarsi anche dall’alto verso il basso quando serve per difendere i privilegi di chi “sta sopra”.

Se queste non sono assolute novità, diciamo che trovano conferma nelle immagini che arrivano dalla Francia, con il blocco dei “gilet gialli” delle rotonde e dei depositi di benzina del paese sono un importante momento di emersione di queste contraddizioni.

Le critiche che vengono portate agli uomini e alle donne che si stanno mobilitando sono infatti per la maggior parte relative alla loro “mancanza di ecologismo”. Protestando contro i rincari dei prezzi dei carburanti, questi si sarebbero opposti alla transizione ecologica promossa dal governo e ai danni che senza di questa ci sarebbero per tutti.

Il giusto atteggiamento sarebbe allora di sopportare sulle loro spalle le politiche energetiche senza fiatare, anche se queste si risolvono nei fatti in una decurtazione non irrisoria del loro potere d’acquisto. Soprattutto, un taglio al reddito imponente, compensato da nessun’altra misura.

Si tratta di una dinamica che nel contesto delle trasformazioni urbane contemporanee, metterà sempre più in difficoltà chi è escluso dai grandi centri, scavando un solco di classe all’interno del “popolo” francese. Un vero e proprio cappio al collo, che è stato rispedito al mittente.

Lo sterminato concetto della “difesa dell’ambiente” è vittima di una grande ambivalenza. Se da un lato esiste la sacrosanta necessità di preservare i territori, dall’altro questa necessità è spesso fatta ricadere soprattutto sui comportamenti dei singoli e non su quelli di sistema. E i singoli sono sempre quelli che sono già in basso nella scala sociale.

Il concetto di sviluppo sostenibile, mantra di chi cerca da anni di conciliare capitalismo e difesa dell’ambiente, andrebbe sempre verificato sulla base di una domandina. Sostenibile..per chi?

Il movimento notav negli anni ha sempre sottolineato come il tema delle risorse e delle piccole opere utili, come quelle che riguardano la messa in sicurezza dei territori, è sempre stato oggetto di battaglia politica. Preferire una scelta ad un’altra implica infatti la politicità di ogni tentativo di affrontare la questione.

Mentre in Italia crollano ponti e intere comunità sono spazzate via da alluvioni e altre tragedie climatiche, vediamo come gli sforzi vengono orientati alla costruzione di opere inutili e devastanti. Che si parli di TAV, di TAP oppure di nuovi termovalorizzatori come quelli proposti in Campania. Evidentemente ad essere sostenibili sono giudicati solo gli interessi geopolitici e quelli finanziari, non certo quelli delle popolazioni interessate.

Le contestazioni che abbiamo visto in queste ore nei confronti di Di Maio anche nella sua Pomigliano mostrano come la pazienza del Sud nei confronti del governo del cambiamento inizi a venire meno da un lato. E l’ambiente, oltre che i temi del lavoro e del reddito, gioca un ruolo centrale.

Non bastava il dietrofront sulla TAP, venuto dopo la pessima risoluzione del caso Ilva. Ora addirittura nella terra dove il 5s ha sfondato, se dovesse passare la linea Salvini ci troveremmo di fronte all’ennesima promessa tradita da parte dei grillini. Non a caso il grido “Basta impianti!” si è levato proprio da parte dei movimenti che in Terra dei Fuochi di promesse ne hanno sentite tante.

Salvini dalla sua è molto coerente. In piena linea con Confindustria e con le esigenze delle organizzazioni mafiose, sostiene la realizzazione della Tav così come quella dei termovalorizzatori. Realizzando una politica dei temi ambientali orientata dall’unico indirizzo di andare incontro alla sete di profitto delle aziende costruttrici, pienamente impegnate nel business dei rifiuti e in pratiche di speculazione.

Con l’effetto di diventare però a sua volta rappresentante proprio degli interessi di quelle élite che la sua retorica pubblica dice di voler combattere. Una contraddizione non da poco, da segnalare e agire politicamente quanto più possibile.

Quella che si apre nei mesi a venire è infatti una partita molto grossa, dove le esigenze del governo di dare ai propri finanziatori nuovi terreni di accumulazione di profitti si scontra con la possibilità di azione popolare molto forte. È una battaglia che può mettere in grande difficoltà il governo, impegnato anche nel difficile percorso sulla manovra economica e tutt’altro che coeso al suo interno. È una battaglia che da Nord a Sud merita di essere combattuta.

 

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