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Voci da ascoltare, rabbia da organizzare

Oggi inizia a Napoli una 3 giorni di kermesse del quotidiano-partito di Repubblica (La Repubblica delle Idee). Con una tempistica quanto mai perfetta e fortunata, uno dei principali centri della opinion-making della sinistra nostrana, inaugura il suo festival all’indomani della più schiacciante vittoria del centro-sinistra che la storia repubblicana ricordi. Finiti i tempi in cui il vecchio padrone di casa bastonava il rottamatore (Eugenio Scalfari in ripetuti editoriali primaverili pre-elezioni) il quotidiano di De Benedetti, che nella linea editoriale complessiva non ha in fondo mai nascosto la sua simpatia per la versione fiorentina del “nuovo che avanza”, salta in sella al cavallo vincente per aiutarlo a scrivere/descrivere il paese.

Per lanciare la 3 giorni di incontri  che ha scelto come sede Napoli, Ilvo Diamanti, tra le poche firme di Repubblica che hanno qualcosa di interessante da dire, commenta i risultati di un sondggio Demos-Coop, “Parole per riscrivere il Paese“, adagiandosi al livello medio del suo quotidiano in una lettura del senso comune che sconfina in una forma larvata e non-dichiarata di legittimazione dello status quo (quantunque rappresentato come il divenire di un’opinione pubblica che starebbe cambiando).

Basandosi su un modello francese di analisi medioscopica [qui la tabella], vengono analizzate le parole “del passato”, quelle “del presente” e quelle “del futuro”, diagrammate secondo una qualifica di “in” e “out” tipica del linguaggio pubblicitario cui ci ha abituati il ventennio berlusconiano (di cui la nuova era renziana sembra essere la continuazione sotto mentite spoglie). Manco a dirlo, le parole che puzzano di vecchio sono “le parole che combinano un sentimento ostile con una previsione negativa, circa l’importanza futura, incontriamo subito Berlusconi, accanto a Grillo e agli ultras (del tifo). Parole “gridate”. Come i loro protagonisti. Spinti ai margini, ma tutt’altro che marginali. Al contrario. Perché dividono“. [Il corsivo è nostro]”.

C’è qui, e nel prosieguo dell’articolo, una voluta assenza di qualsiasi prospettiva interpretativa che vada aldilà della superficie. Alla scontata predilezione degli intervistati per le locuzioni che alludono a speranza nel futuro e all’ottimismo (“combattere la disoccupazione [e] l’evasione fiscale”, “ridurre le diseguaglianze”, “il bene comune”, “la crescita economica”), fanno eco il più ambiguo (almeno per noi) “premiare il merito” e l’inquietante bisogno di un “premier forte”. Vengono poi riportate una serie di parole che andrebbero  cataglogate sotto la voce significanti vuoti, perché in assenza di specificazione ulteriore possono significare tutto e il suo contrario: “giovani”, “popolo”, le diverse tipologie di mass media.

Attraverso quella che vorrebbe presentarsi come la fotografia neutra del paese oggi, si opera in realtà una subdola operazione di giudizio e liquidazione di tutto ciò che fa problema, appunto “perché divide”. La risultante dell’interpretazione di Diamanti e compagnia serve fondamentalmente ad archiviare e significare come sorpassato tutto il lessico che rimanda in qualche modo al conflitto e alle sue ragioni.

Come sa ogni serio, onesto e critico studioso della comunicazione (le tre qualità vanno necessariamente insieme in questo ambito), cambiando contenuto e formulazione della domande poste, cambiano anche i ruisultati… Si scoprirebbe allora che le parole “rabbia”, “stanchezza”, “mandarli tutti a casa”, “ladri”, “tutti uguali”…ecc. starebbero comodamente di fianco ai significanti vuoti “giovani”, “cambiamento”, “democrazia”… E’ appunto una questione di sgurdo,  di prospettiva.

Il nostro compito è appunto quello di mettere insieme differentemente, e sotto un diverso segno, alcune di queste ed altre parole che ugualmente abbondano nella chiacchiera quotidiana, non solo per fotografarle o interpretarle, ma per comporle altrimenti e farne strumento e ingrediente di un cambiamento da organizzare.

 

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