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DAL #190 AL #15N: se è possibile l’assedio dalle e nelle università

Pubblichiamo di seguito un interessante documento del Collettivo Universitario Autonomo di Palermo sulla situazione delle lotte, della crisi e delle università, sulla declinazione del merito in salsa meridionale, siciliana e palermitana, e sulle prospettive di replicabilità in chiave universitaria delle dinamiche ricompositive e di conflitto aperte dal #19O, verso la giornata del #15N

Il governo delle larghe intese, in soli sei mesi di esercizio, a furia di preoccuparsi continuamente ed esclusivamente della decantata stabilità, è riuscito in realtà a presentarci in maniera quanto più chiara e netta il suo volto: quello dell’instabilità politica ed economica si, ma derivante dai conflitti d’interesse delle poltrone che lo compongono, che sotto il nome dell’intesa, si sono solo palesati come due facce della stessa medaglia. Una medaglia che si traduce in una politica tutta all’italiana sottomessa ai diktat dei gruppi finanziari di UE e BCE, formata da un lato da un PDL travolto dagli interessi individuali dei suoi personaggi di spicco e che sembra non sapere guardare verso la nuova era post-Berlusconi, dall’altro lato da un PD che vede l’ascesa del “rottamatore” Renzi che, con un approccio populistico degno del Labour Party anni ’80, va ingraziandosi quell’elettorato di centro-sinistra deluso dalle larghe intese e illuso dall’immagine giovanile del sindaco di Firenze, applaudito anche da Sel, Epifani e chi più ne ha più ne metta; per non parlare del tramonto, seppur per motivi e modi differenti, del vecchio volto delle banche Mario Monti con la sua fallita Scelta Civica, e di un Movimento cinque stelle ingabbiato nelle sue stesse retoriche.

Insomma, il ben conosciuto teatrino da seconda repubblica in crisi, cifra del nostro paese da un decennio a questo parte.
D’altronde la crisi della rappresentanza nello stivale si è palesata già da parecchio tempo; soprattutto agli occhi di chi di anno in anno ha visto elargire la menzogna della ripresa economica all’orizzonte, a cui è piuttosto corrisposto un aggravamento degli effetti della crisi economica e un inasprimento dell’austerity alla lacrime e sangue; soprattutto agli occhi di chi ha visto sempre più il proprio stipendio non bastare per arrivare a fine mese a causa di sempre nuove tasse e aumenti sulla pelle dei soliti; soprattutto per chi da mesi vede minacciato il proprio lavoro, vive la minaccia della cassa integrazione, o il lavoro lo ha proprio perso; oppure agli occhi di chi si trova oggi a lottare con le unghia e con i denti contro sfratti, sgomberi o la rapina dell’affitto.
Insomma, in poche parole, agli occhi di tutta quella composizione che il 19 Ottobre si trovava a Porta Pia ad assediare la capitale. L’assedio del 19 ottobre , nonostante la “campagna terroristica” dei media e delle istituzioni, ha avuto un esito positivo e ha messo l’intero paese davanti ad un movimento formato da una composizione trasversale accomunata dalla voglia di mettere in pratica un vero cambiamento radicale; Una piazza che non aveva a che fare con partiti o sindacati, ma con centomila manifestanti scesi in piazza per rivendicare innanzitutto condizioni di vita dignitose, per una migliore qualità della vita: il diritto all’Esserci, all’abitare, al vivere, che questo possa significare lotta per il diritto ad avere una casa, a difendere il proprio territorio da treni alta velocità o antenne di sistemi militari (Tav e Muos), o ad avere un reddito garantito e lottare contro la precarietà immanente.
Un fattore ci appare importante tra gli altri già ben sottolineati nel puzzle dell’analisi della piazza romana. La piazza, seppur costituita da una composizione variegata e trasversale, presentava ancora una volta un’ampia composizione giovanile, sì, questa volta però con una differenza rispetto agli anni scorsi: non si può parlare di presenza massiccia di mondo della formazione, nel senso di studenti universitari e non che rivendicano il diritto allo studio; la composizione giovanile di quella piazza sembrava riguardare per lo più giovani precari, magari neo–laureati, alle prese con scelte di master e specializzazioni dagli esosi costi, o immersi nel mondo della precarietà del lavoro (o meglio, della ricerca del lavoro), a caccia di un reddito garantito, dunque di una migliore qualità della vita, per un welfare dei bi\sogni.
Un’urgenza evidentemente avvertita trasversalmente da una sempre più ampia gamma di soggetti sociali, le cui istanze si legano indissolubilmente tra loro: i comitati di lotta per la casa, il movimento studentesco, i disoccupati e i precari sempre più numerosi e “istruiti”, gli operai, hanno fatto sì che la piazza romana innescasse e generasse una grande intesa. Un’intesa che ha indicato nella continuità della lotta la possibilità di avanzare con forza, la possibilità della sollevazione, la possibilità di salire sulla testa dei re!

2013: Dalla mistificazione del linguaggio alla verità della crisi

Tra legge di stabilità e università delle macerie

In “1984” Orwell racconta dell’esasperante operato del Ministero della verità, impegnato a distruggere il passato appena recente per riformulare il presente, mettendo in discussione la realtà percepibile e la logica, a tal punto da poter anche rinnegare che 2+2 potesse far 4, a secondo dell’utilità momentanea di ciò: “come posso fare a meno di vedere quel che ho dinanzi agli occhi? Due e due fanno quattro.” – “Qualche volta, Winston. Qualche volta fanno cinque. Qualche volta fanno tre. Qualche volta fanno quattro e cinque e tre nello stesso tempo. Devi sforzarti di più. Non è facile recuperare il senno.”
Guardando una interessante rassegna stampa pubblicata recentemente qui, sembra di assistere a fenomeni da “Ministero della verità”: Leitmotiv dei governi succedutisi negli ultimi anni sembra essere è la capacità di portare avanti grandi menzogne elevate a verità d’informazione, come quella portata avanti sino ad ora riguardante la farsa della ripresa economica, promessa e rimandata di anno in anno, dal 2007 ad oggi, puntuale. In realtà non c’è certo bisogno di essere grandi esperti di economia e finanza per capire che all’orizzonte non si prospetta di certo il boom economico simil anni ’50, quanto piuttosto un progressivo e ulteriore impoverimento della popolazione (sempre più generalizzato e sempre meno stratificato), un collasso definitivo del welfare e degli ammortizzatori sociali rimanenti, una stagnazione prolungata e disoccupazione latente (è di qualche giorno fa la notizia che la disoccupazione giovanile sia giunta al 40,4 %, il dato più elevato dal ’77).
Oggi il casus belli per riparlare di mistificazione del linguaggio ci è offerto dalla legge di stabilità, la manovra che scontenta tutti. A prima vista, per ciò che riguarda il mondo della formazione infatti, il decreto previsto dalla nostra cara ministra Carrozza prevede 150 milioni di euro in più previsti per il 2014 e soprattutto il tanto sperato annullamento del blocco del turn over, che porterebbe finalmente nuove assunzioni per docenti e ricercatori a partire dal 2016, puntando ad una sostituzione totale per il 2018 per tutti gli insegnanti e i ricercatori che andranno in pensione e che porterebbe con esattezza all’assunzione di 1500 ricercatori e di 1500 ordinari. Per essere una bella promessa all’orizzonte lo è; peccato che non sia altro che l’ennesima farsa costruita grazie a giri di parole e false verità: promettendo i 150 milioni in più per l’FFO forse il ministro Carrozza spera che ci dimentichiamo che questi in realtà non rappresentano né niente in più né tantomeno un regalo in confronto ai 760 milioni di tagli violenti attuati nel corso degli ultimi 4 anni (una cifra che non pareggia nemmeno lontanamente i conti!); tra l’altro proprio questi 150 milioni che saranno erogati nel 2014 porterebbero inevitabilmente (così come è scritto nello stesso decreto della legge di stabilità, una formula che ricorda tanto il decreto di Tremonti e Gelmini di qualche anno fa) ad un nuovo blocco del turn over, questa volta prolungato fino al 2018, addirittura due anni in più rispetto a quanto prevedeva il decreto della nostra cara vecchia Gelmini.
Arriviamo così ai punti organico, ovvero le quote necessarie agli atenei per poter effettuare nuove assunzioni, assegnati agli atenei considerati più virtuosi, considerati tali secondo l’arma a doppio taglio chiamata legge del merito; strano a dirsi, ma uno dei criteri per cui un ateneo viene definito meritevole è costituito dall’ISEF, indice di sostenibilità economica e finanziaria, ovvero più vengono aumentate le tasse più quell’ateneo riceve punti organico, quindi può assumere. Meno sorprendente è il fatto che gli atenei ritenuti non meritevoli siano proprio gli atenei del sud (un sud dal quale solo negli ultimi anni sono emigrati più di 170 mila laureati tra cui, solo nell’annata 2008\2009, 2.718 siciliani); Caso ancora più strano è che il S.anna di Pisa, in cui la Carrozza era rettore, riceve spropositati punti organico, un caso che ha fatto scatenare la rabbia degli altri rettori, i quali hanno fatto ricorso al TAR. Ma questa è un’altra storia.
A questo bel quadretto si aggiungono infine ben 480 milioni erogati come fondi per le scuole private, a fronte del calo ulteriore per le università pubbliche, dai 7450 del 2009 ai 6690 del 2013: d’altronde le università riescono ancora a sopravvivere, tanto ci pensano le tasche degli studenti e delle loro famiglie!
Probabilmente, è proprio a causa di questi processi che l’università in cui ci ritroviamo è caratterizzata principalmente da ciò che abbiamo definito uno spaventoso svuotamento, effetto di una doppia causalità: una stratificazione geografica con la categoria del merito che si abbatte come un’ascia sugli atenei meridionali, e una stratificazione sociale, per il costo dell’università divenuto troppo esoso per tanti, che porta a processi escludenti che tanto fanno pensare ad un possibile ritorno all’università d’élite e ad un potenziale ritorno all’orizzonte delle lotte per l’università di massa; un elemento, quest’ultimo, che ha portato quest’anno all’abbandono dell’università da parte di tantissimi diplomati: quest’anno 4000 studenti in meno rispetto al 2012 hanno partecipato ai test d’ingresso – un dato che ha addirittura portato il rettore Lagalla dell’università di Palermo a riaprire gli accessi la scorsa settimana.
Che l’università non sia più terreno redditizio per le governance europee lo sapevamo già; ne è una conferma la recente chiusura dell’Università di Atene, logica conseguenza di continui tagli alla pubblica istruzione che gettano nella crisi più profonda il sistema educativo a livello europeo.
Che si voglia arrivare allo stesso obiettivo per gli atenei del Sud?

Reddito: verso il #15N

Alla luce di quanto analizzato sino ad ora, ci sembra che ancora una volta il dispositivo del reddito, base delle lotte che ci hanno visti protagonisti negli ultimi anni e che negli ultimi mesi sembra aver assunto un’inedita modalità di proposizione, si ponga come dispositivo attuabile nel pragmatismo della quotidianità.
Scendendo infatti soltanto per un attimo nella nostra specificità territoriale, ci ritroviamo di fronte non solo ancora una volta all’ennesima stangata per gli studenti fuoricorso, ultimo di una serie di provvedimenti che negli ultimi anni ha avverato la nostra profezia di un’università assimilata alla fabbrica dai ritmi frenetici imposti dall’alto, volta ad annientare qualsiasi forma di spazi e tempi di socialità e a distruggere quella conformità di università critica (dal greco CRISIS, mettere in crisi) in favore di un imperante ed efficiente nozionismo; non solo ad un aumento del costo dei test d’ingresso e delle tasse universitarie in toto, accompagnate dal paradosso inversamente proporzionale per cui diminuiscono le borse di studio; in più ci troviamo dinanzi ad un aumento dei disservizi, per cui l’università delle macerie assume un volto, immediatamente attaccabile. Al crollo della facoltà di scienze politiche di quest’estate infatti, non è corrisposta una grande capacità di problem solving da parte dell’ateneo palermitano: gli studenti sono infatti costretti ad essere sballottati a destra e sinistra tra il Polo didattico e le aule di ingegneria, una fastidiosa situazione a cui si aggiunge ovviamente il fatto di non avere adesso nemmeno più il luogo fisico in cui prendere un caffè, andare a lezione, studiare in biblioteca, fermarsi a leggere una locandina, discutere, mettere a critica, correre per dare gli esami nel grande laureificio.
In questo quadro, si inseriscono le scommesse conflittuali che hanno caratterizzato il nostro anno politico e che hanno visto un’impennata a partire dal 19 Ottobre romano; sta adesso a noi declinare all’interno dei nostri territori proprio quelle parole d’ordine che a Porta Pia hanno dimostrato che la sollevazione generale, l’assedio e il giorno della vendetta sono probabilmente maturi per esplodere nelle piazze.
Approfittare della prossima data del 15 Novembre, in cui studenti medi, senza casa, operai e precari scenderanno in piazza a Palermo, ci sembra la scommessa per portare l’assedio all’interno di un ateneo che sembra prepararsi all’ennesimo attacco non più all’università pubblica, a quel residuo di pubblico che resta, ma agli universitari, a quel residuo di welfare familistico rimanente, al reddito, alla vita, all’Esserci.
Se come recita il terzo principio della meccanica ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, non sorprende che l’assedio e il giorno della vendetta siano magari maturi anche da e dentro le università.

#15N #SOLLEVAZIONEGENERALE #ASSEDIAMOVIALEDELLESCIENZE

 

Collettivo Universitario Autonomo Palermo

 

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#15n#sollevazionegeneralecrisipalermouniversità

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