Dalla resistenza all’attacco: per un #6D di mobilitazione
Nei primissimi giorni di Novembre ci trovavamo ad attraversare contemporaneamente piattaforme e momenti importantissimi di confronto, incontro e dibattito come il meeting “Agorà 99”, svoltosi a Madrid, e il meeting delle realtà meridionali tenutosi a Palermo “Dai sud contro la crisi” che hanno saputo tradursi in un piano conflittualmente pragmatico, dando vita ad una fitta agenda di appuntamenti per la costruzione dell’Europa delle lotte: dal 12 Novembre ad oggi abbiamo attraversato intense settimane di mobilitazione in tutte le città italiane, da Napoli a Torino, da Bologna a Palermo, passando per un #14N rovente in tutte le piazze europee, in cui una conflittualità emergente e sempre più difficile da ingabbiare nelle retoriche “violenti-non violenti” ha fatto tremare gli esponenti del governo tecnico e gli apparati di polizia schierati in loro difesa, che hanno raccolto solo insulti e contestazioni. Dalla Spagna alla Grecia, dall’Italia al Portogallo i movimenti hanno sottratto la giornata di sciopero europeo ai sindacati che l’avevano indetta con blocchi, scontri e occupazioni in ogni città. Si è riusciti quindi a “provincializzare l’eurocrisi” secondo l’indicazione che i movimenti si erano dati a inizio settembre in Val di Susa: declinare cioè nei nostri territori, nelle nostre scuole e università, lotte e istanze rivendicative che passino per la ricomposizione sociale. Non più un’unica data nazionale di assalto ai palazzi del potere com’è stato il 14 dicembre 2010, bensì una diffusione endemica dell’antagonismo sociale che passando per il 15 ottobre dell’anno scorso rilancia la mobilitazione in ogni città. Il mese di Novembre ci consegna dunque dati e spunti di riflessione incontestabili:
– emerge una consapevolezza acquisita dai movimenti sociali, cresciuti quantitativamente e qualitativamente come è evidente dalla generalizzazione delle lotte, determinati contro le insostenibili politiche d’austerity del tecnocrate Mario Monti e dei suoi ministri, che ormai non trovano più alcuna vetrina o plauso possibile perché contestati in ogni città da composizione e soggettività ormai trasversali e non solo studentesche;
– i tentativi di intimidire il movimento con gli arresti, le manganellate, i lanci di lacrimogeni dalle sedi dei ministeri e le cariche al corteo livornese del 1 dicembre hanno ricevuto la migliore delle risposte: studenti, precari e disoccupati dimostrano di non accusare i colpi della macchina repressiva, ormai la difesa e la costruzione del futuro passano per il rilancio e il contrattacco alle sedi istituzionali;
– si palesa l’affermazione, soprattutto nei sud, di un regime di governance basato sulla ritirata dalla scena politica degli strumenti di welfare clientelare ed assistenzialistico e su un controllo che rimane ormai soltanto militare–poliziesco delle insorgenze sociali: ritirata strategica delle istituzioni in tempo di crisi dunque, a cui corrisponde un’ingente sfiducia verso il sistema politico della democrazia rappresentativa.
Una democrazia rappresentativa in esiziale crisi, che ha visto in Sicilia (da sempre banco di prova e cartina di tornasole dello scenario nazionale) il record più alto di astensione mai registrato: oltre il 53% di aventi diritto al voto ha disertato le urne alle scorse elezioni regionali. E il nuovo presidente della regione Rosario Crocetta (eletto con appena il 13% di voti), che inneggia a una “rivoluzione siciliana” attraverso delle istituzioni vuote di consensi di massa, ha già ricevuto l’accoglienza rabbiosa degli studenti palermitani il 16 dicembre. Un mandato che si preannuncia arduo per il PD siciliano e nazionale, data la maggioranza ottenuta a fatica e le più che mai varie insorgenze sociali pronte ad esplodere.
Di questa difficoltà sempre maggiore delle istituzioni di disciplinare il precariato giovanile sono lampante segnale le pratiche di autogestione e occupazione che da quel 16 novembre di lotta si sono radicalizzate sul campo della formazione scolastica. A Palermo e provincia, più di trenta scuole occupate per settimane si sono organizzate collettivamente, proponendo un’alternativa alla didattica tradizionale che ogni giorno si è affermata anche tramite blocchi selvaggi del centro cittadino e cortei spontanei dai licei in agitazione, per arrivare all’imponente manifestazione del 24 novembre con 30 000 studenti in piazza, fino alla contestazione al ministro della salute Balduzzi, da subito attaccato in quanto esponente del governo dei tagli e dell’austerity proprio mentre il premier Monti paventava lo smantellamento della sanità pubblica.
Un antagonismo dunque sempre più diffuso prorompe dal soggetto sociale che chiamiamo precariato di seconda generazione, privato di ogni benessere e illusione di welfare presente e futuro, che si schiera senza più timore contro il capitalismo finanziario e le sue politiche di scaricamento verso il basso del debito. Una risposta conflittuale che non può nascere ed esaurirsi nelle scuole e nella parentesi autunnale, senza allargarsi ad altre parti sociali e senza sedimentarsi in forme di organizzazione e contropotere. In questo quadro una scommessa resta ancora aperta sul piano delle lotte: è chiaro come ciò che in questi anni si è originato in termini di mobilitazione dentro scuole e università rappresenta l’elemento scompaginante nel quadro delle risposte sociali alla crisi e alle politiche d’austerity; tuttavia, ancora una volta ci ritroviamo qui a sottolineare come, nonostante il conflitto e la radicalità di cui il movimento studentesco ha saputo farsi carico, ben più difficile è stato il lavoro volto alla mobilitazione prettamente universitaria.
Un’università in cui il sistema pubblico di formazione è stato via via smantellato, per delineare un nuovo sistema caratterizzato dalla continua riproposizione della categoria di merito, base utilizzata per la gerarchizzazione del lavoro e per l’inclusione differenziale nel mondo della formazione tramite meccanismi selettivi, debiti d’onore, declassamento sempre più violento del sapere-merce, tagli gravosi alle borse di studio ed inasprimento di sempre nuove tasse, a cui si aggiunge l’evidente e continua accelerazione dei tempi di produzione dentro l’università-azienda, volta ad eliminare spazi e tempi di socialità e acquietare il dissenso. Intercettare e catalizzare le vertenzialità dei singoli atenei verso una forte opposizione sociale al governo Monti, è quantomai necessario per innescare una delle tante micce pronte a far esplodere nuovi scenari di conflitto, gestiti sempre più a fatica dalla controparte.
Il 6 dicembre è da considerarsi dunque come data di chiusura di un autunno “breve” ma intenso di lotta, una giornata in cui mettere in ombra le passeggiate sindacali con la forza dei movimenti, e allo stesso tempo come prima data di un inverno e una primavera che si preannunciano carichi di conflitto, in cui anche noi studenti universitari porteremo pratiche antagoniste dalle facoltà alle piazze. Come obiettivo la costruzione di una piattaforma di “sciopero sociale” che sappia parlare il linguaggio dei movimenti e delle lotte, oltre la rappresentanza, la crisi e l’austerity, per non subire più indietreggiamenti, ma contrattaccare senza cedere di un millimetro, riappropriandoci a spinta di spazi autonomi di organizzazione.
Collettivo Universitario Autonomo Palermo
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