In movimento per sfuggire alla precarietà
Quando nella tarda mattinata di domenica, nel traboccante anfiteatro dell’università di Saint-Denis, nella banlieue parigina, prende la parola il tunisino Rashid raccogliendo e rilanciando la proposta formulata dal meeting di una carovana di attivisti e movimenti universitari europei a Tunisi, scoppia la gioia delle centinaia e centinaia di attivisti presenti. Un entusiasmo analogo aveva accompagnato, nell’assemblea del primo giorno, la notizia della cacciata di Mubarak. La nuova Europa comincia dunque dai movimenti sociali nel Maghreb. Del resto già venerdì Wafa, una militante tunisina che studia nella capitale francese, aveva spiegato la composizione delle rivolte sull’altra sponda del Mediterraneo, guidate da una forza lavoro giovane, ad alta scolarizzazione e precaria o disoccupata, la cui mobilità e possibilità di fuga è continuamente ostacolata da quei confini e politiche dei visti che hanno impedito ad altri tunisini di partecipare all’incontro. Una composizione affatto simile a quella che ha riempito le piazze europee contro l’austerity e i tagli all’università, la dequalificazione dei saperi e la precarizzazione.
Una rete transnazionale
Questo è il punto di partenza: la necessità di organizzarsi sul piano transnazionale non è la stanca ripetizione della solidarietà internazionalista, ma l’indicazione emersa dalle lotte e dalla nuova composizione del lavoro. Lo hanno evidenziato, con linguaggi differenti e prospettive comuni, gli oltre sessanta interventi che hanno affollato l’assemblea di apertura da tutta Europa, con una grande presenza dalle università occupate inglesi e da tutte le realtà in cui negli ultimi anni ci sono stati movimenti contro il Bologna Process e le politiche di austerity, così come – e questo è un dato nuovo e di grande importanza – dall’ex Europa dell’est, dalla Slovenia all’Ucraina, dalla Polonia alla Russia. Ma sono intervenuti anche attivisti da Canada, Stati Uniti, Messico, Cile, Perù, Argentina, Giappone. Le coordinate della militanza e i confini dell’Europa vengono così ridisegnati dai conflitti.
I tavoli del sabato mattina hanno consentito di discutere e produrre elementi comuni di analisi. Parlando delle trasformazioni dell’università, e della sua crisi, sono tre i punti principali condivisi. Innanzitutto, l’impossibilità di comprendere e dunque agire su queste trasformazioni restando prigionieri degli angusti spazi nazionali, perché le tendenze sono globali e assumono differenti declinazioni, traduzioni e temporalità. In secondo luogo, la lotta contro i tagli e per il libero accesso alla formazione non è in alcun modo sinonimo della difesa dello status quo nelle università pubbliche. Per questo le esperienze di autoformazione e free school, che si sono confrontate in uno specifico tavolo di discussione per diverse ore, assumono un’importanza decisiva: non in quanto «isole felice» e utopie al riparo dal mercato, ma come forme dell’organizzazione ed embrioni di istituzionalità autonoma.
Ora queste esperienze escono finalmente dal rischio della frammentazione e iniziano a coordinarsi, attraverso la creazione di una mappatura transnazionale e il progetto di un sito che diventi anche luogo di costruzione di un’opinione pubblica egemone. In terzo luogo, l’università non può essere pensata come spazio isolato. L’università è oggi completamente immersa nel tessuto produttivo, e cessa di essere un ascensore per la mobilità sociale: il declassamento diventa un elemento permanente. Perciò i movimenti che in questi giorni si sono confrontati a Parigi non si percepiscono più, semplicemente, come movimenti studenteschi, ma immediatamente come movimenti di lavoratori precari che hanno come proprio obiettivo la ricomposizione con le lotte dei migranti e degli altri lavoratori. Il tavolo di discussione sul welfare ha quindi iniziato a delineare i punti per un programma ricompositivo: dalla battaglia contro il debito, in quanto strumento di finanziarizzazione delle vite e di bisogni sociali collettivamente conquistati, alla lotta contro la precarietà e per il reddito, attraverso la sua articolazione in obiettivi specifici (formazione, saperi, casa, mobilità, comunicazione).
Indebitati a vita
Su queste basi, la rete che si è costituita nel meeting di Parigi ha ripreso la proposta venuta dai gruppi inglesi e ha promosso per il 25 e 26 marzo due giorni di azione transnazionale che verranno lanciati con un nome e uno slogan comuni, e presentati in una conferenza stampa a Bruxelles. Obiettivo principale: banche e istituzioni finanziarie, che strangolano studenti e precari col debito – per pagarsi l’università, come in Inghilterra, Nordamerica o Giappone, con i «prestiti d’onore», con i mutui per la casa. Per quei giorni verrà prodotto e distribuito un foglio di lotta in diverse lingue. Dopo l’incontro in Tunisia, la nascente rete ha deciso di convocarsi per un nuovo meeting in giugno a Londra, altro luogo simbolo delle lotte dello scorso autunno. Per lo stesso mese è stata lanciata da parte dei gruppi francesi una mobilitazione contro il G8 a Digione.
Insomma, la scommessa lanciata da «Edu-Factory» alcuni anni fa – la necessità di comporre mobilità del lavoro vivo contemporaneo ed esercizio della forza – si sta finalmente incarnando nelle lotte e nei movimenti, nel divenire classe del lavoro cognitivo. È questo, innanzitutto, il comune che si è prodotto a Parigi.
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