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Un autunno in anticipo contro la Buona scuola?

Il provvedimento si muove sulle stesse direttrici abbozzate dalla riforma Berlinguer, poi Moratti, Fioroni e Gelmini a riprova della sostanziale continuità del governo del cambiaverso con i suoi predecessori nell’applicare quella che potremmo sintetizzare, in mancanza di una miglior espressione, come una riorganizzazione in senso “neo-liberale” dell’istruzione scolastica.
Innanzitutto il meccanismo di assunzione e stabilizzazione dei docenti attraverso la chiamata diretta dagli albi territoriali sancisce la definitiva identificazione della qualità dell’insegnamento con la competizione tra insegnanti. Si chiude quindi con la Buona scuola un primo cerchio nella sottomissione dell’istruzione pubblica alle logiche concorrenziali tipiche dei meccanismi di mercato, ossia quello che regola il funzionamento interno delle istituzioni formative. La sfera decisionale viene al contempo verticalizzata e “scaricata” sulla figura del preside-manager investito di responsabilità senza precedenti nella gestione del personale della sua azienda, delle  sue risorse economiche e della politica didattica. In questo senso è importante cogliere un doppio movimento: da una parte dal basso verso l’alto con una gestione “autoritaria” della scuola che si traduce nella concentrazione di una serie di prerogative nella figura del dirigente scolastico, dall’altra dall’alto verso il basso con il tentativo di scaricare su quest’ultimo l’ingiunzione contraddittoria di fornire un’istruzione di qualità in un momento di tagli delle risorse di cui sarà in fine il solo responsabile. Il secondo cerchio che si chiude è quindi quello della sottomissione alle logiche di concorrenziali del funzionamento esterno delle istituzioni formative ossia la mercificazione del loro finanziamento con un’ulteriore apertura ai finanziamenti privati attraverso l’introduzione dello school bonus e la possibilità di versare ai singoli istituti il 5 ‰. Complementari a queste logiche sono i test INVALSI che si propongono di creare un rating uniforme calcato su criteri quantitativi favorendo così la competizione tra le varie scuole.

A completare il quadro, una scuola secondaria che diventa sempre più un’agenzia interinale semi-schiavistica grazie all’estensione degli stage anche ai licei confermando ancora una volta che in Italia di lavoro ce n’è ma che ormai si può serenamente proporre di non pagarlo.

Su un piano più generale, dopo la riforma del lavoro privato, Renzi comincia l’attacco alla pubblica amministrazione da uno dei suoi punti di rigidità storicamente più forti: il settore della scuola. È un vero azzardo da parte del Premier che rivela la sicurezza di chi sa di trovarsi davanti a un’opposizione sindacale di pura testimonianza che si attiva (vedi jobs act) in maniera inefficace e fuori tempo massimo. In questo senso è prezioso e inatteso il coinvolgimento spesso spontaneo o legato in maniera disorganica ai sindacati di base, di una larga fetta di settori della scuola attraverso lo sciopero del 5 maggio scorso e il boicotaggio dei test INVALSI.

La reazione del premier è come sempre sospesa tra la cattiva fede e il paternalismo. La performance alla lavagna – rivisitazione in salsa scolastica delle slides – conferma quella gestione didascalica dei conflitti a cui ci ha abituato Renzi: non si può non essere d’accordo col partito della nazione, al massimo si può non aver capito.
L’unica forma minimamente effettiva di opposizione alla riforma, quella del boicottaggio degli scrutini agitata dai COBAS, è stata immediatamente minacciata di precettazione confermando (vedi sciopero dei trasporti a Milano durante Expo) che la sola protesta legittima sotto il regno di Renzi è quella che non crea nessun tipo d’inconveniente alla normale produzione/riproduzione dell’economia, ribaltando così la natura stessa dello strumento dello sciopero.

Il dato politico è nella disponibilità ad un’attivazione contro di settori storicamente di sinistra, che cominciano ad individuare Renzi come un nemico che sta effettivamente riuscendo a portare avanti riforme che sarebbero costate a un Berlusconi calate di scudi e duri movimenti di piazza. Persiste la pesantissima incapacità a cogliere la fase e relazionarsi risolutamente con una controparte che fa dell’abolizione dei corpi intermedi della società (sindacati, “società civile”, associazioni etc…) uno dei cardini del suo modo di governare.
È un movimento atipico, quello contro la Buona scuola, sicuramente in ritardo, frammentato e pompierato dalle varie CGIL e UDS (per non parlare della CISL) pronte a fiondarsi ai tavoli del “negoziato” alla prima ipocrita “apertura” del governo con un riflesso pavloviano inutile quanto dannoso. Restiamo comunque pronti a cogliere tutti gli spazi di conflitto possibile sotto le macerie del bulldozer di Renzi, sperando che quest’anno l’autunno sia in anticipo piuttosto che in ritardo…

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