Green Pass: una stretta autoritaria per allontanare le responsabilità della classe dirigente
Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo articolo di Italo Di Sabato, di Osservatorio Repressione, che aggiunge alcuni elementi al dibattito che stiamo intavolando in queste settimane… Buona lettura!
“Vale la pena sopravvivere in un mondo trasformato in un ospedale planetario, in una scuola planetaria dove il compito principale degli ingegneri dell’anima sarà fabbricare uomini adattati a questa condizione?” (André Gorz 1974)
Premessa doverosa: sono vaccinato, I° e II° dose e farò la terza se necessario, ritengo il vaccino un “diritto” e non un “obbligo”. Seguo tutte le norme di sicurezza utili per evitarmi il contagio e, soprattutto, nel malaugurato caso per evitare di contagiare altri.
Il vaccino è necessario, parlano i numeri. Ma ritengo, che lo Stato abbia il dovere di fornire spiegazioni ai suoi cittadini; invece, come sempre accade nel nostro Paese è diventato uno scontro che ha portato una parte di quelli che avevano dubbi a combattere una battaglia talebana contro il vaccino.
Non ho mai pensato che la vaccinazione immunizzasse totalmente, ma che, nell’immediato, rendesse più difficile e soprattutto meno grave e non letale l’eventuale contagio.
Non penso che ci sia un disegno occulto delle forze del male dietro quanto sta succedendo ma che ci siano dietro sempre gli stessi attori invece si. Gli stessi speculatori di sempre, capaci di lucrare su guerra e pestilenza.
Penso che una sensata battaglia popolare sia per la liberazione dei brevetti, la scelta e gratuità della cura (staminali comprese), la ricostruzione di un servizio sanitario (pubblico, sociale e territoriale e non aziendale,) che non escluda nessuno.
Detto questo, penso che il Green Pass sia un’infamia di tipo poliziesco, uno strumento di controllo sociale. Proprio il Ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato che “Il green pass è la più grande opera di digitalizzazione mai fatta” . Dunque il punto è la digitalizzazione e il controllo a tappeto di tutte le azioni quotidiane, non la salute pubblica. Equiparare controllo e salute è davvero un binomio difficile da assimilare. Un dispositivo di controllo, funzionale alle logiche iper produttivistiche del Capitale, con cui una governance autoritaria e autoreferenziale, nella sua meschina e pilatesca priorità autoassolutoria, sin dall’inizio di questa tragedia planetaria, solleva sé stessa dalla necessità di metterci la faccia e di assumersi responsabilità chiare.
Infatti non bisogna dimenticare la grossa questione che sta dietro a tutte le politiche pandemiche che abbiamo visto susseguirsi nell’ultimo anno e mezzo, e cioè l’indiscutibile primato del produttivismo su qualsiasi altra cosa. I discorsi governativi che si sono alternati nei mesi sono stati “bisogna tenere aperte le fabbriche”, “bisogna tornare a consumare”, fino alla frase, pronunciata da Draghi qualche settimana fa: “usiamo il green pass per chiudere la stagione delle misure restrittive alle imprese”. Non a caso il green pass è richiesto per entrare in musei, cinema, teatri, ristoranti al chiuso, mense aziendali, palestre, nei treni ad alta velocità, mentre, in altri luoghi dove la gente si addensa tanto quanto o di più, come i treni regionali carichi di pendolari oppure nei centri commerciali e supermercati, il green pass non è richiesto, perché intralcerebbe il flusso delle merci e del denaro in settori che il governo vuole tutelare.
Governance che, più laicamente tra l’altro, avrebbe potuto garantire tamponi a tappeto e gratuiti per tutti. Anche tutti i giorni. Ma soprattutto, l’eliminazione dei brevetti sui vaccini. Se dunque non si è in grado di garantire una simile gestione perché si è distrutta la sanità pubblica e la priorità non è la salute pubblica ma il profitto. Mi devono, inoltre, spiegare perché se mi sono vaccinato con Pfizer posso avere il Green Pass, ma con lo Sputnik o Soberana non ne avrei eventualmente diritto.
Questa stretta autoritaria ha allontanato le responsabilità da una classe dirigente che ha garantito solo i profitti delle multinazionali e lo ha fatto con gran parte delle misure prese che non hanno nulla di sanitario. Cos’è il coprifuoco? Il virus come il conte Dracula che si leva al tramonto? E il lockdown con gli autobus pieni di pendolari e le industrie che lavoravano? E il distanziamento sociale? Un’ espressione inquietante che sembra un programma politico?. La sola logica che si potrebbe riconoscergli è quella di instaurare un clima di terrore tale da indurre i cittadini a ogni rinuncia possibile del proprio spazio di libertà e all’obbedienza in generale. L’emergenza pandemica viene gestita con la logica della guerra: viene meno l’indagine sulle cause e si restituisce potere allo Stato per sorvegliare le persone comuni e per proteggere i signori del profitto.
E in tutto questo lo spazio di manovra democratica si assottiglia sempre più per chi non ha alcuna intenzione di essere complice di un governo che si è mostrato incapace di gestire la situazione.
Se prima del coronavirus ci aggiravamo da sonnambuli nello stato della sorveglianza, oggi stiamo correndo in preda al panico tra le braccia di uno stato della super-sorveglianza in cui ci è chiesto di rinunciare a tutto – la nostra riservatezza, la nostra dignità e la nostra indipendenza – per consentirci di essere controllati e micro-gestiti
E se tenti di non essere soltanto bianco o nero, specificando le criticità sei un “nemico” di qualcuno e finisci nel mirino.
Il Covid esiste e non è stato debellato, è temibile e va contrastato: potenziare la campagna vaccinale è importante, i suoi vantaggi sono ampiamente superiori ai rischi connessi. Ma non è indifferente il modo in cui lo si fa. Continuiamo a comportarci responsabilmente ma stiamo attenti a non risvegliarci in un mondo in cui la sua eredità sulle nostre società e sulla nostra salute, potrebbe essere anche più pesante del male. Oggi è la pandemia, domani potrebbe essere qualsiasi altra emergenza, più o meno fondata: la strada è ormai tracciata, la società si è tristemente abituata al Panopticon come governo delle crisi sociali.
Italo Di Sabato – Osservatorio Repressione
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