I no-vax devono morire (e dopo di loro gli altri). Estremismo di centro e marginalizzazione del conflitto
Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo contributo alla rubrica Green Passion che ci è stato inviato da Niccolò Bertuzzi, ricercatore in sociologia all’Università di Trento. Buona lettura!
Gli ultimi giorni di agosto hanno segnato una notevole escalation della violenza (o della sua percezione) nel campo di battaglia legato alla vaccinazione anti-Covid e alle politiche pandemiche. Diversi episodi che hanno avuto come protagonisti i cosiddetti no-vax / no green pass sono stati ampiamente notiziati dalle principali testate giornalistiche e dai notiziari nazionali: l’aggressione al giornalista di Repubblica avvenuta a Roma, gli scontri al gazebo dei 5Stelle a Milano, le minacce ricevute dal noto infettivologo Matteo Bassetti. Chiunque abbia frequentato qualche piazza in vita sua, sa bene che episodi simili sono 1) possibili, 2) minoritari e solitamente anche più “gravi”, 3) solitamente isolati, 4) volutamente notiziati con funzione stigmatizzante dai media. Questo avveniva ben prima delle mobilitazioni attuali: rappresentare questi eventi come anomali e clamorosi può piacere a certa stampa e a certo pubblico, e per certi versi può servire a una parte del movimento no vax / no green pass per rivendicare tali narrazioni in modo vittimizzante. Prima di procedere oltre e andare al cuore della questione, ci tengo a precisare che utilizzo in questo articolo il termine “No Vax” in maniera semplificatoria, ben consapevole – anche per ragioni di ricerca che sto svolgendo su questa popolazione – che si tratti di una realtà molto complessa. L’utilizzo di un’etichetta unilaterale nasconde ragioni diversificate e background socio-politici estremamente variegati. Il termine suona fin troppo simile a No Tav o No Tap, ma l’uso mistificato che ne viene fatto è molto più simile a quello di una definizione stigmatizzante come Nimby.
Detto ciò, l’escalation di violenza più interessante da analizzare è quella della fazione opposta, definita in modo altrettanto semplicistico come pro-vax. Come noto negli ambienti di movimento, lo stigma riversato sulle piazze spesso nasconde una violenza strutturale ben più profonda esercitata dall’alto. In questa sede non mi occuperò della presunta violenza sistemica utilizzata dalle istituzioni e denunciata anche dai no vax /no green pass: che vi siano all’orizzonte concreti pericoli legati al controllo sociale, alla repressione e all’accelerazione della digitalizzatione capitalista, pare difficile da negare. Tuttavia – e purtroppo, aggiungerei – la denuncia di questi aspetti assume non di rado tinte complottiste, ingenue e persino funzionali al potere.
Quel che interessa qui è la violenza esplicitamente rivendicata in questi giorni da esponenti del fronte più marcatamente (e mediaticamente visibile) favorevole alla vaccinazione di massa “senza se e senza ma”, all’obbligo vaccinale, al green pass esteso in ogniddove. Mentre ci si spertica a condannare un operatore scolastico che cerca di aggredire un giornalista, mentre un anziano viene denunciato per aver espresso opinioni personali sul proprio profilo Facebook, allo stesso tempo Giuliano Cazzola – ex sindacalista CGIL ma anche strenuo difensore della riforma Fornero e membro negli anni di Psi, Pdl, Scelta Civica e attualmente di Più Europa – dichiara in televisione che coloro che non si vaccinano “vanno sfamati col piombo, serve Bava Beccaris”. Praticamente in contemporanea, l’assessore alla sanità della regione Lazio, Alessio D’Amato del Pd, propone per la stessa categoria di individui la sospensione del welfare, sostenendo che chi rifiuta il vaccino dovrebbe “pagarsi le cure di tasca propria”. Al di là della pericolosità di una simile posizione, preme far notare che nel proporla D’Amato si rifà esplicitamente al modello-Lombardia, confermando la capacità degli amministratori Pd di andare oltre ogni peggior aspettativa nei loro confronti, fino a trasformare la campagna vaccinale in un’occasione per minare le fondamenta del servizio sanitario nazionale. Purtroppo, al posto di rimandare al mittente una proposta così scellerata e chiedere le dimissioni di chi l’ha avanzata, molte testate giornalistiche si sono scapicollate per capire se l’idea sarebbe percorribile in punto di diritto. Per chiudere il cerchio delle uscite palesemente sopra le righe degli ultimi giorni, lo stesso Bassetti dice in prima serata che coloro che rifiutano il vaccino costituiscono “un movimento sovversivo, sono dei terroristi”.
Al di là di quanto le piazze attuali ci piacciano o meno, affermazioni come quelle di Cazzola, D’Amato e Bassetti sono potenzialmente pericolose per qualsiasi movimento di contestazione alla governance neo-liberale, in quanto aprono un fronte discorsivo in grado di essere applicato a qualsiasi espressione di conflitto (e che in realtà è già stato applicato nei confronti dei movimenti contro le grandi opere, dei No Expo, dei movimenti studenteschi e di quelli per la giustizia ambientale, ma con minor visibilità mediatica e dunque con minor presa sulla popolazione generale).
Chiunque abbia frequentato qualcuna delle proteste di queste settimane è stato probabilmente colpito dal livello di spontaneismo/impreparazione dei manifestanti più che da una loro politicizzazione di estrema destra o da un’attitudine violenta, come invece viene raccontato a reti unificate. La gran parte sono first-time protesters, come li definirebbe la letteratura scientifica: persone di mezza età, classe media o medio-alta, mai mobilitatesi in precedenza. Sono piazze al contempo effervescenti e contraddittorie, spontanee e impreparate. Questo è ovviamente problematico: perché si attivano solo ora, per una questione individuale e che li tocca personalmente? Al contempo bisogna prendere atto che nel paese è in corso una mobilitazione diffusa, “dal basso” e con pochi precedenti nella storia recente: può non piacerci la composizione di queste piazze, ma ignorarle, considerarle un fenomeno monolitico o derubricarle a priori sarebbe scorretto e strategicamente inefficace.
Non interessa qui prendere posizione favorevole o contraria rispetto alle posizioni no vax / no green pass. Come argomentato in altra sede, sarebbe anzi opportuno uscire da una prospettiva dicotomica, tipica delle rappresentazioni mediatiche e – ancor più rilevante – espressione di una visione del mondo incapace di uscire dai confini epistemologici dell’occidente contemporaneo. Interessa piuttosto chiedersi il perché di toni così estremisti usati da esponenti di forze politiche moderate o comunque da personaggi pubblici vicini al governo. L’impressione è che questi toni vengano assunti da queste forze politiche (o da loro singoli esponenti) con l’obiettivo di accaparrarsi le simpatie di quella parte di popolazione che è stata radicalizzata da mesi di narrazione e propaganda manichea. Laddove è plausibile che una certa fetta di elettorato, non solo quella “no-vax” dura e pura ma più in generale quella che sta accrescendo la propria sfiducia verso istituzioni e classe politica, viri verso i pochi partiti che sono stati all’opposizione (sappiamo bene che spesso si tratta di un’opposizione di facciata, ma tant’è), allo stesso modo i partiti moderati – di centrodestra, centrosinistra, insieme ai 5Stelle – cercano di giocarsi i voti di chi ha radicalizzato la propria posizione in senso opposto. Del Pd si è già detto, ricordando la scellerata proposta di D’Amico, forse estrema ma paradigmatica del vento che tira al Nazareno: si sa che, da quelle parti, non sono particolarmente abili a intuire il verso cui tende l’opinione pubblica. Su quel che resta del mondo post-berlusconiano, post-craxiano e post-pannelliano, non è nemmeno il caso di infierire: si tratta quasi sempre di un equilibrismo fra posizioni di grande responsabilità istituzionale e inni sfrenati alla deregolamentazione e al neoliberismo. Più interessante il fenomeno 5Stelle, oramai completamente trasfigurati e sempre più simili a una novella Democrazia Cristiana 4.0. Esaurita la loro funzione storica, ossia quella di contribuire all’affossamento dei partiti tradizionali e sdoganare la tecnocrazia, si sono trasformati in un partito più tradizionale di quelli tradizionali, eventualmente un po’ più tecnologico. Queste forze politiche si stanno combattendo (e contemporaneamente spalleggiando) in queste settimane nel tentativo di spostare sempre più in alto l’asticella dell’estremismo di centro, con l’obiettivo di consolidare la propria posizione presso ampi strati di elettorato moderato, legalista, filo-istituzionale fino al parossismo, sostanzialmente innamorato di una figura autorevole e autoritaria come Mario Draghi. Inoltre cercano di recuperare qualche voto fra quelli che magari non sono innamorati del presidente del consiglio, ma serbano rancore per le perdite economiche di questi mesi, e anche per questo desiderano la ripresa della stabilità e dei consumi, la cosiddetta “normalità”. Questi partiti cercano di essere il più reazionari e al contempo ultraliberisti possibili. Infatti non bisogna dimenticare la grossa questione che sta dietro a tutte le politiche pandemiche che abbiamo visto susseguirsi nell’ultimo anno e mezzo, e cioè l’indiscutibile primato del produttivismo su qualsiasi altra cosa. I discorsi governativi che si sono alternati nei mesi sono stati “bisogna tenere aperto”, “bisogna tornare a consumare”, fino alla frase, quasi innocente, pronunciata da Draghi qualche settimana fa: “usiamo il green pass per chiudere la stagione delle misure restrittive alle imprese”.
Sull’onda di questo mantra, si continuano ad avvallare posizioni pericolose in ottica di salute pubblica, non da ultimo l’allungamento della validità del green pass a 12 mesi, comunicato dalla sera alla mattina, e che ad ogni effetto rischia di far circolare senza precauzioni (nemmeno un tampone) individui in una condizione piuttosto simile a quella dei non vaccinati. Ancor più paradigmatica della vena neoliberista delle attuali politiche pandemiche è la decisione di non garantire la copertura INPS per la quarantena, invogliando così a non adottare comportamenti volti alla tutela della salute pubblica, per non perdere il sacrosanto diritto alla retribuzione. Tanto si sa, l’altro lato del produttivismo neoliberista è la responsabilizzazione individuale, nel caso qualcosa vada storto.
Sullo sfondo delle riflessioni fin qui espresse, restano alcune questioni ben più grandi della congiuntura Covid e delle piazze attuali. Ne menziono tre molto brevemente. La prima è la volontà di eliminare il conflitto sociale. Chiaramente questa era una caratteristica ben presente anche prima del febbraio 2020, ma la stigmatizzazione che stanno subendo coloro che – con differenti ragioni – si oppongono alla linea governativa di gestione della pandemia ha pochi precedenti. Al netto dei contenuti espressi da no vax, no green pass, semplici cittadini dubbiosi o ambienti di movimento più vicini a posizioni anticapitaliste, un punto dovrebbe restare fermo: la società non è mossa (solo) dall’ordine e dal consenso, ma anche e soprattutto dal conflitto. In secondo luogo, le dinamiche di questi mesi rischiano di creare nuovi schieramenti, ma ancor più di alimentare diseguaglianze etniche e di classe già esistenti. Se è condivisibile la critica mossa alle piazze no green pass di essere spesso etnocentriche e middle-class (critica molto più realistica rispetto a quella di fascismo), altrettanto vero è che troppo poco si è cercato di rendere egemonici in questi ambienti alcuni discorsi che in parte anch’essi sostengono: gratuità dei tamponi (per eliminare un evidente discrimine basato sul reddito) e sospensione dei brevetti (per contestare il colonialismo che caratterizza la governance internazionale della pandemia, così come di altre questioni, prima fra tutte il climate change). Infine il punto più importante, già accennato in precedenza, e cioè la necessità di uscire da una prospettiva completamente binaria, espressione di un riduzionismo tipicamente occidentale, che assume i suoi tratti peggiori nell’adesione a politiche e prospettive basate su concorrenza, scientismo e tecno-entusiasmo. Tutti elementi, a ben vedere, fortemente propagandati in chiave anti-scettica in questi mesi, all’interno di un quadro dicotomico fatto di buoni e cattivi. Se le piazze no vax / no green pass (o per lo meno una parte di esse) non sono il luogo dove cercare una via d’uscita da questo paradigma, l’opposizione che alcuni settori di quel movimento stanno portando alla governance neoliberale – spesso in modo sgangherato e magari non sempre condivisibile nei contenuti – andrebbe presa sul serio. Anzi, ne andrebbero radicalizzati alcuni caratteri, che sono in nuce e rischiano di prendere direzioni disfunzionali o funzionali al potere, e che invece potrebbero risultare preziose per le battaglie dei prossimi anni: in primis la critica al positivismo, alla tecnocrazia e ai potentati economico/finanziari. Anche considerando che il livello dello scontro potrebbe inasprirsi di fronte alla “linea dura” dettata dal governo in questi giorni. Nulla di nuovo dunque. Ma è più che mai necessario riportare il conflitto nella giusta direzione e contrastare i nemici di sempre: gli estremisti di centro.
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